Quella domenica a El Segundo
Eravamo a Los Angeles per un convegno, e ci avevano alloggiato in un bell’albergo vicino all’aeroporto, pieno di comodità e di macchinette distributrici di cibi vari. Ampie sale, grandi stanze, contenitori di acqua gelata e bollitori per il caffè dappertutto; coperte e cuscini a non finire, letti monumentali. L’arredamento interno era, per la verità, un po’ pesante, con tende di finto broccato alle finestre, copriletti damascati in stile spagnolo, e un grande divano moresco, ma – come si dice – nessuno è perfetto... e ci stavamo benissimo. Sabato sera prendemmo parte alla cena collettiva dei partecipanti al congresso. La domenica ci svegliammo piuttosto tardi. «Se volete andare a messa – ci disse un collega a colazione – proprio qui vicino c’è sant’Antonio. Vi piacerà».
E fu così che, in compagnia di due amiche, mi avviai verso il quartiere di El Segundo, naturalmente non a piedi (attività che a Los Angeles è praticamente sconosciuta, a meno che uno non corra per sport, in tuta e sugli appositi percorsi), ma con la comoda macchina di Rita, la mia cugina armena che vive là e conosce le strade. Ma in quella ventosa domenica di febbraio, anche Rita si perse in quel sobborgo dell’infinita distesa di case che è la città. Così girammo un po’ a caso nei dintorni dell’albergo.
Quando, finalmente, arrivammo alla chiesa, nello spiazzo intorno non c’era quasi più posto; ma sotto la tettoia esterna, saliti un paio di gradini, già una grande statua di Antonio, maestosa e accogliente, stava lì a ricordarci che entravamo in casa sua, e a invitarci al raccoglimento. Il Bambino era fra le sue braccia, cullato; e ammirai l’eleganza delle sue belle mani appoggiate sulla vestina. C’erano anche i gigli, aperti e quasi sfatti. Poi, nel pronao, vidi la vetrata sulla destra.
Un raggio di luce prepotente, improvviso, me la rivelò, saettando attraverso la figura che la occupava tutta: ed ecco un altro sant'Antonio, molto più tormentato e malinconico, quasi sofferente. Inserito in una cornice, tra fiori rossi in alto e un pavimento a triangoli bianchi e neri sotto i piedi, luccicava di colori intensi, quasi primaverili: rosso dei fiori e oro delle aureole in alto, caldo marrone della veste e azzurro nello sfondo in basso, che si stagliava sul bianco e sul nero. In alto, nella lunetta, l’Agnello in piedi sul Libro. Teneva ben stretti il Bambino col braccio destro, e un lungo ramo di gigli ancora chiusi, come stilizzati, col sinistro.
La chiesa era gremita e calda di folla. Tutti i banchi occupati, gente in piedi che si voltò al nostro ingresso, guardandoci con curiosità. L’usciere (sempre presente nelle chiese americane) ci raggiunse in fretta, e ci sistemò in un piccolo banco laterale, sussurrando, con tono di rimprovero, che eravamo in ritardo. Mi misi ad ascoltare, ma la messa era in spagnolo e non riuscivo a capire che pochi frammenti di parole. Al Vangelo, la voce tonante del predicatore suonava molto bene, era forte e suadente, ma anch'essa quasi incomprensibile. Così ognuna di noi si concentrò sul foglietto in inglese che avevamo preso all'entrata. Lasciai vagare lo sguardo e la mente.
Una fitta schiera di uomini silenziosi e attenti stava in piedi in mezzo alla navata. Poi cominciarono a cantare tutti insieme, a gola distesa, con voci forti piene di calore e passione, lodi a Maria e ad Antonio, il loro santo, il protettore della loro chiesa. E allora tutti ci perdemmo nel canto, come fossimo su una nave fra le stelle, rivolta chissà dove, ma con un bravo nocchiero. E mi accorsi in quel momento che sulla parete di fondo, a sinistra dell’altare, c’era un’altra sua immagine dipinta sul muro. E fu come se Antonio si fosse rallegrato di quel calore che ci univa nel canto, e per un momento avesse abbracciato anche noi con il Bambino.