Quale futuro per il Parlamento europeo?

C’è grande attesa per le elezioni europee del 25 maggio. Con la crisi, è cresciuta la sfiducia, e nell'Unione si stanno rafforzando i partiti antieuropeisti. È tempo di una svolta, che riporti l’Europa dei popoli al centro dell’agenda politica.
22 Aprile 2014 | di

Che significato e che importanza hanno per gli italiani residenti nei Paesi dell’Unione europea le prossime elezioni del Parlamento europeo?

Come si sa, il prossimo 25 maggio i 504 milioni di abitanti dei 28 Stati che fanno parte dell’Unione Europea (la Croazia si è aggiunta il 1° luglio scorso agli altri 27) saranno chiamati a eleggere i 751 membri del Parlamento europeo. L’Italia dovrà eleggere 73 deputati, col sistema proporzionale e l’indicazione delle preferenze, nelle cinque grandi circoscrizioni in cui è diviso il Paese.

Anche gli italiani residenti nei Paesi dell’Unione europea saranno chiamati a votare. Secondo i dati del ministero degli Esteri, si tratta di 2 milioni 430 mila persone, di cui circa 1 milione 580 mila iscritti all’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero).

Quest’anno l’elezione del Parlamento europeo prende un significato nuovo, perché l’istituzione ha assunto, dopo l’entrata in vigore del nuovo trattato di Lisbona – alla fine del 2009 – maggiori poteri, che influenzano direttamente la vita dei cittadini europei. In precedenza il Parlamento si limitava a esprimere il proprio parere sulle varie proposte legislative, e poi era il Consiglio dei ministri dell’Unione a prendere la decisione finale, senza essere obbligato a tener conto di tale parere. Con la nuova procedura, detta di «co-decisione», l’approvazione finale della maggior parte degli atti deve essere il frutto di un accordo esplicito tra Parlamento e Consiglio, i quali, quindi, hanno gli stessi poteri.

Un’altra riforma di grande rilievo riguarda la nomina del presidente della Commissione europea, ormai di competenza del Parlamento. Il nuovo presidente della Commissione sarà chiamato a guidare quest’organo esecutivo, responsabile delle varie politiche dell’Unione, e quindi assumerà enorme importanza la scelta tra i vari candidati ufficiali, che si tratti del socialista tedesco Martin Schultz, del liberale belga Guy Verhofstadt o del cristiano-democratico lussemburghese Jean-Claude Juncker, o di un altro outsider. Sarà uno di questi a determinare, per i prossimi cinque anni, le priorità e l’azione dell’Unione.
 
Rischio astensionismo
Queste riforme hanno accresciuto di molto l’importanza del Parlamento e di conseguenza anche l’esigenza che tutti i cittadini aventi diritto, anche gli italiani residenti all’estero, si rechino a votare. E qui assume particolare evidenza un primo possibile problema: l’astensionismo. Nelle precedenti elezioni del 2009 la media dei votanti nei 27 Paesi è stata del 43 per cento, con percentuali bassissime nei Paesi dell’Est di nuova adesione (Slovacchia 17 per cento, Lituania 21 per cento, Repubblica Ceca 28 per cento ecc.), mentre anche l’Inghilterra non arrivava al 35 per cento.

L’Italia finora faceva parte dei Pae­si più attivi, con il 65,05 per cento di votanti. Con la crisi attuale e le critiche all’Unione Europea e all’euro, da molti considerati, a torto, responsabili della situazione, il pericolo di un forte assenteismo è reale per tutti.

Per quanto riguarda le circoscrizioni estero, la percentuale dei votanti è stata solo del 7,44 per cento, cioè circa 90 mila su 1 milione 200 mila iscritti. A titolo di esempio, nel Belgio – nonostante il Paese sia la sede ufficiale delle istituzioni e ci si potrebbe aspettare un maggior coinvolgimento nelle problematiche europee – la percentuale degli italiani che nel 2009 si sono recati a votare nei seggi aperti dal Consolato è stata bassissima: il 5,60 per cento, pari a circa 10 mila su oltre 180 mila iscritti.
 
Marea populista
Il secondo problema, collegato al precedente, è il possibile successo di partiti euroscettici e antisistema, i cosiddetti «populisti» (cioè quelli che si basano unicamente sulle emozioni e non sulla valutazione obiettiva dei fatti). In Italia le correnti antieuropee sono presenti, con varie sfumature, un po’ in tutti i partiti, ma la tendenza dilaga in Europa, basti citare il Front national in Francia, il partito euroscettico Ukip in Gran Bretagna o le destre olandese, austriaca o ungherese. C’è il rischio di costituire un Parlamento incapace di funzionare o travolto da spinte negative e autodistruttive.

Da qui la necessità di andare a votare e scegliere i partiti (e le persone) che diano garanzie quanto a capacità di analizzare razionalmente i problemi e di trovare soluzioni adeguate, in un contesto di maggior democrazia.

Per quanto riguarda i cittadini italiani residenti nell’Unione europea, iscritti all’Aire, essi potranno recarsi a votare nei seggi stabiliti dal Consolato, dopo aver ricevuto a casa la scheda elettorale. Se si trovassero in Italia al momento del voto, potranno votare nel loro comune di origine, facendone domanda all’ufficio elettorale del comune stesso entro il giorno prima delle elezioni.
 

ZOOM 
L’Europa è ancora un nostro sogno?
 
In un momento in cui l’Europa vive la crisi più difficile della sua storia, a causa delle difficoltà economiche e degli egoismi nazionali, l’interrogativo se essa sia ancora un progetto comune per gli europei è stato oggetto di un incontro organizzato dal Cives, laboratorio di formazione al bene comune, a Campolattaro (Benevento), lo scorso 17 gennaio.

Sgombrando il terreno da sentimentalismi e pregiudizi, Pasquale Ferrara, segretario generale dell’Istituto universitario europeo di Firenze, ha analizzato lo stato attuale dell’Unione, attraverso dati sulle opinioni degli europei, spesso risultati inaspettati. «Le percentuali ci riferiscono che la principale preoccupazione degli europei oggi non è l’immigrazione e non sono le tasse, ma le questioni legate alla situazione economica e alla disoccupazione». Nonostante la crisi, «la fiducia nelle istituzioni europee è ancora un costante punto di riferimento rispetto ai governi nazionali; e riguardo l’euro è da registrare che, nonostante un’importante perdita di credibilità, la maggioranza assoluta degli europei continua a favorirlo».

Rivolgendo l’attenzione alla futura strategia che l’Unione cercherà di perseguire fino al 2020, Ferrara ha posto come obiettivo una crescita intelligente, attraverso investimenti come quello sull’istruzione, focalizzata sulla creazione di posti di lavoro, e la riduzione delle povertà. La sfida centrale è l’unità politica, che «non vuole cancellare le identità nazionali, ma passare a un livello maggiore di condivisione» anche economica. «Per fare questo occorre rifondare l’unione di persone e di intenti, altrimenti corriamo il rischio di tornare indietro», senza esserci liberati da «una ideologia fondata sull’idea che le regole devono essere rispettante in maniera intransigente, anche a costo della validità dei risultati da raggiungere».

L.Z.
 
Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017