Quale futuro per Cuba?

Mentre i riflettori si sono ormai spenti, il destino dell’isola di Castro è in gestazione. Fidel si è accorto che il papa rappresenta una posizione forte e autonoma nel quadro internazionale. Già liberati i primi dissidenti.
07 Marzo 1998 | di

I riflettori si sono spenti su Cuba dopo la visita di Giovanni Paolo II e l`€™incontro con Fidel Castro. Le televisioni e i giornali hanno seguito questo viaggio come raramente avviene con altri spostamenti del papa. È successo solo con i difficili viaggi papali in Polonia durante il regime comunista. Viene da chiedersi il perché di questo grande interesse collettivo per l`€™isola caraibica. Indubbiamente nell`€™immagine dell`€™incontro tra il comandante della rivoluzione e il papa c`€™è tanta storia del Novecento: c`€™è la vicenda dell`€™utopia comunista e delle sue realizzazioni, e c`€™è la storia del suo scontro con il cristianesimo.

In Italia, dove cattolici e comunisti sono stati realtà  determinanti per quasi mezzo secolo, è ovvio l`€™interesse per l`€™incontro tra il papa e Fidel. Del resto, i cattolici e i comunisti si sono combattuti. Ma anche si è tanto discusso l`€™incontro tra di loro. Incontro culturale, come nel dialogo tra marxisti e cristiani; ma anche incontro politico, come nella teoria del compromesso storico, elaborata da Enrico Berlinguer dopo la tragica fine di Allende in Cile. Era una stagione in cui si pensava che il comunismo, se non era eterno, sarebbe almeno durato a lungo. Del resto, i due mondi, quello cattolico e quello comunista, hanno anche sentito l`€™uno il fascino dell`€™altro. L`€™anticapitalismo marxista ha affascinato i cattolici. I marxisti hanno più volte coinvolto i cristiani nella loro politica.

Giovanni Paolo II ha rappresentato un cristiano dell`€™Est, che non ha ceduto al fascino del comunismo. Tuttavia, mi appaiono semplificatorie alcune rappresentazioni del papa come colui che ha rovesciato i regimi dell`€™Est. Se ne è parlato molto durante la visita del papa a Cuba. Il peso politico di Giovanni Paolo II nella crisi dell`€™Est non può essere sottovalutato, ma il suo ruolo è espressivo di quella resistenza del cristianesimo e dei cristiani alla ragion di stato marxista, per cui ogni uomo e ogni popolo possono essere piegati per costruire la società  socialista. Si tratta di un substrato ideale e umanistico che è nei caratteri originali di alcuni popoli.

Ci sono stati cristiani resistenti e cristiani acquiescenti nell`€™Est. Ci sono stati vescovi e intere chiese che hanno scelto la via della collaborazione. La storia della chiesa ortodossa di Mosca, a partire dal patriarca Tikhon (ora canonizzato), è stata quella di mostrarsi leale e patriottica di fronte al regime sovietico. Alcuni cristiani russi hanno contestato questa politica. Il cardinale Wojtyla a Cracovia rappresentava una posizione ferma di fronte al comunismo. Ma il problema è, forse, al di là  delle singole scelte. È sorprendente che il comunismo sia finito nell`€™89 in tutti i paesi che hanno alle loro spalle una tradizione cristiana, e sia sopravvissuto, invece, in Asia, dove questa tradizione non c`€™è, anche osando impensabili aperture al capitalismo e al libero mercato.

In alcuni paesi dell`€™Europa orientale, la forza politico-sociale dei cristiani era ridotta a una quantità  trascurabile durante i regimi comunisti. Forse non era così in Polonia, ma altrove sì. Ma il senso della vita umana, quale viene dalla tradizione cristiana, era però nel fondo della cultura di tanti popoli dell`€™Est. Questo ha costituito un elemento non trascurabile della resistenza al comunismo: è stata in un certo senso una realtà  alternativa, interna e interiore mai sopita, alla visione di quei sistemi. Certo, questa alternativa non era politica, ma trovava rifugio nelle liturgie celebrate nelle poche chiese ortodosse rimaste aperte, nella pietà  cattolica, talvolta nella letteratura segnata in profondità  dal cristianesimo, altre volte nel fascino delle Scritture... L`€™Occidente capitalista e democratico era invece un`€™alternativa esterna, che filtrava nel chiuso mondo comunista.

Abbiamo studiato molto `€“ lo dico anche personalmente `€“ i rapporti tra chiese e comunismo, ma forse bisognerebbe riflettere di più su quell`€™elemento profondo di alternativa e di resistenza cristiana, al di là  delle strategie politiche o ecclesiastiche. Giovanni Paolo II ha incarnato questa alternativa, religiosa e non politica, per i polacchi e per molta gente dell`€™Est. Si capisce bene l`€™interesse di vederlo ora accanto al leader dell`€™ultimo regime comunista in un paese dalla forte tradizione cristiana (anche se non così forte come nell`€™Est). È l`€™inizio della crisi del regime o un evento che la capacità  politica di Castro saprà  riassorbire?

Mentre i riflettori si sono ormai spenti sull`€™isola, il futuro di Cuba è in gestazione. Castro si è accorto che il papa rappresenta un posizione forte e autonoma nel quadro internazionale, anche se molto diversa dalla sua. La visita di Giovanni Paolo II ha dato forza ai cattolici, che oggi appaiono come un attore importante della vita cubana. Il regime ha allentato un po`€™ la sua presa sulla società , attuando una certa liberalizzazione.

Sono in gioco elementi complessi e contraddittori. Castro conserva l`€™iniziativa politica, però in presenza di altri attori. Non è facile fare previsioni: 'Chi vivrà , vedrà ', ha detto Giovanni Paolo II ai giornalisti che lo interrogavano. È certo che Castro ha operato un importante riconoscimento di quel cristianesimo che è nel profondo e nella vita del popolo cubano. Ma ogni pagina della storia non è mai uguale alle precedenti.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017