Quale futuro per gli italiani all'estero?
I rapporti con gli italiani all’estero stanno subendo le conseguenze di una crisi economica che ha coinvolto il mondo. Ma anche istituzioni ed enti che, in nome del governo italiano, hanno il compito di garantire lo svolgimento dei programmi per la promozione della lingua e della cultura italiana, il mantenimento dei servizi previdenziali e sanitari, il sostegno dell’informazione, della formazione professionale e delle attività associazionistiche. Tutto ciò in uno stile aperto ai contesti interculturali e interetnici, in cui vivono gli italiani e i loro discendenti nel mondo. Contesti che caratterizzano l’alterità della loro identità.
La mancanza di finanziamenti, causata da tagli purtroppo già programmati dal governo italiano, sta creando un blocco, se non un annullamento, del processo storico che, anche con sacrifici, ha prodotto in ogni continente tante eccellenze italiane. Possiamo ancora sperare nel futuro dell’«italianità» nel mondo? Emerge sempre più evidente che esso è legato al coinvolgimento delle nuove generazioni. I giovani dovrebbero essere la motivazione fondante di una nuova politica globale, del governo e delle istituzioni, finalizzata al mantenimento o al recupero del legame con l’Italia.
Un rapporto vissuto come senso di appartenenza alla cultura e al retaggio storico e morale legato alla terra di origine. Un rapporto che può essere allargato a quanti, italofili o italofoni, hanno scelto di arricchire il loro patrimonio conoscitivo attraverso lo studio della nostra lingua. Un rapporto particolare, perché si fonda su ciò che ha reso l’Italia terra privilegiata, per le sue bellezze naturali e artistiche. Basti qui ricordare i 34.689 corsi di lingua e cultura italiana promossi nel mondo dal ministero degli Affari Esteri, per l’anno scolastico 2006/2007, con un totale di iscritti che ha sfiorato le 650 mila unità. E poi le molte iniziative socio-culturali organizzate dalle associazioni italiane.
Sono dati che ci offrono un motivo per alzare lo sguardo sul futuro dell’italianità e per stimolare un dibattito sulle sfide che dobbiamo affrontare e sulle occasioni che dobbiamo valorizzare, in un contesto di crisi economica esteso anche ai Paesi nei quali l’emigrazione italiana è più presente. E questo dibattito deve coinvolgere soprattutto quei media che rivolgono la loro attenzione all’altra Italia. Una comune consapevolezza può aiutarci a non soccombere di fronte al peso dell’emergenza, allargando la solidarietà e rendendoci capaci di nuovi progetti.
Nel dicembre scorso, a Roma, ho partecipato alla prima Conferenza dei giovani italiani nel mondo. Negli interventi di quanti si sono fatti portavoce dei 417 giovani venuti dai cinque continenti, ho constatato una forte voglia di italianità sul piano umano, culturale e politico, nel significato più alto del termine. Ma ho visto anche l’espressione di un senso di appartenenza orientato alla valorizzazione delle identità e a prospettive professionali. Dopo mesi da quell’evento voluto dal Cgie, che è stato uno dei più lungimiranti attuati in questi ultimi anni, mi chiedo quali iniziative siano state attuate, in risposta alle istanze contenute nei documenti finali della Conferenza.
Da parte loro, i giovani hanno continuato a intrattenere i loro contatti tramite i nuovi e provvidenziali mezzi di comunicazione. Attraverso i social network come, ad esempio, Facebook, si sono creati nuovi gruppi di italiani all’estero. Ciò che i ragazzi attendono è una svolta della politica italiana per l’altra Italia. Auspicano risposte, legami più forti e continuativi con le istituzioni e con le associazioni e forse un eventuale nuovo appuntamento di verifica e di rilancio degli obiettivi non ancora raggiunti. Il tutto per il compimento di un progetto globale che coinvolga il governo italiano, le Regioni, il mondo associazionistico e quanti sperano nel futuro dell’italianità nel mondo.