Quel voto che spaventa

Alla vigilia della Prima conferenza degli italiani nel mondo, Feltrin afferma che la questione del voto ai nostri connazionali continua a rimanere una patata bollente per il Parlamento italiano.
01 Novembre 2000 | di

Il professor Paolo Feltrin, trevigiano e docente di Scienze della politica all'Università  di Trieste, è membro della Commissione tecnica bicamerale per i collegi elettorali. Lo abbiamo intervistato su alcuni temi di attualità  che riguardano i nostri connazionali all'estero.

 Msa. Crede che gli italiani in patria siano interessati ai 60 milioni di italiani che vivono all'estero? C'è un orgoglio di appartenenza come può essere quello dei francesi o degli inglesi capace di legare gli italofoni a prescindere dalle vittorie della nazionale di calcio e della Ferrari?
Feltrin.
La nazionale di calcio e la Ferrari sono buoni simboli di identificazione per una nazione, come quella italiana, che ha qualche problema su questo profilo. Spesso nei rapporti con gli italiani all'estero l'identificazione è più regionale che nazionale. Gli italiani si preoccupano poco dei loro connazionali all'estero. Ci sono le associazioni che svolgono un'importante funzione, però è più un legame tra gruppi locali che un fatto d'identità  nazionale forte, anche se col passare del tempo si osserva un'attenzione maggiore a tutti i rami dello spazio politico. Sembra che col passare del tempo la nazione italiana senta con maggiore intensità  qualche senso di colpa per non essersi preoccupata in passato, con la dovuta attenzione, del problema.

A suo avviso, quali interessi si nascondono dietro la questione del voto in loco ai nostri connazionali all'estero?
È un problema complicato, legato alla questione del voto in generale, in loco o per corrispondenza in particolare. La prima questione è legata al numero dei nostri connazionali all'estero: l'Aire ne registra 3 milioni cioè il 10% dell'elettorato italiano. Ma avendo riservato un certo numero di seggi, che nella prima ipotesi era rilevante, il loro voto potrebbe modificare gli equilibri politici nazionali, specie se andasse in un'unica direzione. In un sistema elettorale come quello italiano, specie guardando alle ultime elezioni del 1994 e del '96, dove nelle Camere ci sono maggioranze risicate di pochi seggi, il voto degli italiani all'estero potrebbe fare la differenza. Questo è il primo aspetto legato alle modalità  di voto nei collegi uninominali di tipo continentale. In sede di attuazione della legge costituzionale questa norma è stata cambiata e il discorso può essere oggi diverso.

C'è un secondo problema. Dei tre milioni d'italiani all'estero, quanti davvero sono interessati e potranno votare?
È una domanda complicata perché dipende dagli statuti dei Paesi in cui risiedono i nostri connazionali e riguardano il problema della cittadinanza e del diritto di voto. Se, poi, invece di tre milioni, voteranno meno di un milione o poche centinaia di migliaia, lo squilibrio sarà  d'altro tipo: verrebbero eletti un numero consistente di deputati e senatori con pochi voti. Le maggiori perplessità  sono sorte nella previsione sia dell'eventuale eccesso di parlamentari, sia per l'eccesso di parlamentari votati da pochi elettori. Un altro problema complicato è il riconoscimento all'estero del diritto di voto dei nostri connazionali, sul quale le normative sono diverse da Paese a Paese. Alcune nazioni hanno già  fatto sapere che non accetteranno il doppio voto da parte di chi, avendo la doppia cittadinanza, può votare per il Parlamento del Paese di residenza come per quello d'origine.

Sulla questione del voto, quali sono secondo lei le reali intenzioni del Parlamento e della classe politica italiana?
Si è messa all'ordine del giorno una proposta di legge che teneva conto più del precedente sistema elettorale che dell'attuale, e alla fine si è approvata una legge costituzionale piuttosto confusa perché richiede in sede di attuazione altre due leggi costituzionali e una legge ordinaria. Alla fine l'impressione che si ha è che il Parlamento, e in genere i politici italiani, in qualche misura, si trovino con una patata bollente in mano, e cerchino di prenderla con le pinze, ma non c'è un'attenzione sistematica per affrontare con ragionevolezza la questione. Anche per le associazioni, che da tempo si sono occupate del problema, è diventata una bandiera d'identità , anche rispetto delle soluzioni da adottare, per cui non è chiaro se davvero si voglia ottenere il risultato. Partendo solo dalla questione delle ciorcoscrizioni estere, che è uno degli ostacoli maggiori da risolvere, penso che nel 2001 gli italiani all'estero non voteranno. Il percorso è ancora molto lungo.

Perché i partiti del Parlamento italiano sono più orientati al voto per corrispondenza che a quello in loco?
Si tenta di andare incontro a sollecitazioni che vengono anche dalle associazioni degli italiani all'estero. L'unica alternativa è il voto nella sede consolare o nell'ambasciata, però in Paesi molto ampi come il Brasile o l'Australia, l'idea di costringere gli italiani residenti a recarsi nelle sedi consolari risulta un po' faticosa. Inoltre il voto per corrispondenza consentirebbe di fare uno scrutinio certo perché tutto avverrebbe nella sede nazionale. D'altro canto, nei Paesi in cui è stato attuato, il voto per corrispondenza ha dato buona prova e io mi sentirei di allinearmi alle proposte in questa direzione: ma il guaio è che neanche il voto per corrispondenza rischia di essere approvato perché, se ci sarà  una legge, questa prevederà  innanzitutto il voto in loco.

Quali scenari prevede per l'iter legislativo?
È stato approvato l'articolo 48 che ha sancito un'unica circoscrizione, modificando l'orientamento precedente che prevedeva i collegi uninominali. Inoltre sono stati ridotti i numeri dei seggi destinati ai parlamentari, e questo in teoria dovrebbe rendere più semplice anche il passaggio alle Camere di eventuali resistenze.

Una maggiore partecipazione dei giovani oriundi alla vita politica, economica e sociale dell'Italia contemporanea cosa comporterebbe per il nostro Paese?
Uno dei modi per mantenere viva l'attenzione per le comunità  italiane che risiedono in altri Paesi è quello di coltivare i legami tra le generazioni. Alcune sperimentazioni attuate dalle regioni italiane hanno dato ottimi risultati, nel senso che la possibilità  offerta di fare stage, scambi universitari o di formazione-lavoro, che privilegiano i giovani d'origine italiana presenti in altri Paesi, è una delle poche possibilità  per mantenere vivo questo legame. Sia che si ragioni in termini di anni scolastici - cioè convenzioni per cui i giovani oriundi possano trascorre un anno delle secondarie o dell'università  in Italia a particolari condizioni favorevoli - , sia in termini di stage lavorativi o di qualsiasi altra forma di scambio tra giovani generazioni, queste iniziative sono il mezzo migliore per mantenere vivo un legame che altrimenti rischia di rimanere folkloristico.

Si parla spesso, negli ultimi tempi, della necessità  di favorire l'immigrazione in Italia di altri extracomunitari per lo svolgimento di mansioni che altrimenti rimarrebbero scoperte. Sarebbe un'opzione valida anche per quei discendenti di nostri connazionali che magari vivono in zone economicamente deboli del mondo?
La maggioranza dei nostri connazionali nei Paesi in cui si sono insediati hanno avuto successo e raggiunto uno status economico nettamente superiore a quello che avevano in Italia. È difficile immaginare, anche quando provengono dall'America latina, che ritornino in Italia per un lavoro a livello «più basso». Le nuove generazioni sono interessate per gli scambi perché servono alla loro formazione e sono un'opportunità  in più, indipendentemente dal livello economico. Per tutti gli altri, dipende dalla condizione in cui si trovano. Se stanno bene nella loro nuova patria, non si capisce perché debbano venire in Italia e tentare ulteriormente la sorte. Può essere aiutato chi non ha avuto fortuna e accetta di trasferirsi, ma per fare questo, bisogna tenere presente che le caratteristiche della domanda di lavoro che viene fatta soprattutto dal Nord Est d'Italia, riguarda fasce di lavoratori prevalentemente manuali, a bassa qualificazione. È quindi limitato lo spazio che si può offrire ai nostri connazionali residenti all'estero che, di solito, soprattutto se si tratta di giovani, hanno una formazione piuttosto alta. Si può trovare qualche forma di sperimentazione di scambi nel mercato del lavoro per le fasce alte, ma al momento si tratta solo di sperimentazione.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017