Premio sant’Antonio: Comunicazione e Solidarietà

Si è svolta lo scorso 14 novembre, in Basilica, la sesta edizione del Premio internazionale sant’Antonio. Grande affluenza di pubblico, intensa partecipazione, passione per il Vangelo: questi gli ingredienti di un evento di successo.
25 Novembre 2008 | di

Da otto secoli la voce di Antonio non ha mai cessato di alzarsi a difesa degli «ultimi». Da otto secoli le sue parole riecheggiano nei luoghi in cui egli passò, restituendo speranza, lenendo ferite, riaprendo orizzonti di fede. Pareva proprio di risentirle, quelle parole di Antonio, lo scorso 14 novembre, in Basilica, nel corso della sesta edizione del Premio internazionale a lui intitolato. Un Premio istituito dieci anni fa (con cadenza biennale) dai «figli» di Antonio, quei frati che si prendono cura della Basilica antoniana accogliendo i quasi 5 milioni di pellegrini che ogni anno vengono a visitarla; che nel suo nome restituiscono dignità o garantiscono un futuro a tanti «piccoli» del mondo (grazie alla Caritas Antoniana); che dai nuovi pulpiti rappresentati dai moderni mezzi di comunicazione (come il «Messaggero di sant’Antonio») continuano a diffondere il suo messaggio declinato in chiave contemporanea, per poter parlare all’uomo di oggi in un linguaggio comprensibile e attuale.

Un Premio (che il «Messaggero di sant’Antonio» da alcuni anni porta avanti in collaborazione con il Comune di Padova e che in quest’ultima edizione ha ricevuto l’Alto patronato della Presidenza della Repubblica) che vuole far conoscere alcune figure, note o meno note, testimoni dei valori evangelici tanto cari ad Antonio.
La sesta edizione del Premio, condotta da Milly Carlucci in una Basilica gremita di gente, ha visto impegnati anche alcuni nomi di prestigio del mondo del teatro, del cinema e della televisione (Anna Maria Guarnieri, Luca Bastianello, Cesare Bocci, Daniele Pecci, Michele Placido e Luca Ward) che nel corso della serata si sono alternati in una lettura recitata di alcuni dialoghi sulla vita di sant’Antonio, tratti dal libro Antonio, Cavaliere di Dio di Paolo Pivetti.



Il riconoscimento per la categoria Solidarietà è andato in questa edizione 2008 a Susan e Michael Borden, americani del Wisconsin, che hanno fondato, nel 1997, la Saint Anthony of Padua Charitable Trust, un ente caritativo che sovvenziona progetti di solidarietà nei Paesi del Sud del mondo, operando nello spirito di sant’Antonio. Michael, noto uomo d’affari di Milwaukee, per anni svolge la professione di consulente finanziario: la sua specialità è quella di preparare piani di lavoro per aziende in difficoltà economiche. Ma un giorno decide di compiere il «salto» e di entrare lui stesso in affari. Non avendo esperienza diretta nella conduzione aziendale, stringe però un patto con sant’Antonio: lui si sarebbe occupato di ottenere i fondi e di condurre l’azienda, mentre sant’Antonio l’avrebbe aiutato ad avere la saggezza, il coraggio e l’intelligenza necessari. Il patto viene siglato nella preghiera e Michael si impegna a considerare sant’Antonio socio al 50 per cento. Acquista così un’azienda che in trent’anni diventa leader nel suo settore e, attraverso i proventi che ne derivano, mantiene fede alla sua promessa.

Un Premio speciale per la sezio­ne Solidarietà è andato a Ernesto Olivero, fondatore del Sermig (Servizio Missionario Giovani). Ernesto Olivero, tori­nese, classe 1940, è marito e padre di tre figli, nonno e banca­rio in pensione. Innamorato di Dio da sempre, a un certo punto della sua vita deci­de di dedicargli tutto il suo tempo. Nascono così il Sermig (che dal 1983 ha sede nel vecchio Arse­nale Militare di Torino, divenuto Arsenale della Pace), l’Arsenale della Speranza a San Paolo del Brasile e, di recente, l’Arsenale dell’Incontro in Giordania.


Susan e Michael Borden. «Il vero capitale? La fede»

«Lavoravo come consulente finanziario, quando un giorno decisi di fondare una ditta. Conoscevo molte persone competenti e con capitali, ma pensai: “Se ho un socio che fa miracoli allora potrò avere un successo sicuro”. Cosi feci un contratto con il Santo, di cui ero devoto: “Ti considererò socio al 50 per cento. Io farò il lavoro terrestre, tu quello celeste”. Non mi aspettavo un così grande successo. Sant’Antonio ha avuto la sua parte, e tramite la Charitable Trust ha aiutato i poveri. Questa esperienza mi ha insegnato che il capitale più importante di un uomo d’affari non è il suo portafoglio di bonds, azioni, edifici. Il capitale più grande è la fede in Dio».



Ernesto Olivero. «Vorrei un G8 al contrario»

«Vi sbagliate, io non sono il fondatore del Sermig. Il Sermig l’ha fondato Dio, io cerco solo di non rovinarlo. Il mio sogno è quello di costruire la pace, eliminando fame e povertà: obiettivo possibile solo se ci limitiamo a consumare il giusto necessario, senza sprechi. Il Premio sant’Antonio non è per me ma per i giovani, cui devo tutto e che non sono quei bamboccioni che vengono descritti spesso: sono gli adulti ad aver imposto questo modello di consumi. I giovani non sono da giudicare, ma da amare. Essi pretendono dagli adulti umiltà, verità e, perché no?, anche severità. Ma accettano queste cose solo da chi è credibile. Mi piacerebbe un giorno poter realizzare un G8 alla rovescia con il Papa e i “grandi” della Terra radunati per ascoltare i giovani. Solo se i “grandi” si convertiranno potremo sperare in una pace vera sulla Terra».



Testimonianza

Il Premio per la categoria Testimonianza è stato assegnato a Gregoire Ahongbonon, fondatore dell’Associazione San Camillo de Lellis di Bouakè in Costa d’Avorio, che si occupa dell’assistenza e della cura dei malati mentali.

Gregoire Ahongbonon decide di fare qualcosa per gli altri dopo un viaggio in Terra Santa. L’occasione gli viene offerta dall’incontro con un viandante che gira nudo per strada, emarginato da tutti. Il viandante è un malato mentale: Gregoire legge questo incontro come un segno e da quel momento decide di occuparsi dei molti malati di mente costretti a dormire all’addiaccio e a nutrirsi di spazzatura. Con il tempo ne scopre altri ancor più sfortunati, messi ai ceppi o alle catene in tuguri o sotto gli alberi nella foresta, in attesa solo della morte (in Africa la malattia mentale è considerata un castigo divino e dunque viene tenuta nascosta). Nascono così i 10 centri dell’Opera San Camillo per l’accoglienza, la cura e la riabilitazione degli ammalati di mente.

Un Premio speciale per la sezione Testimonianza è stato attribuito a monsignor Giovanni Nervo, sacerdote novantenne della diocesi di Padova, ma conosciuto in tutta Italia per il suo impegno nel campo della solidarietà. Una vita, la sua, spesa al servizio degli altri. Ordinato sacerdote nel 1941, monsignor Nervo è stato Assistente delle Acli dal 1945 al 1950; dal 1951 ha coordinato tutte le scuole di Servizio Sociale in Italia. Fondatore della Caritas Italiana (nel 1971) ne è stato prima presidente e poi vice-presidente. È presidente onorario della Fondazione Emanuela Zancan, da lui stesso creata.


Gregoire Ahongbonon. Saremo giudicati sull’amore

«Leggo questo Premio come una ricompensa da parte di Dio a tutte le persone unite in quest’opera. E soprattutto è una risposta di sant’Antonio. I santi continuano a lavorare per i loro poveri, non sono andati in cielo per dormire. Nello stesso tempo i santi sono per noi una chiamata del cielo, una chiamata che ci invita a fare la nostra parte, ad aprire gli occhi. Io non sono nessuno. Se Dio ha permesso che attraverso un povero come me accadesse tutto questo, è per far capire a tutti noi che dobbiamo accorgerci delle persone malate. È un appello affinché ciascuno di noi diventi la mano di Dio che va verso questi malati. Le loro catene non sono una vergogna dell’Africa, sono una vergogna dell’umanità. Nel nostro ultimo giorno Dio non ci domanderà se abbiamo pregato abbastanza o se siamo stati battezzati, ma ci dirà: “Avevo fame e mi hai dato da mangiare, avevo sete e mi hai dato da bere, ero nudo, malato, in prigione, abbandonato e mi hai accolto”. Come ha fatto san Francesco, come ha fatto sant’Antonio».



Monsignor Giovanni Nervo. «Volontariato è gratuità»

«Non ho nessun rimpianto. Nella vita ho sempre cercato di rispondere a quello che mi era richiesto dalla gente e dalla Chiesa. Anzi, un rimpianto ce l’ho: nei mesi scorsi ho presentato il mio ultimo libro in giro per l’Italia, ma ho dovuto interrompere questi appuntamenti. Avevo dimenticato di aver passato i novanta anni. Il mio corpo protestava, prova ne è il bastone al quale ora mi appoggio. Per il presente poi ho una grande preoccupazione: ho seguito per trent’anni dal suo interno il volontariato. Oggi temo stia perdendo la sua anima, cioè la gratuità».


Cinema

La sezione Cinema del Premio sant’Antonio vuole offrire un riconoscimento a un film che abbia contribuito a far conoscere al vasto pubblico un mondo di valori, di impegno, o che abbia saputo denunciare in modo costruttivo situazioni di degrado. La Giuria, presieduta dal regista Eugenio Cappuccio, ha deciso quest’anno di premiare il film Gomorra di Matteo Garrone. Ispirato al best-seller di Roberto Saviano, il film è stato girato nei luoghi più degradati della periferia di Napoli ed è un atto di accusa preciso e documentato contro le attività criminali della camorra. A ritirare il Premio, nel corso della serata padovana, sono stati lo sceneggiatore del film, Massimo Gaudioso, e l’attrice Maria Nazionale.


Matteo Garrone. Raccontare il male con purezza

«Gomorra è un film che cerca di raccontare dall’interno il mondo della camorra, evitando di dare giudizi, e mettendo in evidenza quella zona grigia dove tutto si confonde, bene e male, legale e illegale. Non mi aspetto che questo film cambi le cose: questo è un compito che spetta ai politici; però può aiutare a riflettere sulla condizione umana e sulla condizione di tante persone che vivono schiacciate da un sistema che li coinvolge. Io ho cercato di raccontare queste storie: spero di aver utilizzato un linguaggio che abbia una sua “purezza” , capace di incidere per questo sul piano sociale. Mi auguro che il film abbia fornito strumenti per riflettere su una realtà globale che, purtroppo, non coinvolge solo Napoli».


Televisione

Il Premio per la categoria Televisione, che viene attribuito al protagonista di un programma o a una trasmissione che abbiano saputo cogliere le problematiche dell’uomo d’oggi, offrendo risposte dettate da valori umani e spirituali in sintonia con l’etica e i valori del cristianesimo, è andato quest’anno all’attore Ettore Bassi, splendido interprete del Poverello di Assisi nella fiction televisiva Rai Chiara e Francescodiretta da Fabrizio Costa. Ettore Bassi è conosciuto dal pubblico per la fiction Carabinieri, per aver presentato programmi per ragazzi, per aver partecipato a importanti sceneggiati televisivi come San Pietro con Omar Sharif, Giuseppe Moscati con Beppe Fiorello e naturalmente Chiara e Francesco di Fabrizio Costa; ma è stato anche conduttore della Giornata Mondiale della Gioventù nel 2000.

Una curiosità: ha iniziato la sua carriera artistica come prestigiatore grazie all’incontro con un salesiano speciale: il Mago Sales, don Silvio Mantelli.


Ettore Bassi. Il volto umano di Francesco

«Quando mi hanno proposto l’interpretazione di Francesco ero carico di entusiasmo e, al tempo stesso, di tanta paura. La figura del Poverello di Assisi mi è sempre parsa talmente grande che mi sono chiesto se sarei riuscito a disegnarla in tutte le sue sfaccettature. D’accordo col regista abbiamo puntato non tanto su una figura che avesse già le prerogative del santo, bensì sulla straordinaria umanità e sulla perfetta normalità di un ragazzo come tanti altri. Il momento più emozionante? Quando la costumista mi ha fatto indossare il saio, ma più ancora la scena in cui Francesco abbraccia il lebbroso. In quel momento ho provato qualcosa che mi ha toccato dentro come mai mi era capitato prima».
 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017