Quattro dati per riflettere

Invasi dagli extracomunitari? I numeri dicono di no. Sulla costruzione di un’Italia multietnica si giocano l’idea di identità nazionale e la realtà della cittadinanza e dei diritti umani.
04 Maggio 1998 | di
   
   
L'immigrazione non è un tema occasionale, buono per qualche dibattito elettorale. È uno degli elementi costitutivi dello scenario dell'Occidente europeo di fine millennio. Quando si parla di immigrazione, si dibatte sul futuro della nostra civiltà . Si dice che cosa vuol dire essere italiani (identità  nazionale), come si deve sviluppare il nostro paese. Per lungo tempo non ci si è posti il problema. Nella seconda metà  degli anni Ottanta, era diffusa l'idea che la spontaneità  nazionale sarebbe stato il miglior modo per assorbire la prevalenza di immigrati. Il problema era non drammatizzare. C'era stato, però, un episodio che mi aveva fatto pensare: un somalo, Alì Giama, nel 1979, era stato bruciato a Roma per strada da un gruppo di ragazzi, per divertimento.     

Mi sono chiesto: dov'era l'innocentismo italiano, che ci faceva diversi da francesi, tedeschi e inglesi? L'innocentismo si reggeva sul dogma nazionale degli 'italiani brava gente'. Ma eravamo davvero 'brava gente'? Noi italiani eravamo vaccinati dal razzismo? Alcuni dicevano che il carattere italiano ci avrebbe aiutato a superare le difficoltà  dell'integrazione, finché non si fosse varcata di troppo la soglia della sopportabilità . Ma questo si è dimostrato infondato.

Del resto la nostra storia ha pagine nere, come quella di altri paesi. L'antisemitismo italiano, secondo alcuni, sarebbe stata una brutta avventura voluta da pochi demoni, soprattutto stranieri. C'è stato un  revisionismo prima del revisionismo, che si chiama ignoranza. Oggi sono passati cinquant'anni da quelle infami leggi del 1938, che misero gli ebrei al bando dalla società  italiana e prepararono la deportazione compiuta dai nazisti. Quella deportazione divise la popolazione tra una solidarietà  rischiata, l'ostilità  al razzismo e il mondo dei pavidi e degli opportunisti, come nota Susan Zuccotti nel suo L'Olocausto in Italia. Anche il colonialismo italiano non è diverso da tante altre guerre coloniali con il suo volto razzista e violento: una recente ricerca di Gustavo Ottolenghi sugli italiani e il colonialismo (con particolare attenzione ai campi di detenzione in Africa) conferma questa sensazione.     

C'è, poi, la storia degli zingari italiani: mille su 25 mila morirono nei campi nazionali, dopo essere stati concentrati in Sardegna e in Albania (questi ultimi, caduti in mano tedesca dopo l'8 settembre, subirono l'internamento o la dispersione). Bisogna dire che il nostro paese e la nostra società  non ha mai fatto i conti con gli zingari. Gli zingari, uno dei pochi popoli europei a non avere mai avuto un loro nazionalismo, sono rimasti un incubo per le frontiere nazionali. Un grande paese civile ha la responsabilità  di convivere con un piccolo popolo di gente un poco diversa. L'aumento del numero degli zingari in Italia è un piccolo prezzo pagato all'ospitalità  di rifugiati ex jugoslavi.

La nostra storia nazionale non è quella del razzismo; ma è anche quella di facili cedimenti a esso. Niente ci assicura di fronte al futuro, soprattutto non c'è un'immunità  naturale dell'italiano. Come in ogni situazione la gente sceglie, si colloca, si divide. Esistono italiani che scelgono, e per cui può essere più difficile scegliere in senso democratico quando vivono in condizioni di ristrettezze economiche o di timori identitari. Bisogna educare a riflettere onestamente sul fenomeno dell'emigrazione. Il fronte xenofobo ha parlato di invasione negli anni Novanta (addirittura di due o tre milioni di stranieri). Nel 1990 l'Istat fece stime inferiori al milione e mezzo. Ma sulla quantificazione dei clandestini si sbizzarriscono fantasie e paure. Oggi, com'è noto, siamo a poco più di un milione, non tutti poveri, alcuni che - dopo la nuova legge - preferiranno fare gli stagionali. Duecentomila irregolari vanno a completare il quadro. Siamo al 2 per cento di immigrati sulla popolazione italiana.     

Invasione? A fronte di Francia, Germania e Paesi Bassi, l'Italia è al penultimo posto, seguita solo dal Portogallo (questo paese dopo il 1975 ha assorbito tanti portoghesi e africani provenienti dalle colonie divenute indipendenti). La stessa Grecia, che gode di un dinamismo economico inferiore all'Italia, ha un numero più alto di immigrati. Del resto, non c'è stato boom economico in tutto l'Occidente (europeo e americano) che non abbia corrisposto a fenomeni di immigrazione interna e esterna.

Sulla costruzione di un'Italia aperta al multietnico, si giocano l'idea di identità  nazionale e la realtà  della cittadinanza e dei diritti umani. In questi anni (con la crisi del sistema politico, la riforma istituzionale, l'ingresso in Europa, un nuovo modo di lavorare) molti italiani - specie giovani - si stanno chiedendo cosa vuol dire essere italiani. A questo interrogativo trovano poche risposte, anche per la povertà  di ideali. Cercano talvolta risposte in identità  primarie, fortemente individuali e familiari o locali, spesso nella       contrapposizione. C'è bisogno di aprire, invece, un largo dibattito a questo livello: cosa vuol dire essere italiani, ed essere italiani con queste comunità  straniere e in Europa?     

Gli immigrati in Italia sono poco più di un milione, non tutti poveri. Alcuni, dopo la nuova legge, preferiranno fare gli stagionali. Duecento irregolari completano il quadro. Siamo al 2 per cento di immigrati sulla popolazione italiana: al penultimo posto in   Europa.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017