Quei "messicani" che da 116 anni parlano veneto

06 Aprile 1998 | di
           
Nella città  centroamericana, sul cui stemma campeggia anche il Leone di San Marco, si parla il dialetto dei primi emigrati. I discendenti si distinguono per laboriosità  e fedeltà  alle tradizioni. Un legame sancito dal gemellaggio con Segusino.

Chipilo, Messico

Secondo un pizzaiolo incontrato a Chulula, poco fuori Puebla, gli italiani con passaporto italiano sono circa cinquemila in Messico. Non ho verificato la cifra indicatami dal suddetto, giunto tre anni or sono e già  in procinto di spostarsi nei Caraibi, 'perché qui non capiscono nulla' - dice (confermando la spiacevole abitudine di molti nuovi arrivati di giudicare frettolosamente determinate realtà  prima di conoscerle in profondità ). Gli dico che sto andando a Chipilo, a visitare la comunità  italiana di quella località , distante da Puebla quanto Chulula. 'Ma quelli non sono italiani!' esclama. 'Parlano una strana lingua che non ha nulla a che fare con l'italiano...'. Non replico, perché quella strana lingua è anche la mia: prima dell'italiano e delle successive lingue di studio, ho infatti imparato - per non dimenticarlo mai più - il veneto.

Ingiustizia e povertà :

la storia si ripete

A Chipilo si parla veneto. È il veneto di cento anni fa, e quindi non ancora raffinato (o contaminato) da espressioni più recenti, mediate dalla lingua nazionale. Ma la cosa straordinaria è che questo linguaggio viene universalmente usato da vecchi e giovani, viene appreso anche dai messicani della zona, è insomma la lingua normale di comunicazione dei 'chipileni', come si definiscono gli abitanti di Chipilo. Nella scuola e nei rapporti ufficiali lo spagnolo è d'obbligo, ma in famiglia, nel lavoro, in comunità  è la dolce parlata veneta a unire un popolo partito un giorno lontano dall'Italia per non farvi mai più ritorno.

Com'è possibile non pensare con tristezza alla sorte toccata a milioni di 'figli della miseria e del lavoro', come il beato Scalabrini definiva gli emigranti italiani abbandonati dalla madre patria, e nello stesso tempo non provare sentimenti di ammirazione per tanti che, da soli, hanno saputo mantenere un senso di appartenenza e di orgoglio, riscattando un passato difficile con una realtà  presente degna di tutto rispetto?

Il 'fenomeno' Chipilo assomiglia per certi aspetti a quelli del sud del Brasile. C'è, però, una differenza fondamentale: qui non hanno avuto missionari a guidarli, o leader culturali a ispirarli. Qui hanno veramente fatto tutto da soli, come autodidatti in cerca del meglio in campo religioso e sociale, nelle varie attività  lavorative, nello sforzo costante di mantenere la loro identità . Dai risultati visibili, sembra che ci siano perfettamente riusciti. Non lo affermano loro, è il giudizio corrente dei loro concittadini messicani, che negli 'italiani di Chipilo' (come li chiamano) ammirano operosità , moralità , intelligenza, mentre non poco invidiano la loro oasi felice.

Bisognerebbe percorrere il Messico odierno, travolto da una crisi economica impossibile da mascherare, oltre che dalla rivolta sociale e politica dei chapalteni (in guerra ormai da quattro anni e alla vigilia della difficile pace, per l'incapacità  del potere centrale di esercitare la vera giustizia, riconoscendo ai poveri - che sono la maggioranza - il diritto a una vita degna di uomini, anziché di servi dei privilegiati); bisognerebbe essere qui per rendersi conto delle enormi disparità  sociali, dello stato di incuria in cui si trovano le periferie delle città  e di povertà  in cui versano i campesinos; della mancanza di democrazia e di vera libertà , per cui la maggioranza del popolo è triste e rassegnata, quando non vive di paura, e i pochi coraggiosi capaci di prendere posizione (sacerdoti, giornalisti, artisti ed esponenti del ceto medio) sono minacciati e ricattati, quando non sono fatti sparire.

'Ma ti, sito veneta?'

Dicevo di Chipilo come oasi felice. Ci sono arrivata di domenica mattina per la messa delle dieci. Il parroco, padre Felipe Torres, mi fa notare per prima cosa una targa affissa a lato del portale della bella chiesa, che dice esattamente (tradotto in italiano): 'eccellentissimo monsignor Octaviano Marquez y Toriz, arcivescovo di Puebla, consacrò l'altare maggiore che la gente eresse in memoria delle 46 famiglie di emigranti veneti, fondatori della Colonia di Chipilo, arrivando in questa terra ospitale il 7 ottobre 1882, nel 75mo anniversario del loro arrivo. 7 ottobre 1957'. Sono passati 116 anni! La chiesa è gremita di fedeli di ogni età , molti i giovani, e trovandosi in Messico (dove i tratti caratteristici della maggioranza della popolazione tendono al bruno) fa un certo effetto vedere tanta gente alta e bionda.

'Sei italiana?', chiedo a una splendida adolescente che sembra uscita da un dipinto del Veronese. Sgrana gli azzurrissimi occhi e la cascata di riccioli biondi fa segno di no. 'Ma ti sito veneta?' insisto senza cedere, sicura del risultato che lei mi conferma in un dialetto sciolto e musicale. Altre giovani mi si fanno intorno sorridenti: si chiamano Carla, Gabriella e Monica Stefanon, Jannette Orlandino, Laura Precomer...

Conversiamo del più e del meno, recandoci a vedere il murales della vicina sala del 'Ristorante Piazza', dove a vivaci colori sono ritratti i fondatori di Chipilo in costumi della Repubblica veneta, e dove domina il Leone di San Marco, così come nelle vetrate a mosaico della porta d'ingresso.

Lo stemma di Chipilo porta l'iscrizione 'Labor omnia vincit'; nei quattro riquadri interni, un fascio di grano, quattro avambracci allacciati, una chiesa, il leone di Venezia. Ma quanti sono oggi i chipileni? Dicono quattromila, quelli rimasti qui, perché da qui ne sono anche partiti molti, per altre località  messicane, come ad esempio Vera Cruz e la stessa capitale.

Sono prevalentemente agricoltori, ma anche imprenditori e commercianti. La valle di Puebla, dove ci si trova, è a circa 2.200 metri di altitudine, con clima semisecco e temperato, adatto alla coltivazione di cereali, frutta, ortaggi, legumi e foraggio, oltre all'allevamento di pollame e di bestiame. I fratelli Gerardo, Vittorio, Santo e Juan Simoni Martini, detti 'i Nani' perché figli di un Giovanni, possiedono oltre 1.200 capi di bestiame, organizzato in quattro distinte fattorie. A Gerardo chiedo se qualcuno della famiglia ha sposato messicani o messicane. 'Gnanca par idea, se deve mantener la rassa!' mi risponde.

Generazioni vecchie e nuove

Secondo José Agustin Zago Berra, che ha scritto qualche anno fa una 'Breve historia de la fundacion de Chipilo', tra le tante virtù dei suoi conterranei spicca purtroppo un 'defecto importante': l'alto indice di parentela tra le varie famiglie, spiegabile storicamente con l'assoluto isolamento di cui soffrirono specialmente nei primi cinquant'anni. Immaginiamo una zona deserta, con impossibilità  di comunicazioni, senza aiuti né morali né materiali di alcun genere. L'unico conforto era la solidarietà  reciproca: stringere i denti o soccombere. Ora, alla quarta e quinta generazione, il futuro si presenta sicuramente più roseo e le nuove generazioni eviteranno il rischio di 'provocar la degeneracion de la raza... si quieren sobrevivir y llegar a un segundo centenario', come afferma lo scrittore. Tra le virtù fondamentali, tra cui laboriosità , igiene personale e domestica, generosità  e solidarietà  verso chiunque si trovi in stato di bisogno, religiosità  'sin fanatismo, si bien bastante conservadora y tradicionalista', Zago indica onorabilità  e lealtà : in cento anni, dice, gli omicidi si possono contare sulle dita di una sola mano e la maggioranza furono accidentali.

Mi trovo davanti a una gioventù sana, bella, pulita. Guardano dritto negli occhi, sorridono, comunicano. I genitori ne sono orgogliosi, ma a loro volta hanno ricevuto tanto dai loro vecchi, che mai si sono stancati di ripetere che 'la persona che mas vale, no es la mas rica o la mas culta, sino la que tiene mayor moralidad'. Le donne sono forti e decise, e lavorano quanto i loro uomini. Ricordo Juliette Berra Zago, terza generazione, titolare di un negozio di regali, che raccontandomi della devozione al santo di Padova della mamma (devozione diffusa tra i chipileni) mi confidò che la donna morì invocando il nome di sant'Antonio... E, poi, ho presente Cayetana Galeazzi Berra, che gestisce 'La Nave Italia', produttrice di alimentari di 'tipo italiano' come formaggi, burro, salsicce (chiamate 'luganeghe') e pasta di vari formati.

C'è da sottolineare che la principale industria locale è quella del latte (agroindustria): più di cinquecentomila litri al giorno. Importantissima poi è diventata la fabbricazione di mobili, esportati in tutto il mondo, come quella dei prefabbricati in cemento. Chipilo è gemellata con Segusino, in provincia di Treviso, da cui partirono - con altri di Belluno e Trento - i suoi fondatori.

 

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017