«Racconto la guerra con la pace nel cuore»

A colloquio con Giovanna Botteri, inviata del Tg3 nelle aree più pericolose della Terra, premiata, assieme alla nostra testata, con la "Colomba d'oro della pace"2004.
29 Novembre 2004 | di

Di origini triestine, 47 anni, laureata in Filosofia, conduttrice e inviata speciale del Tg3. Da una quindicina d'anni, Giovanna Botteri percorre le aree più pericolose e disastrate del pianeta per raccontare l'umanità  spezzata dalla fame, dagli odi e dalla guerra. Una vita in prima linea, un lungo e apprezzato impegno professionale, che l'ha portata giustamente a meritare numerosi riconoscimenti, fra cui, nel giugno scorso in Campidoglio, a Roma, quello della Colomba d'oro della pace insieme al Messaggero di sant'Antonio.
Con il Tg3 Giovanna Botteri è stata inviata in Algeria, Sudafrica, Iran, Albania e Kosovo. Preziosa anche la collaborazione ai programmi di Michele Santoro (Samarcanda, Circus e Sciuscià ), ma il suo volto resta legato soprattutto alle corrispondenze dall'Iraq, prima, dopo e durante la guerra di Bush contro il regime di Saddam Hussein. Due, in particolare, i momenti della sua esperienza di inviata che resteranno per sempre nella storia del giornalismo e della comunicazione. Il primo risale al 20 marzo del 2003: lo scoop - rimasto unico fra tutte le tv del mondo - dei primi bombardamenti su Baghdad, attaccata dagli americani e dai loro alleati. L'altro momento memorabile è del 9 aprile seguente: l'ingresso del primo carro armato della coalizione anti-Saddam nella capitale irachena ormai piegata e sconfitta dopo lunghi giorni di martellamento aereo.
È un mestiere rischioso e disagiato, il mio - ci racconta Giovanna Botteri -, un mestiere che ti espone al sangue e al marcio, alle immondizie e alle macerie. Soffri la fame, ti trovi spesso in situazioni di pericolo, ti misuri continuamente con i limiti del giornalismo, ma alla fine la passione del raccontare in presa diretta prevale su tutto: è un dovere etico, un servizio reso all'opinione pubblica.

Msa. Oltre che reporter, sei anche una mamma al fronte. Come concili lavoro ed esigenze familiari?
Botteri.
Con grande fatica ma anche con grande impegno. Certo è difficile per me convivere con quel senso di colpa che ti fa sentire inadeguata come madre. Da un lato, so che è giusto che faccia il mio lavoro (e mia figlia capisce che non posso rinunciarvi), ma, dall'altro, capisco anche la sua necessità  di avermi vicina il più a lungo possibile. Cerco di conciliare tutto, tenendo conto in ogni caso che i sentimenti e le esigenze di mia figlia vengono al primo posto.

Com'è nata la passione per il ruolo da inviato di guerra?
Tutto è molto legato alle mie origini triestine, di frontiera, e alla mia famiglia. Mia madre, in particolare, è montenegrina. I Balcani, li conosco da sempre. Da bambina, ad esempio, andavamo in vacanza in Dalmazia. Quando scoppiò la crisi balcanica, l'allora direttore del Tg3, Sandro Curzi, mi mandò lì perché sapeva che conoscevo bene quell'area geografica. Mi disse: Vai e racconta al pubblico televisivo quello che succede. E così feci, dal '91 al '96, ma con una marcia in più rispetto ai miei colleghi. Quei luoghi, quelle città  ormai devastate dal conflitto e dalle tensioni interetniche, io li avevo conosciuti in tempo di pace, e quindi ho potuto constatare con dolore tutta la forza distruttiva della guerra. Quando era piccola, nessuno badava alle differenze etniche e religiose. Con la guerra, tutto è stato spazzato via: la guerra uccide la tua idea di sicurezza, il tuo ideale di rapporti umani, il tuo amore per la vita, la tua fiducia nel futuro e nel sogno di una società  diversa...

Come combatti la paura?
Agli inizi mi vergognavo di confessare la mia paura. Poi, durante la mia prima esperienza a Sarajevo, mi hanno fatto capire che si deve avere paura, perché questo ti aiuta a riconoscere il pericolo, a prevenirlo, a difendertene: ti aiuta a essere prudente. È necessario restare lucidi per ragionare e gestire il panico, perché altrimenti questo non ti permette di capire la situazione in cui ti trovi, a dominare le tue emozioni. Una paura incontrollata è nemica del lavoro che svolge l'inviato di guerra, ti impedisce di fornire un'informazione onesta e realistica.

Quali possibilità  esistono perché in Iraq torni la pace?
Ho assistito a tante tragedie: l'odio etnico nei Balcani, la fame in Africa, la guerra in Iraq... Come giornalista, il mio dovere professionale e sociale è quello di raccontare cosa è veramente la guerra e raccontarla in tutta la sua crudezza soprattutto mettendomi dalla parte di chi la subisce, specie se bambini, anziani, donne... La prima guerra del Golfo, nel 1991, ha consegnato alla storia un'immagine romantico-tecnologica di un conflitto moderno. Chiunque conosce la guerra con i propri occhi, sa invece che non può desiderare altro che la pace. L'osservatore politico analizza le strategie militari e gli interessi economici, ma l'inviato di guerra ti guarda dalla tv con gli occhi di chi ha perso tutto, delle vedove e degli orfani, di chi non riesce a trovare più nulla da mangiare o un vestito per coprirsi... Come donna e come inviata, il mio contributo è proprio questo: raccontare la guerra in tutto il suo orrore per suscitare contro di lei ribrezzo e di-sprezzo. Nella speranza che questo possa essere il primo passo verso la pace.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017