Pubblicità, come difendersi

Viviamo immersi in un flusso continuo di messaggi pubblicitari. Impariamo a smontare gli spot, per individuarne i significati nascosti ed evitare così di esserne troppo condizionati.
24 Agosto 2010 | di

Possiamo anche non volerlo, opporre resistenza, minimizzare, ma la realtà non cambia: siamo tutti immersi in un fiume in piena di pubblicità, che esercita una grande influenza sulla nostra cultura sociale. L’invasione, peraltro, è in costante crescita: sbaglieremmo se pensassimo di essere già stati colonizzati a sufficienza. Per capire i reali ordini di grandezza, basti pensare che uno statunitense, in media, passa tre anni della sua vita a guardare spot televisivi. E in Italia probabilmente la situazione è ancora più grave, tra reclame, inserzioni, cartellonistica, banner, spot e, come annuncia qualche presentatore tv interrompendo il suo programma, «consigli per gli acquisti». Come difendersi da questa inondazione di messaggi, non certo neutri? Abbiamo girato la domanda a Vanni Codeluppi, docente di Comunicazione pubblicitaria e Sociologia dei consumi nella Facoltà di Scienze della comunicazione e dell’economia dell’Università di Modena e Reggio Emilia.

In questo dossier il professor Codeluppi – autore di Persuasi e felici? Come interpretare i messaggi della pubblicità (Carocci 2010) – ci fornisce alcuni strumenti utili a smontare gli spot e a individuare quali significati essi producono.

In genere col termine «pubblicità›› si intende una forma di comunicazione che consente di esercitare un’opera di persuasione su qualcuno per influenzare le sue scelte d’acquisto. Le aziende la commissionano di solito a degli specialisti, allo scopo di raggiungere obiettivi di tipo commerciale: incrementare le vendite, migliorare l’immagine dei prodotti, contrastare le iniziative dei concorrenti, e simili. Una volta realizzata, la pubblicità viene veicolata attraverso i mezzi di comunicazione a disposizione.

È difficile individuare con certezza la «data di nascita» della pubblicità. Tuttavia già nell’antichità i commercianti usavano numerose insegne per attirare i clienti. La necessità di pubblicizzare, dunque, è nata soprattutto con il passaggio dall’offerta di prodotti per strada a quella all’interno di un locale chiuso come la bottega. Questo passaggio, infatti, rese necessario ricorrere a un vistoso segnale esterno, per richiamare l’attenzione dei passanti.

Nel corso dei secoli, la pubblicità ha progressivamente sviluppato e affinato il suo linguaggio, ricorrendo in misura sempre maggiore agli strumenti di comunicazione e adattandosi di volta in volta alle nuove tecnologie che comparivano: la stampa, il cinema, la radio, la televisione, internet, ecc. E così oggi la pubblicità rappresenta il più potente mezzo di cui le imprese dispongono per rivolgersi ai loro consumatori.


Come funziona

Le conoscenze disponibili sul funzionamento della pubblicità portano a ritenere che quest’ultima operi, più che determinando i comportamenti d’acquisto, stimolando la nascita di una disposizione d’animo favorevole, che potrà poi tradursi nell’atto d’acquisto desiderato dal committente. Per ottenere questo risultato, i pubblicitari cercano soprattutto di associare ai prodotti dei significati e delle immagini piacevoli. Il consumatore odierno, infatti, più che la soddisfazione di bisogni di tipo funzionale, cerca nei prodotti numerosi significati di cui pensa di avere bisogno nella sua vita sociale: il successo, il prestigio, il potere, il fascino, la bellezza, e così via.

Pertanto i pubblicitari, per massimizzare l’efficacia dei loro messaggi, «catturano» dei significati che sono già conosciuti dai consumatori, cioè che già esistono nella cultura sociale, e li immettono nei prodotti venduti sul mercato. Basta dunque che la pubblicità affianchi nella stessa immagine, ad esempio, uno sconosciuto flacone di profumo francese a un’affascinante attrice perché i significati socialmente attribuiti a quest’ultima vengano percepiti come appartenenti al flacone. E perché il consumatore sia portato a pensare che, acquistando tale prodotto, i significati propri dell’attrice possano passare a lui. La pubblicità, infatti, suggerisce sempre allo spettatore che la sua vita migliorerà se comprerà ciò che gli si sta offrendo.

Certamente, i messaggi pubblicitari indirizzati ai consumatori possono incontrare nell’ambiente sociale e di mercato anche numerosi ostacoli. Ai tradizionali fattori individuali che sono stati scoperti in passato dagli psicologi e che sono in grado di «filtrare» la ricezione dei messaggi trasmessi dai media (esposizione, percezione e memorizzazione selettiva), va aggiunta l’attuale situazione della cultura sociale e del mondo dei media, che si caratterizza per un’elevata quantità di messaggi in circolazione. Si pensi, ad esempio, al gran numero di spot presenti in televisione all’interno di un singolo blocco, ma anche al fatto che queste reclame devono competere oggi con molti altri messaggi che lottano accanitamente per conquistare l’attenzione delle persone.

La pubblicità però, nonostante ciò, funziona. Lo dimostrano molte ricerche di tipo psicologico: i messaggi pubblicitari dispongono di un notevole potere di suggestione sulle persone. E ci sono anche delle categorie sociali, come i bambini e gli anziani, che devono essere considerate «deboli», perché gli strumenti culturali che hanno a disposizione non permettono loro di difendersi adeguatamente dall’influenza esercitata da tali messaggi. Pertanto, è necessario che queste categorie vengano protette e che il funzionamento della pubblicità, come dei media in genere, sia controllato e regolato da apposite norme. Non va dimenticato, infatti, che la pubblicità e tutti i mezzi di comunicazione, agendo in una situazione di libero mercato, tendono a perseguire obiettivi di profitto e a essere quindi liberi nei loro comportamenti, spesso arrivando a raggiungere eccessivi livelli di volgarità e violenza, agendo in maniera disonesta o dimenticando quali sono i tabù sociali che è necessario non toccare per non urtare la sensibilità delle persone.

La pubblicità comunque resta uno strumento e come tale non è per forza negativa di per sé. Dipende dall’uso che ne viene fatto, il quale può produrre degli effetti positivi oppure negativi nella cultura sociale. Lo stesso, d’altra parte, si può dire della televisione, del cinema o di tanti altri strumenti di comunicazione che operano nelle società contemporanee. Ne deriva quindi che la pubblicità diventa negativa solo se viene impiegata in modo volgare, scorretto o con il consapevole proposito di ingannare.

Anche in questi casi, però, la responsabilità non è da attribuire soltanto alla pubblicità. Questa, certo, va regolamentata con apposite norme, ma vi sono anche altri soggetti che non svolgono adeguatamente il loro compito: la famiglia, che spesso non educa in maniera adeguata i propri figli, e la scuola, l’ambito educativo più importante della società, che frequentemente fornisce allo studente un’istruzione nozionistica, ma non un vero aiuto per la formazione del carattere, né, tanto meno, quegli strumenti culturali necessari per imparare a leggere in maniera consapevole i messaggi pubblicitari.


Come proteggersi

Oggi raramente si tenta di educare le persone a smontare gli annunci pubblicitari per individuare i significati che essi esprimono. Eppure, poter svolgere questa attività è fondamentale per tutti, se si vuole essere attivi protagonisti della società in cui si vive.

Chi voglia porsi in un atteggiamento di lettura consapevole dei messaggi pubblicitari deve provare a scomporli nei principali elementi di cui sono costituiti, per arrivare all’individuazione dei più importanti significati da essi prodotti. Deve cioè comprendere, ad esempio, che nei messaggi pubblicitari è presente una raffigurazione della realtà che è ingannevole perché estremamente semplificata. In essa, infatti, le persone sono irreali perché incarnano delle categorie demografiche o dei tipi sociali astratti, anziché delle persone definite con precisione. La pubblicità, infatti, avendo la necessità di comunicare velocemente e attraverso modalità semplici e prive di ambiguità, fa in modo che le espressioni facciali, le pose, i comportamenti e le situazioni reali dei soggetti rappresentati tendano verso un elevato livello di standardizzazione. Crea cioè quel fenomeno che il sociologo americano Erving Goffman ha denominato «iper-ritualizzazione», per indicare che la pubblicità trasforma in stereotipo l’immagine sociale delle persone (soprattutto per ciò che riguarda il loro ruolo sessuale), delle attività e delle situazioni.

Ma è soprattutto attraverso la marca che la pubblicità è in grado di produrre modelli di comportamento che possono influenzare le persone. La marca, infatti, è nata per dare un nome e un volto rassicurante agli oggetti prodotti industrialmente, di per sé anonimi e indifferenziati. L’impresa, grazie alla marca, può stabilire una relazione diretta con il consumatore senza doversi impegnare in prima persona. Le marche, per poter ottenere questo risultato, danno vita a un proprio mondo culturale che sviluppano appropriandosi di una porzione della più ampia cultura esistente nella società. Dapprima individuano uno specifico valore sociale, poi utilizzano le diverse forme di comunicazione disponibili, il design degli elementi d’identità visivo-verbali (nome, logo e altri codici della marca), il profilo del prodotto, l’aspetto dei punti vendita, le iniziative realizzate insieme ad altre marche, i siti attivi su internet e le persone che operano nell’azienda allo scopo di costruire attorno a tale valore un mondo comunicativo dotato di una precisa identità. E dunque per renderlo appetibile e coinvolgente agli occhi dei consumatori, come mostrano gli esempi di pubblicità di marca che vengono analizzati nei box. In essi sono indicate alcune attenzioni fondamentali per chiunque voglia muoversi in maniera non ingenua in un mondo nel quale – lo abbiamo visto – tanta parte ha il «saper vendere»: in ballo non c’è solo l’essere buoni consumatori, ma l’essere buoni cittadini.



Zoom. Vodka Absolut

La pubblicità di Absolut, più che un annuncio di prodotto, si presenta soprattutto come un annuncio di marca. Infatti, non insiste sulle caratteristiche concrete del prodotto, ma tenta di associare al nome di marca un mondo simbolico sofisticato e di perfezione «assoluta».

Absolut dunque è vissuta dai consumatori non come una marca di liquori, ma come un puro concetto astratto e riesce pertanto a evitare di essere confusa con i prodotti concorrenti.

La pubblicità di Absolut lavora su quella che nel gergo dei pubblicitari si chiama «identità visiva» della marca e corrisponde sostanzialmente allo stile specifico che caratterizza il lavoro degli artisti. Presenta infatti di solito una struttura espressiva stabilizzata e riconoscibile (con la silhouette della bottiglia al centro dell’immagine), che permette di collegare ogni singolo messaggio emesso all’identità della marca che l’ha collocato sul mercato. Proprio per questo, Absolut ha potuto creare nel corso degli anni diverse centinaia di annunci stampa nei quali la bottiglia ha assunto la funzione di contenere simbolicamente realtà culturali molto diverse: città come Los Angeles – richiamata attraverso le piscine delle lussuose ville di Hollywood – o New York, personaggi come Marylin Monroe o Andy Warhol, locali alla moda e via dicendo. La bottiglia, insomma, è sparita, ma è rimasta la sua silhouette, che viene associata così a numerose realtà culturali differenti.

La presentazione di realtà culturali diverse da associare a vodka Absolut permette di costruire un mondo di marca particolare che fa riferimento a una congerie culturale precisa: giovane, globale, in continuo movimento, alla moda e connessa con tutti i principali fenomeni. Tale mondo è in grado di sollecitare ciò che è già presente nella mente del destinatario, e consente perciò di stabilire un rapporto di complicità.

Al consumatore promette naturalmente di soddisfare il suo desiderio di «fusione» con ciò che contiene, se acquista il prodotto.


Zoom. Mc Donald’s

McDonald’s propone ai suoi consumatori un mondo di marca rivolto all’infanzia e che cerca principalmente di esprimere dei significati di felicità. Uno spot di McDonald’s mostra frontalmente un bambino molto piccolo che oscilla su un’altalena all’interno di una stanza. Durante queste oscillazioni ride quando si avvicina e piange quando si allontana. Lo spettatore è incuriosito da questo comportamento che non riesce a spiegare. A un certo punto, però, anche lo spettatore vede quello che vede il bambino: una finestra al di là della quale compare e scompare l’insegna luminosa di un ristorante McDonald’s. Ecco dunque spiegato il motivo dei passaggi repentini dal riso al pianto e viceversa. Il messaggio comunicato dallo spot è che basta la semplice visione del marchio McDonald’s per rendere allegri, perché fa pensare a tutte le esperienze piacevoli che sono possibili nel mondo della marca.

Troviamo in questo spot quella dimensione ludica che caratterizza il mondo infantile, perché il bambino si diverte con un gioco classico come l’altalena, ma anche perché in realtà sta praticando anche un altro gioco basato sulla scomparsa e ricomparsa di qualcosa. Un gioco che Sigmund Freud ha interpretato come il tentativo inconscio del bambino di padroneggiare un’esperienza spiacevole quale l’allontanamento da casa della madre. Ne deriva che la marca McDonald’s tende a mettere in evidenza con questo spot la sua natura materna e la sua capacità, propria di ogni madre, di calmare con la sola presenza le angosce dei bambini. Del resto, in generale questa marca si propone sempre come un mondo femminile e materno. L’hamburger di McDonald’s, ad esempio, è un «sostituto materno», in quanto, morbido e soffice com’è, dà una risposta a quel bisogno di calmare l’angoscia che tutti hanno cercato di soddisfare dapprima succhiando il seno materno e poi succhiando il proprio pollice da bambini o portandosi caramelle o sigarette alla bocca da adulti.



I libri

Vanni Codeluppi, Persuasi e felici? Come interpretare i messaggi della pubblicità Carocci, pagine 168, € 17,00

Vance Packard, I persuasori occulti Einaudi, pagine 286, € 11,50

Chiara Giaccardi, I luoghi del quotidiano. Pubblicità e costruzione della realtà sociale Franco Angeli, pagine 272, € 27,00

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017