Quando nel Colosseo scorreva il sangue

Fino al 7 gennaio dell’anno prossimo l’Anfiteatro Flavio ospita in tre sezioni tutto quello che è rimasto a ricordarci uno spettacolo insieme affascinante e orrido, i giochi gladiatori: sangue e arena, appunto.
08 Ottobre 2001 | di

Nel 1979 il Colosseo, come attestano gli addetti ai lavori, ha corso seri rischi. Per fortuna, chi doveva intervenire lo ha fatto prontamente, cogliendo anzi l`€™occasione per redigere un progetto di più ampio respiro che trasformasse uno dei più ammirati monumenti della capitale, da inerte testimonianza di un glorioso passato e da simbolo della vittoria del cristianesimo sui suoi persecutori, in un luogo da vivere anche oggi.

L`€™operazione sembra riuscita. Non solo i rischi paventati sono stati neutralizzati, ma alcune rappresentazioni teatrali eseguite nell`€™arena opportunamente trasformata in palco, e la stessa mostra che ci accingiamo a descrivere, aprono una nuova promettente pagina nella millenaria storia del Colosseo, per la singolarità , l`€™enigmatica e la "colossalità ", senz`€™altro tra le meraviglie del mondo.

La costruzione del grande anfiteatro, che a suo tempo conteneva oltre cinquantamila spettatori, fu iniziata da Vespasiano nel 75 dopo Cristo sull`€™area di un laghetto che Nerone aveva ricavato davanti alla Domus aurea, il suo splendido palazzo imperiale, di recente recuperato dopo una lunga stagione di scavi. La colossale statua che l`€™imperatore incendiario aveva fatto erigere vicino allo specchio d`€™acqua per celebrare i propri fasti, poi abbattuta da Vespasiano, probabilmente diede il nome al nuovo manufatto: Colosseo.

Vespasiano non vide l`€™opera completata. Toccò al figlio Tito, che nell`€™impresa gettò anche i proventi della vittoriosa guerra giudaica, a inaugurarlo. Avvenne nell`€™80. I festeggiamenti durarono cento giorni. E fu mattanza (come vedremo) perché negli spettacoli, per i quali l`€™anfiteatro era stato costruito `€“ e che facevano impazzire i romani `€“ il sangue scorreva a fiumi. Sangue di animali che si mescolava a quello dei gladiatori in un truculento miscuglio di sadismo, di ferocia e di morte. Il tutto per fare spettacolo.

Per questo la mostra che le Soprintendenze archeologiche di Roma, Napoli e Caserta hanno qui allestito, è stata intitolata "Sangue e arena". E fino al prossimo 7 gennaio essa racconterà , nelle tre sezioni in cui è divisa (vedi riquadro), attraverso plastici, ricostruzioni e dipinti antichi, monete e rilievi la storia del Colosseo e degli anfiteatri campani di Capua e Pompei da dove provengono molti dei dipinti e delle sculture esposte. Ma soprattutto racconterà  i giochi gladiatori, che si svolgevano nel Colosseo e negli altri anfiteatri romani (Circo Massimo, Circo Flaminio), riprodotti in una ricca serie di rilievi figurati.

I giochi, dunque: spettacolari, truculenti, grondanti sangue. Erano attesi e seguiti, come oggi un campionato mondiale di calcio. Non si svolgevano solo nella capitale, ma in altre città  dell`€™impero: lo testimoniano le arene sopravvissute, meno imponenti ma meglio conservate dello stesso Colosseo, e i ruderi di molte altre.

Gli spettacoli erano preceduti da una campagna pubblicitaria, con manifesti affissi nei luoghi più frequentati della città . A Pompei ne sono stati trovati ottanta. Uno di essi dice: "Venti coppie di gladiatori di Decimo Lucrezio Satrio Valente, flamine perpetuo di Nerone Cesare, figlio dell`€™Augusto, e dieci coppie di gladiatori di suo figlio Decimo Lucrezio Valente combatteranno a Pompei a partire dal 4 aprile; la caccia alle fiere e il velario".

Gli imperatori li ammannivano a profusione per celebrare i propri successi, per misurare la propria potenza, vera o presunta, ma anche per tenere buoni i sudditi: panem et circenses (come dire pancia piena e divertimento, n.d.r.), una politica che premia sempre. A volte era l`€™imperatore stesso a organizzarli e aveva caserme nelle quali si allenavano i suoi gladiatori. Qualcuno come Domiziano, che aveva completato il Colosseo aggiungendovi tra l`€™altro l`€™ultimo ordine di gradini, amava anche esibirsi nell`€™arena. Qualche altro, Adriano e Marco Aurelio ad esempio, li seguiva con indifferenza, leggendo e firmando documenti, sotto gli occhi irritati degli spettatori.

Più spesso l`€™editor, così ci chiamava l`€™organizzatore dei giochi, era un questore o un semplice magistrato, aspirante a qualche carica più elevata. Aspirazione costosa, perché per imbastire una settimana, a volte un mese o più di giochi, ci voleva una montagna di soldi: doveva gettare nell`€™arena varie coppie di gladiatori, belve esotiche, giocolieri, macchinari per gli effetti speciali... Per procurarsi i sesterzi, se non ne aveva a sufficienza, andava a battere cassa ovunque sapeva di poter scucire qualcosa. E raramente restavano a mani vuote, anche allora i ricchi sapevano che la generosità  verso il popolo politicamente è vincente.

Per i gladiatori l`€™editor poteva ricorreva al lanista, un impresario, che li addestrava nelle sue palestre. Per gli animali c`€™era un mercato fiorentissimo che attingeva soprattutto alla ricca fauna del continente africano: leoni, tigri, elefanti, zebre, struzzi, ippopotami... catturati da scaltri cacciatori per conto di apposite agenzie.

La vigilia dei giochi l`€™editor offriva ai gladiatori una cena, aperta a tutti (cena libera), in modo che chiunque avesse la possibilità  di vedere da vicino i contendenti, valutarne la forza e commisurare le scommesse.

L`€™inizio dei giochi era solenne. L`€™editor scendeva nell`€™arena preceduto da un folto corteo (pompa) composto dai littori, dai musici (la musica accompagnava lo spettacolo sottolineandone i momenti cruciali), dai portatori di cartelli sui quali erano indicate le coppie dei gladiatori, e via via da tutti i protagonisti della giornata, solitamente suddivisa in tre momenti: la caccia (venatio), la lotta tra gladiatori (munus) e le esecuzioni di prigionieri e malfattori condannati ad belvas, a finire i loro giorni in pasto alle belve.

Caccia ed esecuzioni capitali avvenivano al mattino, allestite entro cornici di grande suggestione. La stessa azione di caccia mimava personaggi ed episodi della mitologia per i quali si creavano scenografie sontuose con paesaggi artificiali, rocce, alberi, corsi d`€™acqua e laghetti. Il tutto azionato da con complessi macchinari per uno spettacolo di indubbio fascino.

Alla fine quello che più eccitava gli spettatori erano però le lotte tra gli animali e dell`€™uomo con l`€™animale, che finivano sempre in una grande mattanza. Devono essersi divertiti allo spasimo, ad esempio, quanti assieparono i gradini del Colosseo (opportunamente protetti da muri e reti) il giorno della sua inaugurazione... L`€™imperatore Tito, come ricordano gli storici Svetonio e Dione Cassio e l`€™epigrammista Marziale, non badò a spese, tirò in lungo per cento giorni offrendo combattimenti di gladiatori in coppia o a gruppi; una caccia durante la quale furono uccisi novemila animali; uno spettacolo acquatico, nel Colosseo inondato, con tori, cavalli e animali vari. E, in un bacino creato nei pressi dell`€™anfiteatro, una battaglia navale. E altri giochi ancora, protagonisti i condannati ad bestias, costretti a impersonare personaggi mitologici.

Ma già  prima che fosse edificato il Colosseo, nel Circo Massimo o in quello Flaminio, erano stati allestite affollatissime cacce. Cesare nel 46 a. C. per celebrare le sue vittorie in cinque giorni di feste fece scendere sull`€™arena del Flaminio quattrocento leoni, alcuni tori e per la prima volta una giraffa, mentre cinquecento uomini appiedati affrontarono venti elefanti...

A finire tra le fauci dei leoni o dilanianti da altre bestie, in questa cornice di ferocia e di sadismo, toccò anche a migliaia di cristiani, damnati ad bestias perché seguaci di Cristo. Nelle arene di Roma e di altre città  dell`€™impero i martiri hanno scritto con il loro sangue stupende pagine di coraggio, di fedeltà  e di amore.

Il combattimento tra gladiatori si svolgeva invece nelle ore pomeridiane. Lo spettacolo era chiamato munus. Ebbe origine in Campania in un contesto religioso funerario. I parenti sentirono di dover (munus) propiziare l`€™anima dei defunti versando sulla loro tomba sangue umano. Agli inizi furono prigionieri o schiavi a finire sgozzati. Poi qualcuno, più sadico, pensò di unire l`€™utile al dilettevole facendo combattere gli schiavi tra loro finché uno non moriva. Ci si consolava della morte uccidendo e godendosi lo spettacolo.

Il primo combattimento gladiatorio a Roma lo offrì `€“ come ricorda lo storico Livio `€“ Decimo Giunio Bruto "in onore del padre defunto".

Con il tempo la passione dei giochi gladiatori si estese al resto dell`€™Italia e delle province. Le arene si riempivano di gente che, scordati religione e riti funebri, voleva solo divertirsi. Sulla scena si avvicendavano gladiatori professionisti, imponenti nelle loro muscolature scolpite da lunghi allenamenti, nelle loro rutilanti armature (come si vede nei molti reperti della Mostra).

Il retiarius avanzava scuotendo la rete che gli serviva a imbrigliare l`€™avversario che poi finiva con il tridente o il pugnale: senza elmo né scudo, come protezione aveva solo il cinturone, la manica sul braccio sinistro e uno spallone metallico, galerus, che copriva la parte superiore del braccio e la spalla sinistra.

Accanto a lui il tradizionale avversario, il secutor, che indossava un elmo vistoso, con la mano sinistra reggeva uno scudo di forma allungata, e nella destra stringeva la spada mentre uno schiniere, ocrea, gli proteggeva la gamba sinistra. Ma c`€™erano anche il traex con un vistoso cimiero, un picco scudo rotondo, la spada corta (sica) e le gambe protette dagli schinieri; il laquearius, privo di elmo e di scudo, si proteggeva la spalla con un galerus, assaliva l`€™avversario con un lazzo, laqueus, che gli serviva per atterrarlo e poi strangolarlo. E altri il cui nome di solito corrispondeva all`€™arma usata per combattere...

Salutato il pubblico che gremiva le gradinate, i gladiatori imbracciavano le armi e si azzuffavano con comprensibile ferocia, solo uno dei due poteva vedere di nuovo il sole sorgere sui colli di Roma: il vincitore. Il soccombente, non appena le ferite si facevano vistose, chiedeva all`€™editor la fine del combattimento, la missio. Toccava all`€™organizzatore decidere, ma non era mai insensibile all`€™urlo della folla che quasi mai era mossa da pietà  e così l`€™editor, pollice verso, alzando cioè la mano con il pollice rivolto verso il basso, indicava che il ferito doveva essere finito.

Il popolo faceva anche un tifo indiavolato, sostenendo coloro che sapevano cavarsela, i campioni. C`€™era un certo Massimo, della scuderia imperiale di Capua, che aveva riportato quaranta vittorie e Fausto, un gladiatore di provincia, che combattendo su un carro, ne aveva ottenute trentasette.

Per costoro il pubblico impazziva e tifava, lanciandosi anche in micidiali zuffe. Tacito ne riferisce una avvenuta nell`€™anfiteatro di Pompei nel 59 dopo Cristo, che ebbe per protagonisti i tifosi di Nocera e quelli di Pompei. "Dapprima si ingiuriarono grossolanamente `€“ scrive `€“ da gente di provincia, quindi presero a tirarsi sassi e infine passarono alle armi. Ebbero la meglio i Pompeiani (...) molti dei Nocerini vennero riportati a casa col corpo mutilato per le ferite e molti piansero la morte di figli e genitori".

Succede anche ai giorni nostri con esiti meno infausti, per fortuna. Ma lo spirito è quello. Ma allora il Senato fu spietato: i Pompeiani si beccarono dieci anni di squalifica, per tutto quel tempo nessuno di loro poté più assistere agli spettacoli gladiatori.

Questi giochi, con il prevalere della religione cristiana, religione dell`€™amore, ebbero fine.

La Mostra

La Mostra, aperta fino al 7 gennaio, è divisa in tre sezioni. Nella prima monete, rilievi, ritratti, epigrafi e altri materiali illustrano la costruzione del Colosseo.

La seconda è dedicata agli anfiteatri della Campania (Capua `€“ l`€™odierna Santa Maria Capua Vetere `€“ e Pompei), da cui provengono dipinti e sculture.

Nella terza sezione sono di scena gli spettacoli veri e propri. Accorgimenti espositivi, e la presentazione degli strumenti originali (organo, tromba e corno) rievocano l`€™atmosfera dei giochi. La mostra trova il suo apice in una ricca serie di rilievi figurati, di diversa provenienza, che illustrano combattimenti, trionfi, e scene di caccia o di lotta con animali feroci. Gli oggetti più spettacolari ed evocativi sono le sontuose armi da parata scavate nell`€™Ottocento nella Caserma dei gladiatori di Pompei (oggi al Museo Archeologico di Napoli): elmi, scudi, schinieri in bronzo, finemente decorati e incisi con scene di soggetto mitologico.

Chiudono la mostra i modellini delle macchine sceniche, insieme alle immagini dei preziosi dittici tardoantichi.

Per informazioni: tel. 06/3967700

 

 

La rovina del Colosseo

Due violenti terremoti iniziarono la rovina del Colosseo: il primo nel 442, che costrinse gli imperatori Teodosio II e Valeriano III a copiosi restauri, e il secondo verso il 508. Ma la rovina maggiore avvenne nel terremoto ai tempi di Leone IV (851), quando caddero due interi ordini di arcate nella parte che guarda il Celio; da allora i massi caduti servirono per le nuove costruzioni romane: sono del XIVsecolo alcuni ufficiali che certificano lo spoglio sistematico delle rovine, durato ininterrotto fino al secolo XVII. Si fecero belli delle spoglie del Colosso palazzo Venezia, palazzo Barberini, palazzo Farnese, il ponte Flaminio, il porto di Ripetta e parte dei Palazzi Capitolini.

Nel secolo XIX, ritornato l`€™amore per le antiche vestigia di Roma, il monumento fu oggetto di particolari restauri da parte dei papi Pio VII, Leone XII, Gregorio XIV, e da ultimo Pio IX, i quali con poderosi muri di rinforzo arginarono i blocchi pericolanti, e ridarono completa stabilità  alle arcate del monumento. Nel Medioevo numerose leggende si diffusero intorno al Colosseo; famoso il detto popolare, conservatoci dal venerabile Beda: quam diu stabi et Roma; quando cadet Colosseus cadet et Roma: quando cadet Roma, cadet et mundus. La fine del Coloseeo segnerà  la fine di Roma e la fine di Roma quella del mondo.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017