Quando sant'Antonio sfidò il regime
Laç è una cittadina industriale progettata e costruita tra gli anni 60 e 70; s’affaccia sull'autostrada che unisce il Nord con il centro dell'Albania. Ad oriente di questa cittadina s'innalza un massiccio pietroso, di colore grigio quasi squallido, rivestito solo qua e là da poca vegetazione, nella maggior parte cespugli spinosi. È lassù, ad un'altezza di 500-600 m, che decenni fa s'innalzava, solitaria e benedicente, la chiesa dedicata a sant'Antonio.
Kruja, la capitale di Scanderberg, la regione in cui è compresa Laç, ha una popolazione in parte cattolica, in parte musulmana, ma tutti, indipendentemente dal loro credo, se vogliono testimoniare con un giuramento, giurano su sant'Antonio di Laç. La fede illimitata in quel piccolo santuario non riguardava soltanto la gente di Kruja, ma tutta la popolazione albanese. Ogni giorno, da ogni parte del paese salivano e salgono verso la chiesa centinaia di persone di ogni credo religioso; tuttavia il 12 e il 13 giugno non è più una semplice visita di preghiera, ma un maestoso pellegrinaggio.
Vengono da ogni parte a pregare per un miracolo: per malattie incurabili, per paralisi, per epilessia e non si contano quanti hanno trovato rimedio su queste pietre, in silenzio, nel raccoglimento d'una fede profonda che non ha bisogno di pubblicità. Quello che i medici non hanno potuto, lo ha concesso lui, il Santo; dicono che anche un figlio dell'ex primo ministro comunista abbia trovato, lì su quelle pietre, la sua guarigione.
Nel 1967, facendo eco alla rivoluzione culturale cinese di Mao, il dittatore Enver Hoxha ordinava la distruzione di tutti i monumenti di culto in Albania, a qualsiasi religione appartenessero.
Sembrò che questo incendio fosse riuscito a bruciar tutto: ma le ceneri rimasero calde, per decenni, ben nascoste e custodite nel cuore di tutti, forse anche di molti che con ruspe e con pale diedero l'assalto a luoghi di culto, simbolo da secoli della fede di un popolo che aveva tenuto testa per ben 500 anni all'impero ottomano. Furono distrutti tesori artistici solo per «l'interesse dello Stato», trasformando tutto in sale da riunioni, teatri, ecc.
La chiesa di sant'Antonio avrebbe dovuto diventare una caserma, ma secondo la gente del luogo, i soldati che vi furono inviati si addormentavano alla sera all'interno nelle sue navate e, al mattino si ritrovavano inspiegabilmente fuori all'aperto ai piedi della montagna. Il Santo non li accoglieva e fu quindi deciso di distruggere la chiesa: non rimasero che pietre ma, idealmente, su quelle pietre il popolo continuò a vedere la sua chiesa, il suo sant'Antonio, e a venirci in silenzio a pregare.
Il 13 giugno era la sfida al potere: si fronteggiavano la dittatura e la folla che, silenziosa, in lunga fila saliva al santuario o, meglio, a ciò che restava di esso; erano migliaia di persone dirette a quel luogo santo per tutta l'Albania, contro tutti i divieti del «Sigurimi» (= la «Securitate» albanese, ndr) e degli organi di partito.
E vinse il popolo: il 13 giugno si mutò per i credenti in un giorno di «resistenza silenziosa» contro il regime che aveva arrestato, torturato e pure in certi casi condannato a morte i sacerdoti e chiunque altro ammettesse l'esistenza di Dio.
La rinascita spirituale, la rivincita sulla dittatura, deve ricominciare con la ricostruzione di quei monumenti del culto, tra i quali uno dei primi posti spetta a sant'Antonio di Laç, il simbolo più concreto, indiscutibile della resistenza del popolo albanese.
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