Quei nonni che costruirono il Cile
Santiago del Cile
C’era una volta il sogno di un futuro migliore. Da conquistare attraversando l’Atlantico e poi l’Argentina, oppure navigando attorno alla Terra del Fuoco a bordo di una nave spesso in balia delle tempeste. Quel sogno si chiamava Cile.
«La storia migrante della mia famiglia – racconta Carla Doberti Carvajal – inizia sul finire dell’Ottocento, con Eduardo Doberti Parodi, nato a Sestri Ponente, in Liguria, e arrivato a Magallanes da Montevideo, in Uruguay». All’epoca Magallanes era un attivissimo centro della Patagonia, e un passaggio obbligato per chi viaggiava in un’epoca nella quale non era ancora stato completato il canale di Panama. «Eduardo divenne un punto di riferimento della comunità di Magallanes – aggiunge Carla –, e rappresentò, tra l’altro, un capitolo importante del libro di Nelson Toledo sulle origini delle comunità migranti in Patagonia e nell’Antartico cileno. Eduardo ebbe sei figli, e tra essi vi era Giovanni Doberti Tixe. Era mio nonno. Tra i suoi nipoti c’era Juan Manuel, mio padre. Una discendenza numerosa, sparsa in tutto il territorio del Cile e anche in Italia».
Carla: alla scoperta delle sue radici
Carla Doberti Carvajal è rappresentante del Comites, e ha riscoperto la propria italianità grazie a numerosi viaggi nel Bel Paese. Laureata in Scienze politiche e amministrazione pubblica, Carla ha iniziato a lavorare per un’impresa esportatrice di generi alimentari ed è entrata in contatto con la Camera di commercio di Torino in occasione della partecipazione a un corso di Commercio Internazionale.
«La presenza salesiana in Patagonia – rammenta Carla – rappresenta, per noi, un punto fermo della storia cilena. L’invito a partecipare a un corso nella terra che vide nascere san Giovanni Bosco, mi trovò entusiasta. Le settimane trascorse a Torino, mi fecero conoscere un lato dell’Italia di cui sapevo poco, e che mi piacque molto. Tornata in Cile, decisi di cercare tutti i documenti che mi permettessero di ottenere il passaporto italiano. Il 2005 mi vide ospite di Santa Margherita Ligure per un corso dell’Università di Genova rafforzando così, ancora di più, la mia volontà di ristabilire contatti con altri discendenti della famiglia Doberti».
Pronipote di un pioniere della cantieristica navale della zona di Magallanes, Carla crede in modo convinto nella forza delle radici italiane di molti suoi connazionali, e si batte, attraverso il Comites, per la valorizzazione dei giovani oriundi all’interno delle associazioni italiane. «Non c’è famiglia cilena che non vanti un avo italiano – sottolinea Carla –. Il gusto italiano è scritto nel nostro dna, e siamo naturalmente attratti da tutto quello che l’Italia produce nella sua eccellenza: moda, cibo, cinema, teatro, macchinari industriali, automobili, musica…
L’Italia, per noi, rappresenta il vero punto di riferimento culturale. La parola “migrazione” sottintende un tragitto avventuroso segnato dalla forza, dal coraggio di lasciarsi alle spalle un porto sicuro per affrontare l’ignoto; ma è contraddistinto anche dalla speranza di trovare nuove opportunità per se stessi e la propria famiglia. A un certo punto della mia vita, non ho più potuto negare il forte legame con le mie radici. Ho sentito la voglia fortissima di scoprire la mia identità culturale».
Carla è nata a Punta Arenas, e in questa città non c’era una scuola italiana. Questa assenza ha segnato un po’ tutta la sua storia personale perché ha sempre avvertito la necessità di ritrovare le sue radici italiane approfondendo la conoscenza della lingua e cultura italiane. Da quando si è trasferita a Santiago, ha potuto scoprire il piacere di frequentare un’Associazione italiana, la «Pompa Italia», e di arricchire così il suo vocabolario italiano. Quella del recupero della lingua italiana è una vera e propria battaglia che si sta portando avanti con i giovani italo-cileni per far sì che i discendenti di quegli italiani che scelsero un Paese poco aduso ai grandi flussi migratori, possano riacquistare una discreta padronanza del loro idioma d’origine, compreso il dialetto. «Se il Cile è il mio Paese, l’Italia è la mia patria – ribadisce Carla –. I miei costumi, la mia educazione, la mia personalità, il mio modo di vedere sono assolutamente italiani!».
Romina Giuseppina: vocazione per l’Italia
Romina Giuseppina Romeo Mondaca, di origini napoletane e con tanta voglia d’Italia nel cuore, sogna perfino che i suoi futuri figli possano nascere in Italia. Intanto offre il suo tempo libero per i progetti di volontariato. «Mi piace dedicarmi al volontariato – conferma Romina –. Con l’Associazione “Un tetto per il Cile”, insieme con altri amici stiamo cercando di costruire scuole estive per i bambini. Tra i volontari ci sono molti cileni d’origine italiana, e la nostra amicizia è nata tra i banchi dell’Università. Mi sono avvicinata alle organizzazioni italiane in Cile grazie alla mia amica Pia Antonella Dossi. Ora, questo mondo che oggi mi appartiene come una seconda pelle».
Ingegnere agroalimentare, laureata presso la Utem di Santiago del Cile, e discendente di una famiglia che, attraverso l’emigrazione, si è sparsa in varie parti del mondo, Romina non nasconde il suo orgoglio tricolore: «Mia nonna mi trasportava con l’immaginazione, attraverso racconti e gesti quotidiani, nel mondo delle tradizioni italiane. Vorrei regalare queste stesse emozioni ai miei figli. Sento mia la cultura italiana, pur non essendo mai stata in Italia. Ma nei miei progetti c’è un futuro italiano, magari professionale. Mi sento a tutti gli effetti un’italo-cilena con una vocazione intensa per l’Italia».
Danae: Miss architetto
Laureata in Architettura, con un corso di specializzazione in Riconversione degli edifici, e con alle spalle una parentesi internazionale per aver partecipato alle finali di Miss Italia nel Mondo, a Jesolo, con la fascia del Cile, Danae Barla, 24 anni e un lavoro parallelo come modella, non dimentica il suo legame con nonno Giorgio Barla, partito nel 1928 da Imperia, in Liguria. «L’albero genealogico dei Barla arriva al 1400, e vanta anche un cardinale – dice orgogliosa Danae –. Quando sbarcò a Valparaiso, mio nonno Giorgio aveva solo 14 anni, e non conosceva lo spagnolo. Vide un cartello pubblicitario con la scritta “Bar La Rosa”, e pensò di aver trovato un parente. Dopo quindici anni di duro lavoro, aprì il suo emporio e iniziò a produrre confetture e confetti. Ebbe successo perché era l’unico produttore del settore, e con i soldi acquistò un locale commerciale nel quale vendeva i suoi prodotti. Quando mia nonna morì, mio padre aveva solo 5 anni, e insieme con due fratelli riattraversò l’Atlantico per vivere 15 anni in Italia, a Genova».
Danae Barla è legatissima alla sua storia familiare, tanto da aver dedicato proprio ai nonni Giorgio ed Eva i ringraziamenti durante la trasmissione televisiva del Concorso di Miss Italia nel Mondo. «Non ho conosciuto i miei nonni direttamente – prosegue Danae – ma solo attraverso i racconti dei miei genitori e dei miei zii. Grazie al loro lavoro, oggi possiamo vivere una vita agiata. Sto seguendo un corso di specializzazione post-laurea, e ho scelto Valparaiso per i miei studi, pur vivendo a Santiago perché in questa città visse mio nonno. Durante la serata di Miss Italia nel Mondo ho voluto dare il mio piccolo contributo alla loro straordinaria storia. Il lavoro di modella è per me una buona opportunità, ma è pur sempre solo una goccia nel mare dei miei sogni. Il mio futuro professionale è nell’architettura. E in Cile c’è anche molto da ricostruire».
Reduce, come tanti cileni, dal tremendo terremoto che ha colpito il Paese agli inizi del 2010, Danae preferisce guardare alle luci dei riflettori come a un piacevole passatempo, concentrando le proprie energie sulla crescita professionale. Insieme ad altri giovani, in veste di architetto, Danae sta aiutando le autorità nella valutazione dei danni e nei progetti di ricostruzione dei monumenti. «Anche mia madre è impegnata nel volontariato con “Un techo para Chile” e, grazie a questo sodalizio, insieme con un gruppo di studenti, collaboro, nella zona di Talca, alla realizzazione di villaggi prefabbricati per i senzatetto. A Talca, tra l’altro, abbiamo potuto contare sul concreto appoggio dell’Italia che, grazie al contributo del governo, e attraverso l’azione dell’ambasciatore Vincenzo Palladino, ci ha consentito di realizzare un ospedale».
Testimone oculare della rinascita del Cile nel dopo terremoto, Danae Barla non tralascia un particolare molto significativo della vita comunitaria nazionale, nei mesi che fecero seguito al sisma: «Molte famiglie, dopo il terremoto, si sono riunite. La tragedia, i danni, la perdita delle case e del lavoro hanno ricompattato la società cilena, e nei mesi successivi al sisma, si respirava un’aria di solidarietà collettiva che ci ha permesso di trovare la forza per ricominciare la ricostruzione. Mio zio Bruno rappresenta per me un punto di riferimento per la professione, e con lui sono andata a portare soccorso e consulenza tecnica ai terremotati. Come volontari abbiamo cercato di portare i primi soccorsi e di dare inizio alle prime fasi della ricostruzione».