Profeta per un mondo nuovo

Chi era monsignor Oscar Romero? Quali conseguenze ha avuto il suo martirio nel mondo e nella Chiesa? In attesa della sua beatificazione il 23 maggio, viaggio alla scoperta di un grande uomo che fece della difesa dei perseguitati una ragione di vita.
24 Maggio 2015

In America Latina ogni tanto capita che per le vie delle città qualche negozio abbia affisso in vetrina un cartello con su scritto: «Cercasi banconisti», oppure – in caso di ristoranti – «Cercasi cuochi». Come sarebbe bello se anche le chiese appendessero alle loro pareti il messaggio «Cercasi urgentemente profeti»! In effetti questa necessità – in Sudamerica come anche nel resto del mondo – ci sarebbe eccome…

Ma risvegliare le vocazioni e attualizzare la figura del profeta non è impresa semplice, perché richiede una forte unione tra Chiesa e popolo. La stessa che lo scorso 24 marzo – in occasione dei trentacinque anni dal martirio dell’arcivescovo Oscar Romero (ucciso nel 1980 da un cecchino legato al partito salvadoregno di estrema destra) – ha animato la comunità cristiana di El Salvador. E ancora, la stessa unione che il prossimo 23 maggio – durante la cerimonia di bea­tificazione di Romero a San Salvador – collegherà il mondo cattolico a ogni latitudine.

Prima di unirsi a questa celebrazione di memoria e profezia, però, è il caso di approfondirne un po’ il significato. Chi era monsignor Oscar Romero? Quali conseguenze ha avuto la sua morte in Sudamerica e nel mondo? Inoltre, come si può far rivivere il suo insegnamento nella Chiesa e nella società d’oggi?

Dalla parte dei deboli Oscar Romero era un vescovo tradizionale, clericale e, in un certo senso, «ingenuo» quando fu nominato arcivescovo di San Salvador, capitale di El Salvador, nel febbraio del 1977. A quel tempo non aveva ancora compiuto 60 anni. Il suo Paese era immerso in una guerra civile sanguinosa. Un governo militare imponeva un ordine sociale ed economico che massacrava i più poveri; chi provava a contestarlo spariva. «Quando monsignor Romero prese possesso dell’arcidiocesi, non era d’accordo sull’inserirsi in questioni sociali e politiche – ricordò il suo successore, Artur Rivera y Damas, all’indomani dell’assassinio –. Pochi giorni dopo il suo ingresso, però, uccisero padre Rutílio Grande, uno dei suoi collaboratori più vicini. L’omicidio di padre Rutílio, insieme a quello di un contadino e di un suo figlio ancora bambino, provocò un cambiamento nell’attitudine dell’arcivescovo. Da quel momento in poi (…) iniziò ad assumere un atteggiamento di netta difesa dei perseguitati e di denuncia di ciò che capitava nel Paese».

La svolta di monsignor Romero emerge anche dai ricordi del teologo e amico gesuita Jon Sobrino: «In genere, a 59 anni, le persone si accomodano nelle loro strutture mentali, e ciò avviene soprattutto quando ricevono un incarico di potere, come capita a un vescovo. Romero invece fu capace di cambiare pensiero e modalità di vita. Cambiò il modo di essere vescovo». Pochi giorni dopo il martirio dell’amico, Jon Sobrino scrisse: «Anche se mi appare semplice o strano dirlo, Romero fu un uomo che credette in Dio». Oggi quelle parole acquistano ancor più forza. Romero ebbe il coraggio di credere in Dio, facendo cadere le immagini che collegano proprio il Signore al potere e allo status quo. Per l’arcivescovo avere fede significava assumere radicalmente la volontà divina. Un messaggio che egli espresse chiaramente all’Università cattolica di Lovanio il 2 febbraio 1980. Giunto nella città belga a ricevere la laurea honoris causa, Romero spiegò che, quando si tratta di favorire la vita o la morte, non esistono posizioni intermedie.

«Vediamo con grande chiarezza che in questa scelta non esiste neutralità possibile – spiegò –. O serviamo la vita dei salvadoregni o siamo complici della loro morte. E qui si concretizza la mediazione storica di ciò che è più fonda­mentale nella fede: o crediamo in un Dio vita o serviamo gli idoli della morte».

Legato a doppio filo a El Salvador – Stato dove era nato il 15 agosto 1917 –, Romero si impegnò a cambiare le strutture del Paese. Diceva che la povertà estrema dei contadini tocca il cuore di Dio, e che quando si nega la dignità dell’essere umano, si nega l’esistenza di Dio. Per queste convinzioni che gli avevano già fruttato diverse minacce di morte, nel pomeriggio del 24 marzo 1980 Romero fu ucciso da un colpo d’arma da fuoco mentre celebrava la Messa nella cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza a San Salvador.

Conseguenze del martirio L’omicidio di Romero attirò l’attenzione di tutto il mondo e accese i riflettori sulla realtà iniqua di El Salvador. Qualche anno dopo la morte dell’arcivescovo la dittatura del Paese cadde. Man mano il popolo riuscì a eleggere governi democratici e a operare dei cambiamenti nella struttura sociale. E così, se la forte disuguaglianza non fu mai del tutto estirpata, almeno la violenza da parte dello Stato subì una battuta d’arresto. Oggi El Salvador, in cerca di giustizia per il suo popolo, sta vivendo un processo d’integrazione nel continente sudamericano.

Quanto a Oscar Romero, col suo esempio l’arcivescovo salvadoregno è divenuto testimone dell’amore divino per i latinoamericani, profeta dei poveri e martire di giustizia nel mondo. Non a caso, dalla celebrazione del nuovo millennio (2000) nella Cattedrale anglicana di Londra, il prelato compare tra i martiri cristiani del XX secolo. Eppure, fino all’elezione di papa Bergoglio, la maggior parte dei membri della gerarchia cattolica ha sempre ignorato o sminuito la testimonianza di Romero. Solo con l’arrivo di papa Francesco la Chiesa ha imboccato la strada del processo di canonizzazione del religioso. Un passo importante per i cristiani europei, ma quasi scontato per quelli sudamericani che – sin dalla sua morte – lo hanno sempre ritenuto santo, attribuendogli l’appellativo di «San Romero delle Americhe».

Testimoniare oggi Nei trentacinque anni che ci separano dal 1980 – quando Romero diede la vita per il suo popolo povero e perseguitato –, l’orientamento teologico e pastorale della gerarchia cattolica è molto cambiato. In generale, la solidarietà verso gli oppressi è diventata tema di molti discorsi episcopali, di documenti ecclesiali, nonché una priorità per organizzazioni cattoliche quali Caritas, Commissione per la giustizia e la pace e così via. Nella maggioranza dei casi, però, la solidarietà è diventata tema generico come, ad esempio, nei discorsi dei governanti e dei vertici Onu. Non è più una scelta di vita quotidiana e un cammino concreto, come lo è stato per Oscar Romero e per tanti vescovi-profeti latinoamericani, italiani e di altri Paesi, negli anni Settanta.

Oggi sono molte le persone incantate dalla testimonianza e dalle parole profetiche di papa Francesco. Eppure sembra che la modalità nuova di essere Chiesa proposta dal Pontefice non abbia ancora raggiunto molte realtà locali; pare che abbia toccato il cuore di tanti laici, senza riuscire a convertire altrettanti padri e vescovi. In effetti, la vocazione profetica oggi non è più portata avanti da pastori come Romero, piuttosto è mantenuta e approfondita da gruppi di laici, ecclesiali o no, che cercano un possibile «mondo nuovo». Ma in concreto, che cosa significa tutto ciò?

Esiste in ogni Paese un’articolazione di movimenti sociali impegnati a cercare un nuovo socialismo democratico per il XXI secolo (la stessa America Latina di recente sta assistendo a una vera risurrezione di popoli indigeni da anni considerati in estinzione). Attualmente tali gruppi sono bersaglio di minacce da parte di élite sociali, politiche ed economiche che continuano a distruggere la natura, a imporre le proprie armi e i propri metodi.

Per affrontare al meglio tanti ostacoli, i movimenti sociali possono prendere spunto dalle parole che il 9 marzo 1980, esattamente quindici giorni prima del suo martirio, monsignor Oscar Romero pronunciò durante un’omelia: «Sono frequentemente minacciato. Da cristiano non credo alla morte senza risurrezione. Se mi uccidono, risorgerò nel popolo salvadoregno. (…) Offro a Dio il mio sangue per la liberazione e per la risurrezione del mio Paese. Il martirio è una grazia che non credo di meritare. Ma, se Dio accetta il sacrificio della mia vita, che il mio sangue sia seme di libertà e il segno di una speranza che, a breve, diverrà realtà. (…) Un vescovo morirà, ma la Chiesa di Dio, che è il suo popolo, non morirà mai».   *Monaco benedettino, teologo, scrittore e coordinatore latino-americano dell’Associazione ecumenica dei teologi e delle teologhe del Terzo Mondo (ASETT).  

I LIBRI 

Maria Clara Bingemer, OSCAR ROMERO. Martire della liberazione EMP, pp. 228, € 22,00  Oscar Arnulfo Romero,Jesús Delgado, «LA CHIESA NON PUÒ STARE ZITTA». Scritti inediti 1977-1980 EMI, pp. 144, € 13,00  Antonio Agnelli, OSCAR ROMERO. Profeta di Dio EMP, pp. 96, € 9,00  

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017
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