Popolo di Dio in cammino

«Popolo di Dio in cammino»: una delle immagini più suggestive che il Concilio ha dato della Chiesa. Non è questione di parole, ma di un modo diverso di concepire la Chiesa con effetti pastorali di dirompente portata.L’entusiasmo di Paolo VI e le delusioni
04 Giugno 2002 | di

Era il giorno di Pentecoste del 1963 (a Roma stava morendo papa Giovanni). A Milano, durante la messa pontificale in duomo, Giovanni Battista Montini teneva un`€™omelia ardente, come ogni tanto capitava all`€™intellettuale arcivescovo milanese. Montini era preso dall`€™entusiasmo per il Concilio, che si era aperto nell`€™ottobre dell`€™anno prima. Già  dai primi lavori conciliari, egli ravvisava il cammino che veniva additato alla Chiesa e metteva a confronto il passato e quanto si stava profilando per il futuro, anzi già  per il presente.

«Ieri `€“ diceva Montini `€“ l`€™argomento della Chiesa pareva restringersi alla potestà  del Papa; oggi si estende all`€™episcopato, ai religiosi, ai laici, al Corpo mistico della Chiesa. Ieri si parlava prevalentemente dei diritti della Chiesa, quasi trasferendo per analogia nella sua definizione di società  perfetta gli elementi costitutivi della società  civile; oggi si scoprono nella Chiesa altre realtà  (i carismi di grazia e di santità , ad esempio), che le nozioni puramente giuridiche non possono definire. Ieri era la storia esteriore della Chiesa che ci interessava principalmente: oggi, anche quella interiore, generata dall`€™arcana presenza di Cristo in essa, e così via. Cioè oggi ci appare più profonda, più ricca di doveri evangelici che di diritti storici, la sua missione, così che viene spontaneo pensare alla Chiesa come un mistero».

Montini riassumeva e anticipava quella che sarebbe stata poi l`€™immagine di Chiesa posta in rilievo dalla Costituzione dogmatica del concilio Vaticano II, la Lumen gentium, che presenta il mistero della Chiesa come «sacramento di Cristo, luce delle genti».

 

La Chiesa della Lumen gentium

 

Com`€™è questa Chiesa delineata dalla Lumen gentium? Essa è un momento nodale della storia della salvezza, proiettata verso il Regno finale. Essa è Popolo di Dio in cammino «tra le consolazioni di Dio e le tribolazioni del mondo», popolo peregrinante nella storia verso il compimento della salvezza. La comunità  ecclesiale non è estranea alla società  umana, anzi partecipa della sua vicenda, pur senza identificarsi con alcuna condizione particolare, storica, sociale, culturale, razziale.

Senza entrare nell`€™analisi degli otto capitoli del documento conciliare (l`€™ultimo capitolo è dedicato a Maria Mater Ecclesiae, madre della Chiesa), quelli espressi sopra possono essere i concetti riassuntivi sulla Chiesa, per la quale il Concilio ha trovato, oltre la nota immagine di san Paolo come «Corpo di Cristo», altre espressioni di fondamento biblico, come ovile, campo, edificio, famiglia, tempio, sposa.

Questa, dunque, la natura della Chiesa, descritta teologicamente. Ma come funziona poi, o come dovrebbe funzionare, in pratica, questa realtà  soprannaturale e umana insieme?

Sei anni dopo quella ispirata omelia in cattedrale, il 9 luglio 1969, a Concilio concluso da quattro anni, papa Montini aumentava ancora di più la sua speranza nel futuro della Chiesa e ne descriveva il funzionamento fino a toccare accenti di utopia. Non più la Chiesa in sé, ma la «vita della Chiesa» era l`€™oggetto delle previsioni di Paolo VI.

«Avremo un periodo nella vita della Chiesa `€“ diceva `€“ di maggiore libertà , cioè di minori obbligazioni legali e di minori inibizioni interiori; sarà  ridotta la disciplina formale, abolita ogni arbitraria intolleranza, ogni assolutismo; sarà  semplificata la legge positiva, temperato l`€™esercizio dell`€™autorità , sarà  promosso il senso di quella libertà  cristiana che tanto interessò la prima generazione cristiana, quando si seppe esonerata dall`€™osservanza della legge mosaica e delle sue complicate restrizioni rituali».

 

L`€™effetto pastorale

 

Era l`€™effetto «pastorale» che doveva essere realizzato nel Popolo di Dio come conseguenza del Concilio e più precisamente della Lumen gentium, la quale, tra l`€™altro, trattava il tema della «vocazione generale alla santità », superando una visione elitaria della perfezione cristiana e affermando che la santità  riguarda tutti i fedeli in Cristo, in qualsiasi condizione di vita si trovino. (Giovanni Paolo II, nella lettera Tertio millennio ineunte, pubblicata per la fine del Giubileo, ha scritto: «Questo ideale di perfezione non va equivocato come se implicasse una sorta di vita straordinaria, praticata solo da alcuni geni»).

Con una formulazione di linguaggio più culturale, a quel tempo, la rivista bolognese «Il Mulino», affermava che la «pastoralità » del concilio Vaticano II si esprimeva con una serie di «superamenti»: superamento di una «mentalità  razionalizzante e dogmatica», cioè della preoccupazione e della smania di fissare la verità  divina in formule; superamento di una «mentalità  tuzioristica», preoccupata di mettere la verità  al sicuro; superamento di una «tendenza inquisitiva», protesa a scoprire e a condannare l`€™errore e il colpevole; superamento di una «mentalità  giuridicistica», che mira a tradurre tutto in legge.

Il quadro delineato dalla rivista bolognese e dalle calde parole di Montini era esattamente quello che si proponeva il Concilio, quello che aveva in mente, sia pure in modo indeterminato, papa Giovanni. Ciò che doveva essere realizzato dai «pastori» nella pratica quotidiana dentro la Chiesa era stato poi molto concretamente specificato in un documento sottoscritto da una cinquantina di vescovi, appena prima che si chiudesse il Concilio, nel dicembre 1965.

Quel documento riportava i buoni propositi che i padri conciliari intendevano mettere in pratica, una volta ritornati nelle loro diocesi: «Vivere nella semplicità  in mezzo ai loro fedeli; rinunciare all`€™apparenza e alla realtà  di ogni ricchezza e potenza; non accordare privilegi ai ricchi e ai potenti; prendersi cura dei poveri; collaborare umilmente alle opere pubbliche di giustizia sociale...».

 

Le delusioni

 

Che cosa sia avvenuto in positivo o in negativo dell`€™utopia di Montini e dei buoni propositi dei padri conciliari, probabilmente ognuno che ha un poco di pratica di Chiesa lo può verificare.

Per dovere di cronaca o di storia, bisogna anche ricordare che l`€™entusiasmo di papa Montini per i frutti del Concilio si era infine, negli ultimi anni del suo pontificato, talmente ridotto da tramutarsi addirittura in nere previsioni e addolorate constatazioni. Certo, era subentrato allora il tempo della contestazione anche all`€™interno della Chiesa e, su un altro versante, si faceva più vivo il movimento tradizionalista.

Tuttavia, pare che tutti siano d`€™accordo nell`€™ammettere che oggi almeno uno dei nodi da sciogliere del Concilio sia ancora quello della partecipazione dei laici alla missione della Chiesa. L`€™apparato clericale appare ancora molto forte nella vita ecclesiale. Lo stesso papa Wojtyla nella lettera scritta in vista del Giubileo, Tertio Millennio adveniente, chiedeva di nuovo «un ampio spazio alla partecipazione dei laici». Il noto gesuita padre Bartolomeo Sorge scriveva qualche tempo fa: «È l`€™ora del laicato. Ma i laici dove sono?».

D`€™altra parte, sulla avvenuta o mancata realizzazione delle intenzioni e delle indicazioni del Concilio, forse pesano le ragioni che, in fondo, hanno sempre funzionato in tutti i secoli del cristianesimo: la buona o cattiva volontà  di tradurre in pratica la fede cristiana.                                        

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017