Qui nacque il Salvatore

L’emozione e la bellezza di vivere il 25 dicembre a Betlemme, dove tutto l’anno si celebra la liturgia del Natale, nelle parole del padre Stephane Milovitch, superiore della comunità religiosa francescana della basilica della Natività.
11 Novembre 2011 | di

Il Natale è la festa più celebrata nel mondo. Coinvolge le famiglie, i bambini, la società intera. Per i cristiani è l’inizio del cammino verso il Regno promesso da Gesù, che sarà costituito da «cieli nuovi e terra nuova». Il Natale cristiano racchiude in sé una tale carica di significati e di energie da diventare un evento esplosivo. Contamina anche l’indifferenza. Sia pure in forme lontane dal suo preciso significato, il Natale raggiunge tutte le categorie umane e tutte le culture. Per una manciata di ore, nella notte di Natale il mondo cambia volto. E tutto è originato, direttamente o indirettamente, dal mistero di quella nascita avvenuta 2000 anni fa in una piccola capanna a Betlemme, in Palestina.
In milioni di famiglie sparse sulla faccia della terra, quella scena viene rivissuta attraverso la ricostruzione del tradizionale presepe. A Betlemme, invece, il Natale ha il peso della storia. È rievocato dove realmente si verificò. Le persone che celebrano il Natale a Betlemme possono dire a loro stesse: «Qui è nato Gesù», provando – nel pronunciare quella piccola parola, «qui» – un fremito che sconvolge. Il Natale di Betlemme è un evento che fa notizia. Ne parlano i giornali e la televisione. La messa di mezzanotte celebrata sul luogo dove Gesù nacque è trasmessa in mondovisione.
Per sapere veramente come si svolge e si vive il Natale nel luogo dove Gesù nacque, abbiamo parlato con una persona che abita a Betlemme. Si tratta di un religioso francescano francese, padre Stephane Milovitch, 45 anni, da circa due decenni impegnato in quella terra che da sette secoli è affidata alla cura spirituale dei frati di san Francesco, indicata con il nome di «Terra Santa».
«Sono arrivato qui nel 1992 – racconta padre Stephane – e tranne un periodo di quattro anni, trascorsi a Roma per studiare, sono sempre vissuto in questi luoghi. Posso dire quindi di aver vissuto quindici Natali a Betlemme». Laureato in teologia, poliglotta, persona affabile e grande organizzatore, padre Stephane è stato per sei anni segretario della Custodia di Terra Santa e dal 2010 è superiore della comunità religiosa francescana di Betlemme che vive nel convento della basilica della Natività.
La basilica della nascita

Questa basilica, dall’aspetto impotente e severo, è la meta principale dei pellegrini e dei turisti che giungono da tutto il mondo. La sua origine risale al 326: venne fatta costruire della Regina Elena, madre dell’imperatore Costantino, proprio sul luogo dove, secondo la tradizione, era avvenuta la nascita di Gesù. Lungo il corso dei secoli la basilica ha subito traversie, distruzioni e ricostruzioni, ma è ancora lì a testimoniare il grande evento.
Dal suo interno, due scale portano in una cripta sottostante, dove si trova la «grotta della natività», ovvero la grotta-stalla dove Maria e Giuseppe si rifugiarono perché «non c’era posto per loro nell’albergo». Mentre erano là, si compirono per Maria i giorni del parto, «diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia».
Nella grotta ci sono tre distinti luoghi di preghiera: il luogo del parto, indicato da una stella d’argento a quattordici punte; alcuni metri più avanti, il presepe, cioè la mangiatoia dove la Madonna depose Gesù; di fronte, infine, l’altare dei magi, punto dove si fermarono i tre illustri studiosi di astrologia che vennero dal lontano oriente per adorare il re-bambino, la cui nascita era stata annunciata loro da segni celesti. Nella grande basilica e in quei tre luoghi della cripta, che la tradizione, confermata da inoppugnabili documenti letterari e archeologici, indica come quelli autentici della nascita di Gesù, si svolgono le solenni cerimonie del Natale a Betlemme.
«Bisogna precisare – dice padre Stephane – che a Betlemme tutti i giorni è Natale. I pellegrini, sia che arrivino a febbraio, luglio o agosto, vengono qui per celebrare l’incarnazione di Cristo. E noi sacerdoti, accogliendoli, ogni giorno viviamo con loro il Natale. Nella Basilica e nella grotta celebriamo la liturgia del Natale, dove si dice “oggi Gesù è nato”. Ma questo non toglie, però, che il 25 di dicembre sia un giorno completamente diverso anche per noi. Le emozioni, i sentimenti, la gioia, in quell’occasione, qui, dove tanti anni fa si compì l’evento, sono indicibili».
Il 25 dicembre viene preparato con largo anticipo, a partire dal sabato della prima domenica di avvento e poi nel corso delle quattro settimane successive. Si recitano preghiere speciali nelle chiese e nelle famiglie; si allestiscono addobbi e luminarie, non in modo vistoso come nelle città europee, ma con tanta passione e devozione. Tutta la città è in fermento, non solo i cristiani, che a Betlemme sono una piccola parte della popolazione: l’attesa del Natale è sentita da tutti. Qualche giorno prima della festa, vicino alla basilica, per iniziativa del Comune, viene addobbato di tante luci un grande albero, detto «albero della pace».
La celebrazione
nella Notte Santa

Sottolinea padre Stephane: «A partire dal pomeriggio del 24 dicembre e fino alla sera del 25, l’intera Betlemme diventa una grande chiesa dove la preghiera è continua, con la partecipazione di pellegrini da tutto il mondo. Non solo cattolici, ma anche di altri riti e di altre religioni. I sacerdoti, i vescovi e tutti i frati presenti in Terra Santa si trasferiscono a Betlemme». A loro si uniscono le autorità civili: il sindaco di Betlemme che, per legge, deve essere cristiano; il presidente della Palestina, Abu Mazen, con i suoi  ministri musulmani; arrivano i consoli cattolici presenti in Palestina, uomini politici e diplomatici dei Paesi del Medio Oriente, dell’Europa e da altri continenti.
«Betlemme – testimonia il religioso – diventa così un grande centro ecumenico, pervaso da una stupefacente atmosfera mistica. Tutto si svolge all’insegna della serenità, della cordialità, come se il mondo fosse diventato improvvisamente una grande famiglia unita».
Le solenni cerimonie iniziano nel primo pomeriggio del 24 dicembre, con l’arrivo del patriarca latino di Gerusalemme, che viene accolto nel monastero di sant’Elia dalle autorità civili e religiose della città, dopo aver ricevuto il saluto dei parroci davanti alla tomba di Rachele. Come è noto, Betlemme è circondata dal «muro di separazione» tra Israele e la Cisgiordania: il corteo del patriarca deve passare per una speciale porta che viene aperta solo in rare occasioni per grandi autorità.
Le celebrazioni che precedono la Messa di Mezzanotte iniziano alle ore 16.00 con la processione dei frati della comunità e il canto solenne dei vespri. Alle 23.30 prende avvio la cerimonia che riguarda strettamente la nascita di Gesù, presieduta dal patriarca e concelebrata dai vescovi presenti e, in genere, da circa 150 sacerdoti. Si comincia col canto del mattutino; allo scoccare della mezzanotte, le campane della Basilica suonano a distesa e la corale intona il gloria. Un sacrista toglie il panno che avvolge la parte sottostante l’altare, fatta a culla, dentro la quale è sistemata la statuetta del Bambino Gesù. «È il momento più emozionante – svela padre Milovitch – perché ricorda la nascita del Salvatore; e il canto del gloria ricorda quello degli angeli ascoltato dai pastori». A questo punto, il patriarca rende omaggio con l’incenso a Gesù Bambino e poi inizia la Messa, che si svolge regolarmente celebrata in latino, con le letture proclamate in otto lingue.
Abu Mazen e il suo seguito sono di religione musulmana. Secondo un’antica consuetudine, i musulmani possono essere presenti alla Messa ma non al momento della comunione. Quindi, dopo la recita dell’Agnus Dei, il patriarca saluta il presidente Abu Mazen che si ritira con tutto il suo seguito. La messa procede con grande concorso di persone che fanno la Comunione, mentre la corale intona i tradizionali canti natalizi.
Nella grotta
la sacra rappresentazione

Alla fine del rito eucaristico, si svolge la cerimonia del trasferimento della statuetta del Bambino dalla culla dell’altare al presepe, che qui è permanente e si trova sul luogo dove Gesù venne posto dalla Madonna nella mangiatoia. Il patriarca prende il bambino e in processione raggiunge la grotta della natività. Il corteo è limitato ai concelebranti e a poche altre persone, perché nella grotta lo spazio è limitato. Qui si svolge una specie di sacra rappresentazione, spiegata da antichi canti gregoriani con testi in latino che risalgono al quarto-quinto secolo.
La prima tappa è il luogo dove si trova la stella d’argento a quattordici punte: il cantore declama i passi dei Vangeli che raccontano la storia della nascita, ma aggiunge anche alcuni dettagli. Per esempio, quando afferma che la Vergine Maria ha partorito il figlio, al testo storico aggiunge «hic», «qui», per sottolineare che in quel preciso luogo avvenne la nascita. Poi dice che la Madonna avvolse il bambino in poveri panni e il patriarca, con gesti amorevoli come fosse una mamma, avvolge la statuetta di Gesù con drappi bianchi.
Il cantore prosegue dichiarando che il bambino venne posto in una mangiatoia, anche in questo caso aggiungendo «hic», perché la mangiatoia, lì davanti agli occhi dei presenti, nella quale ora il patriarca depone la statuetta, è proprio quella dove la Vergine depose il bambino Gesù.
I dettagli del canto e i gesti del patriarca richiamano l’evento più grande accaduto sulla faccia della terra e le emozioni nei cuori dei presenti sono indicibili.
Alla grotta le Messe si succederanno una dopo l’altra per tutto il giorno del 25 dicembre. Alle dieci del mattino, il patriarca torna nella basilica per celebrare una seconda messa solenne, in arabo. Al termine il patriarca rientra a Gerusalemme, mentre a Betlemme si continua a pregare e a cantare.
Conclude padre Stephane: «L’augurio che voglio rivolgere da Betlemme non può che essere cristiano e francescano: voglio raccomandare a tutti di permettere che Gesù nasca dentro il proprio cuore, col proposito di farlo crescere nel corso del prossimo anno e di tutta la vita, giungendo così a percepire il significato profondo del Natale, con occhi attenti alla realtà concreta, come volle fare san Francesco a Greccio».

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017