Quell’umile lavoratore nella vigna del Signore
Quando, cinque anni fa, i cardinali riuniti in conclave scelsero Joseph Ratzinger come successore di Giovanni Paolo II, non pochi commentatori manifestarono un timore: con il nuovo Papa la Chiesa avrebbe fatto un passo indietro, ci sarebbe stato un pericoloso ritorno alla tradizione a scapito del dialogo, e la Chiesa si sarebbe irrigidita su posizioni dottrinalmente superate. Altri osservatori, invece, si dissero entusiasti per i motivi esattamente opposti: il neoeletto avrebbe recuperato la tradizione, rafforzato l’identità cristiana, e ci sarebbe stato un salutare chiarimento circa gli esiti deteriori del Concilio Vaticano II.
L’analisi, già nei termini usati, era superficiale su entrambi i fronti, e lo si è ben visto in seguito. Una volta divenuto Benedetto XVI, il teologo Ratzinger, dopo essere stato per più di vent’anni a capo della Congregazione per la Dottrina della fede, non ha ragionato neppure per un minuto come fanno i partigiani del progressismo e del conservatorismo, ma si è messo all’opera, come «un umile lavoratore nella vigna del Signore», con due precise priorità: rendere presente Dio a ogni uomo e confermare i fratelli nella fede.
Queste sono state le sfide, al tempo stesso semplici e tremende. I rischi li aveva lui stesso ben presenti. Nel giorno dell’inaugurazione del suo ministero, chiese ai fedeli di pregare per il Papa, perché non fuggisse davanti ai lupi. Ora sappiamo che i lupi sono arrivati e si sono mostrati più volte. Ma sappiamo anche che il Papa non è fuggito.
Cercando Dio
In un discorso tenuto nella laicissima Parigi, la città dei lumi, Benedetto ha spiegato che la cultura europea moderna è nata nei monasteri medievali grazie a uomini che non erano studiosi alla ricerca di nuove teorie, ma uomini di preghiera alla ricerca di Dio.
Il progresso vero avviene così, cercando Dio. Nasce da un desiderio di verità e di assoluto a partire dalle domande più profonde ed eterne. Non così avviene per le ideologie, elaborate invece per sostenere la ricerca e il mantenimento del potere. E non così è per la scienza e la tecnologia, che hanno bisogno del supporto religioso e filosofico perché se sono abbandonate a se stesse portano alla nostra distruzione, non al miglioramento della vita.
Il ragionamento di Benedetto sulla scienza costituisce l’altra grande proposta da lui fatta all’uomo contemporaneo. Non è vero che è ragionevole soltanto ciò che è scientificamente sperimentabile ed empiricamente misurabile. Né è vero che è umano solo ciò che possiamo vedere. Ragionevole è anche credere in un Dio morto e risorto per noi. Un Dio che non vediamo ma del quale avvertiamo la presenza e che ci ha donato la salvezza attraverso suo Figlio. Allargare lo spazio della ragione non è facile, e il Papa è il primo a riconoscerlo, ma è indispensabile se non vogliamo condannarci a essere dominati dalle sole logiche di potere e dalla tirannia della maggioranza, unico principio riconoscibile e riconosciuto per l’uomo senza verità.
Di questo, ha detto Benedetto XVI, credenti e non credenti dovrebbero ragionare insieme in un rinnovato «cortile dei gentili», come era chiamato anticamente lo spazio posto accanto al tempio di Gerusalemme, dove ebrei e non ebrei avevano la possibilità di confrontarsi. È una proposta di dialogo in linea con il Concilio Vaticano II, quel Concilio che Benedetto ha chiesto di conoscere e vivere meglio, non come una nuova costituzione che ha abrogato una vecchia legge (cosa impossibile nella Chiesa, dove l’unica «costituzione» è il Vangelo), ma come un modo per annunciare e trasmettere più efficacemente la fede.
A questo proposito, nella sua vecchia università, a Ratisbona, Benedetto XVI ha tenuto una lezione magistrale non solo per definizione ma anche per contenuti. È lì che si è chiesto se la fede può essere compatibile con la violenza, ed è precisamente lì che è nata quella scintilla che ha portato poi alcuni esponenti della cultura islamica a chiedere per la prima volta di potersi confrontare con lui e con l’intera Chiesa cattolica su questi temi così decisivi per il futuro dell’umanità. Condannato dagli intolleranti come manifestazione di inimicizia nei confronti dell’islam, quel discorso ha invece fatto nascere un dialogo nuovo, sulla base non di vuote parole ma di identità riconosciute e riconoscibili.
Assoluta chiarezza
L’ultimo capitolo, per ora, di questo pontificato così ricco di temi e di proposte è caratterizzato da quello che viene chiamato lo scandalo pedofilia. Purtroppo alcuni settori della Chiesa hanno troppo a lungo taciuto su nefandezze che lasciano senza parole per il dolore, la rabbia e la vergogna. Benedetto XVI, come suo solito, non ha evitato l’argomento. Ogni volta che gli è stato possibile ha condannato questi comportamenti come incompatibili con il sacerdozio, ha chiesto ai vescovi di denunciare i responsabili anche alle autorità civili e di prestare ogni assistenza alle vittime. Negli incontri con il clero il Papa chiede sempre di essere testimoni credibili di Gesù. Per questo occorre stare vicini al Signore, con la preghiera, davanti al tabernacolo, senza lasciarsi condizionare da chi vorrebbe trasformare il prete in un dispensatore di servizi sociali. L’Anno sacerdotale ha come modello Giovanni Maria Vianney, meglio conosciuto come il curato d’Ars: non un eroe, non un uomo speciale, ma un povero prete di campagna, non brillante negli studi e nemmeno bello. Rimase nello stesso villaggio per quarant’anni, non fece niente di straordinario. Ma predicò, insegnò il catechismo e confessò instancabilmente, in un’epoca caratterizzata da un forte anticlericalismo. I fedeli sanno riconoscere i santi, e il paesino di Ars divenne meta di pellegrinaggi prima ancora che Papa Pio X proclamasse quel prete beato e, vent’anni dopo, Pio XI lo dichiarasse santo e patrono dei parroci. La missione affidata ai sacerdoti, ha detto il Papa durante la visita a Malta, è un servizio alla gioia, la «gioia di Dio che desidera irrompere nel mondo». Ci potrebbe essere una definizione più bella? n
Convegno. Aula Paolo VI, 19 Giugno
Sacerdoti oggi
L’appuntamento è per il 9 giugno, a partire dalle ore 16, in Vaticano, nell’aula Paolo VI. Sacerdoti appartenenti al movimento di Schoenstatt e ai Focolari, con la collaborazione del Rinnovamento carismatico cattolico internazionale e di altre organizzazioni ecclesiali, si riuniranno in occasione della chiusura dell’Anno sacerdotale per un confronto sul ruolo del presbitero nella Chiesa e nella società. Tema dell’evento: «Sacerdoti oggi. Uomini di Dio – Fratelli tra i fratelli – profeti di un mondo nuovo». Due i momenti salienti: le testimonianze e i contributi artistici, anche con la partecipazione del Gen verde, il gruppo musicale femminile dei Focolari. «Oggi i sacerdoti devono affrontare molteplici sfide – dice don Hubertus Blaumeiser, responsabile del Centro dei sacerdoti diocesani dei Focolari – ma è anche vero che si aprono vie nuove. Con la nostra iniziativa ci rivolgiamo a tutti, anche ai seminaristi, per far vedere che molte strade sono state aperte e che tante esperienze sono in atto».
«Il Papa – spiega padre Ludovico Tedeschi, rettore della Comunità dei padri di Schoenstatt – ci invita a essere sacerdoti donandoci agli altri. La sfida numero uno è proprio quella dell’essere, perché il sacerdote non svolge semplicemente un’attività. Siamo sacerdoti se mettiamo al centro Gesù Cristo». La parola sacerdote, sottolineano gli organizzatori, si declina al plurale. Dice don Blaumeiser: «Il sacerdote non può essere un single, mai. Gesù ha vissuto a lungo in famiglia e poi, quando ne è uscito, per prima cosa ha fondato una comunità. La Chiesa è proprio questo: vita di comunione. Il sacerdote vive nel rapporto con gli altri e così facendo crea famiglia, crea comunità».
Indetto da Benedetto XVI il 19 giugno 2009 nella solennità del Sacro Cuore di Gesù, giornata dedicata alla preghiera per la santificazione del clero, l’Anno sacerdotale terminerà l’11 giugno 2010 con una tre giorni che culminerà nella messa presieduta dal Papa.
Il cardinale Claudio Hummes, prefetto della Congregazione per il clero, ha invitato i sacerdoti di tutto il mondo a intervenire e a pregare per il Pontefice. Si tratta, ha detto, di «offrire all’amato papa Benedetto XVI la nostra solidarietà, appoggio, fiducia e comunione incondizionata, dinanzi agli attacchi frequenti che gli sono rivolti, nel momento attuale, nell’ambito delle sue decisioni riguardo ai chierici incorsi nei delitti di abusi sessuali su minorenni. Le accuse contro di lui sono ingiuste: nessuno ha fatto quanto Benedetto XVI per condannare e per combattere correttamente tali crimini». Al convegno nell’aula Paolo VI, vissuto come preparazione all’incontro con il Papa, gli organizzatori invitano anche i laici, nella consapevolezza di quanto sia necessario un rapporto sempre più stretto e una collaborazione sempre più fattiva tra tutte le componenti della Chiesa. «Non dobbiamo mai dimenticare – dice don Blaumeiser – che la Chiesa non è fatta per se stessa, ma per portare una vita nuova al mondo».