Quella forza che muove il mondo

«Non ragioniam di lor, ma guarda e passa» recitava il sommo poeta riferendosi agli ignavi, a coloro, cioè, incapaci di provare passioni nella vita. Ecco il motivo di queste pagine sulle passioni, che ci seguiranno per un anno intero.
27 Dicembre 2010 | di

«Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché tu sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca». In questa profezia dell’Apocalisse leggiamo uno dei giudizi di Dio più severi sull’umanità. Riguarda gli uomini né freddi né caldi, quelli, cioè, senza passioni, i quali… saranno vomitati da Dio!
Il Signore si rivolge qui, nella grande visione di Giovanni, agli abitanti di Laodicea. Si trattava di una cittadina molto ricca, dedita al commercio, abitata da gente benestante, convinta di bastare a se stessa. Continua, infatti, l’Apocalisse: «Tu dici: “Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla”».

Insomma, il benessere diffuso aveva ucciso, a Laodicea, le passioni umane, rendendo gli uomini apatici, inerti, tiepidi. È una situazione molto simile a quella in cui versano oggi le società occidentali capitaliste. Se ne era accorto, già nel lontano 1840, Alexis de Tocqueville, studiando la società americana. Le nuove democrazie capitaliste gli sembravano generare tanti ambiziosi ma poche grandi ambizioni, molto movimento e pochi avanzamenti, tante piccole preoccupazioni per i propri interessi e poche grandi passioni ideali. Le sue parole suonano sorprendentemente attuali: «Mi sembra meno temibile per le società democratiche l’audacia che la mediocrità dei desideri; ciò che mi sembra più pericoloso è che, in mezzo alle piccole e incessanti occupazioni della vita privata (...) le passioni umane si acquietino e si abbassino, in modo che ogni giorno la vita del corpo sociale sia più tranquilla ma meno elevata (...). Solo l’entusiasmo può spingere lo spirito umano fuori dalla strada battuta e produrre le grandi rivoluzioni intellettuali, come le grandi rivoluzioni politiche (...). Se i cittadini continuano a rinchiudersi sempre più strettamente nella cerchia dei piccoli interessi domestici, si può temere che essi finiscano per diventare quasi inaccessibili alle grandi e potenti passioni politiche, che turbano i popoli, ma che li sviluppano e li rinnovano (...). Io temo, lo confesso, che essi si lascino, infine, dominare da un fiacco amore per i beni presenti, che scompaia l’interesse per il loro avvenire e per quello dei loro discendenti e che preferiscano seguire pigramente il corso del loro destino più che fare, all’occorrenza, uno sforzo energico per rimetterlo sulla giusta via (...) Ho paura che l’uomo si esaurisca in movimenti solitari e sterili e che, pur muovendosi continuamente, l’umanità non avanzi più».

A distanza di centosettant’anni, mi sembra che le paure di Tocqueville si siano purtroppo avverate. Viviamo in un’epoca in cui l’amore per le proprie «cosette» è diventato l’unico ideale di vita. Per il resto, nessuna audacia, nessun entusiasmo, nessuna passione e, di conseguenza, nulla di grande. Hegel lo aveva scritto in modo lapidario: «Dobbiamo dire in generale che nulla di grande è stato compiuto nel mondo senza passione».
 
 
Ragione e passioni
Eppure, sul valore della passione – o «emozione», che è il suo sinonimo più nobile – vi sono state, da sempre, opinioni contrapposte. Per gli Stoici, com’è noto, e poi per una lunga tradizione di pensiero razionalista e manicheo, le passioni erano perturbazioni dell’anima, da fuggire come malattie. Diogene Laerzio scriveva: «La passione, secondo Zenone, è o un movimento dell’anima, irrazionale e contrario a natura, oppure un impulso eccessivo». Per questo motivo le passioni sono diventate spesso, nell’opinione comune, un sinonimo di vizi.
Non la pensava così, però, san Tommaso d’Aquino, che distingueva chiaramente tra vizi, che sono abitudini oggettivamente immorali, e passioni, da lui considerate invece come moralmente neutre e quindi suscettibili di contribuire sia al bene che al male. Anzi, Tommaso si spingeva addirittura oltre, sostenendo non solo che la passione può apportare un contributo al bene, ma, di più, che senza passione non vi può essere bene morale. Con le sue stesse parole: «Gli Stoici sostenevano che tutte le passioni dell’anima sono cattive» ma, proseguiva, «attiene alla perfezione del bene morale il fatto che l’uomo sia spinto al bene non soltanto dalla volontà ma anche dalla passione, secondo quanto sta scritto nel Salmo 83, 8: “Il mio cuore e la mia carne hanno esultato nel Dio vivente”, dove il cuore va inteso come volontà, e la carne come passione» (Sum. Theol., I-II, q. 24, a. 3).

La filosofia moderna e contemporanea ha proseguito perlopiù nella direzione di Tommaso d’Aquino. Anche sulla base di diverse scoperte scientifiche, essa è giunta a conclusioni opposte rispetto a quelle degli Stoici. Anzitutto è caduto definitivamente il muro che separava idealmente la ragione dalle passioni. Per secoli si è pensato, infatti, che la ragione – per sua natura a-patica cioè priva di pathos, di passione – avesse come suo compito quello di reprimere o almeno di mitigare le passioni, per così dire dall’esterno. Oggi si sa, invece, che la ragione è, per sua natura, non solo fredda e calcolatrice ma anche emotiva e passionale. In un testo che ha fatto ormai epoca (A. R. Damasio, L’errore di Cartesio: emozione, ragione e cervello umano) l’autore cita due casi tristi: quello di Phineas Gage, un muratore a cui, nel 1848, dopo un brutto incidente, rimase conficcata una sbarra di ferro nel cervello, e il caso di Elliot, un paziente sottoposto a parziale lobotomia a causa di un tumore benigno al cervello. Entrambi gli uomini – dopo l’incidente il primo e dopo l’intervento chirurgico il secondo – rimasero in vita, ma subirono significativi cambiamenti delle loro prestazioni intellettuali. Stranamente rimasero intatte le loro capacità razionali astratte, come quella di compiere calcoli matematici o ricordare nomi e date. L’unica cosa – si fa per dire – che persero del tutto furono le emozioni. Ora, questa circostanza, lungi dal non avere alcuna ripercussione sulla loro «ragione», li privò della capacità di stabilire una priorità tra le cose da fare e di prendere delle decisioni. In una parola, erano in grado di avere cognizioni ma non erano in grado di fare valutazioni.

E le valutazioni rientrano da sempre nelle capacità razionali di un uomo. Ecco quindi la scoperta: con buona pace degli Stoici di ieri e di oggi, la passione non è fuori o contro la ragione, ma dentro; la ragione è per sua natura (anche) passionale; senza passione non c’è ragione.
Di più: senza passione non c’è nemmeno moralità. Lo abbiamo già visto, citando san Tommaso, ma converrà ribadirlo. Immaginiamo un uomo che osservasse, per esempio, il precetto dell’amore del prossimo senza alcuna passione: sarebbe un robot etico, gentile ma artificiale, una specie di distributore automatico di buone azioni. Accade così in tutti i bacchettoni della morale, i buoni per mestiere e non per passione, i soldatini dell’etica, vuoti di quell’emozione per gli altri che rende autentici i gesti di un uomo.
Infine, senza passione non esiste la politica. Lo abbiamo letto in Tocqueville e lo contempliamo ogni giorno nello spettacolo desolante di una classe politica che pensa perlopiù solo ai propri interessi, ormai del tutto dimentica di ogni passione politica e civile.
 
Perché un dossier?
Si comprendono così i motivi che ci hanno spinto a dedicare il dossier di quest’anno alle passioni umane.
A quali in particolare? Tra i tanti elenchi elaborati nella storia del pensiero – quello degli Stoici ne conteneva centotrenta; quello di Avicenna sei; di Giovanni della Rochelle ventiquattro; di Cartesio quarantadue, di Spinoza quarantotto – abbiamo scelto quello di Tommaso d’Aquino, il quale ne prevedeva undici (vedi box).
La nostra speranza è di contribuire un poco a combattere l’odierna tentazione dell’apatia o, con altre parole, dell’ignavia, di dantesca memoria, vizio di coloro, né freddi né caldi, che non sono degni di stare non solo in paradiso ma nemmeno all’inferno, e di cui il poeta scriveva: «Non ragioniam di lor, ma guarda e passa».
 
 
Lo schema
Cominceremo con le cosiddette passioni del concupiscibile, distinte a loro volta in passioni relative al bene – amore (febbraio), desiderio e piacere (marzo) – e passioni relative al male – odio (aprile), ripugnanza e tristezza (maggio) –.
In seguito, dopo l’estate, sarà la volta delle cosiddette passioni dell’irascibile, distinte a loro volta in due categorie: passioni relative a un bene difficile da ottenere – speranza e disperazione (settembre) – e passioni relative a un male difficile da fuggire – timore e audacia, se il male non è stato ancora subìto (ottobre), ira, se il male è già subìto (novembre) –.
Ogni mese sono previsti quattro articoli: un’introduzione generale (Giovanni Ventimiglia); un intervento sulla passione dal punto di vista dell’educazione e comunicazione (Adriano Fabris); una riflessione sulla passione a partire dai testi biblici e dei Padri della Chiesa (Enzo Bianchi); un’analisi della passione dal punto di vista della sua degenerazione patologica (Carlo Calanchini, psichiatra e psicoterapeuta).

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017