Red Canzian. Un hangar pieno di sogni

Red Canzian, il bassista dei Pooh, idolo di migliaia di fan, si racconta. Poche le cose che contano nella vita: la famiglia, i figli, gli amici e l’amore per la natura.
11 Dicembre 2012 | di

È abituato alle folle in delirio per lui, Red Canzian, una pop star che si definisce una persona semplice, attaccata a solidi valori: la fede e la famiglia. Con tante passioni: la musica, prima di tutto, e poi la pittura, i bonsai e un amore radicato per la natura da cui – sottolinea – «l’uomo dipende». Il «popolo dei Pooh» tributa a lui e ai suoi compagni, Roby Facchinetti e Dodi Battaglia, un amore che dura da decenni: ci sono fan che fanno ore e ore di viaggio per sentirli cantare, per vederli sul palco, c’è chi porta loro fiori e chi non si perde un concerto. Popolarità, concerti in tutto il mondo, eppure Red è rimasto saldamente ancorato alle sue radici, come si evince anche da un recente suo libro autobiografico.

È nato a Quinto di Treviso sessant’anni fa e ora abita, sempre nella stessa provincia, in una villa lambita dal fiume Sile, con la moglie Beatrice. Sente di dovere molto al suo passato, di cui non rinnega niente: ai suoi genitori, alla sua infanzia trascorsa in parte nella Villa Borghesan di Quinto – data dal Comune alle famiglie più povere del paese –, ai primi amici, «I Prototipi», con cui cominciò a suonare e a «fare le stagioni» a Jesolo, cittadina balneare dell’Adriatico. E, dopo tanti anni sulla breccia, ha ancora un «hangar pieno di sogni» da realizzare, convinto da sempre che credere fortemente nei propri sogni sia il segreto per poterli realizzare. Sempre nel migliore dei modi, perché Red è meticoloso, cerca la perfezione in tutte le cose che fa, e ci consegna un monito prezioso: «Noi abbiamo il dovere di sognare, il buon Dio non ci avrebbe dato la capacità di sognare se non ci avesse dato anche la possibilità di realizzare i sogni. Non permettete a nessuno di spegnere i vostri sogni».

Msa. Lei da piccolo ha sperimentato la povertà?
Canzian. Sono stato fortunato a essere povero. Abitavamo con la mia famiglia nella Villa Borghesan, dove aveva soggiornato l’aviatore Francesco Baracca. Vivevamo in due stanze e c’era tutto quello che contava: l’amore, la vita. Eravamo poveri, ma siamo cresciuti bene lo stesso. Di quando ero bambino ricordo le cose che potevo fare: le corse nelle grandi stanze affrescate (lì ha avuto origine la mia passione per la pittura), i giochi nel parco (lì mi sono innamorato della natura ed è iniziata la mia passione per le piante). Ero un bambino abbastanza solo, sono cresciuto nella natura, le piante sono state spesso le mie compagne di gioco. Una volta che nevicò a Quinto, scendemmo giù da una montagnola del parco usando le cartelle come slitte.

Parliamo dei suoi genitori: il papà Giovanni, un ottimista mai fiaccato dalle sconfitte, come quella volta in cui, pronto a emigrare in Australia, dovette rinunciare.
Mio papà a casa c’era poco, perché faceva il camionista. A tre anni mi portava già a pescare nello stagno vicino a Quinto e per questo l’odore dell’acqua mi è familiare. Forse, se sono diventato quello che sono lo devo a questo «gigante» della mia vita. Lui ha creduto in me, nella mia determinazione a diventare musicista. A metà giugno del 1965 mi comprò la prima chitarra, da Fusco in via Barbe­ria, a Treviso, pagandola a rate cinquemila lire. Ho scoper­to dopo che per lui fu un grande sacrificio. Con quella imparai a fare i primi accordi.

Sua mamma Gianna, da sempre devota di sant’Antonio. Quando stavate per emigrare portò via da casa poche cose, tra le quali un’immaginetta del Santo.
Mia mamma ha sempre avuto i santini di sant’Antonio e una sua statuetta vicino al letto. Mi ricordo che un giorno, tanti anni fa, aprii il mio portafoglio e vi trovai infilata un’immaginetta di sant’Antonio. Ce l’avevo già da tre anni, anche se non me ne ero accorto: mia mamma me l’aveva messa perché il Santo mi proteggesse quando avevo incominciato a viaggiare. Entrando nelle chiese di tutto il mondo, mi piace accendere una candela per le persone care che non ci sono più e spesso trovo sant’Antonio. Per esempio, in Croazia ho visto la statua del Santo in tutte le chiese. Mi ci sono affezionato anch’io.

La fede occupa un posto importante per lei?
Io credo che in tutto ciò che faccio ci sia fede. Credo a un’entità superiore a noi perché non penso che tutte le meraviglie che abbiamo intorno siano state fatte solo dall’uomo. Credo che noi uomini dobbiamo ringraziare il cielo per tutto quello che abbiamo.

Tra le sue priorità c’è la salvaguardia della natura. Si sente un po’ francescano in questo?
No, io mi sento soltanto una persona che ha capito che siamo noi ad aver bisogno della natura. Per questo, ogni anno, io e mia moglie Beatrice andiamo nelle scuole elementari e regaliamo alberi ai bambini perché imparino a prendersi cura della natura. In vent’anni abbiamo regalato oltre 25 mila piante.

A questo proposito, ci dice qualcosa di più sull’iniziativa «Un albero per la vita»?
Regaliamo un albero ai bambini delle prime elementari, una pianta che crescerà con loro e che loro stessi devono curare. Prendersi cura di qualcuno credo sia un ottimo insegnamento; se poi questo «qualcuno» è una pianta e i bambini, con il nostro aiuto, capiscono che è l’essere umano ad aver bisogno della natura (e non viceversa), forse diventeranno degli uomini e delle donne migliori.

Un’altra delle sue passioni è la pittura.
Vicino a Villa Borghesan, a Quinto, c’era Villa Ciardi. La famiglia Ciardi era una famiglia di pittori veneziani straordinari, vissuti tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Quando sono nato, loro non venivano più a Quinto, però in paese si ricordavano del più giovane di loro, Bepi Ciardi, che era un omone burbero e severo, sempre vestito di nero, che andava a dipingere i paesaggi del Sile. Crescendo, sono andato a vedere i quadri dei Ciardi e ho cominciato a imitarli. Anche quella era una maniera per raccontarmi e dipingere mi piace ancora molto, però ho quel pudore che mi impedisce di fare una mostra: i quadri li faccio per me. Credo che se non avessi cantato, avrei svolto un’attività legata alla grafica.

Lei aiuta, con la «Fondazione Q», i giovani talenti. Perché?
Perché ho una buona memoria e ricordo i miei inizi. Magari dimentico quello che ho fatto ieri, però i miei inizi li ricordo molto bene. Credo che si debbano aiutare i giovani talenti. Molto spesso ci sono persone che hanno grande talento ma non sanno venderlo, hanno timore di «buttarsi» e quindi si perdono. Io mi sono buttato, e dopo mi sono chiesto perché io ce l’avevo fatta e altri no. Io credo che chi ha una vita come la mia, piena di risultati, debba restituire qualcosa a chi merita.

È riuscito a realizzare tutto quello che voleva nella vita?
Gli anni sono volati, fra vent’anni ne avrò 80, e ho ancora tantissime cose da fare. Se mi siedo lungo il fiume e guardo l’acqua passare (senza pescare perché non pesco più da quando sono diventato vegano), mi viene sicuramente in mente qualche idea da realizzare.

Lei ha raccontato la sua vita in un libro autobiografico, delicato e profondo, Ho visto sessanta volte fiorire il calicanto. Perché questo titolo?
Il libro è partito dalla voglia di scrivere un diario. Il calicanto è un fiore che sboccia prima degli altri, a gennaio, e io come lui volevo sempre arrivare in anticipo. Il calicanto è un fiore pioniere, coraggioso. Sono sempre stato io la «locomotiva dei miei sogni».

La lunga storia con i Pooh, cominciata nel 1972, è stata per lei anche una storia di amicizia?
È un’amicizia cresciuta nel tempo. I Pooh venivano da città diverse. Ci abbiamo messo del tempo a scoprirci, attraverso il lavoro, le difficoltà, le idee diverse, le litigate e i punti in comune. Sono amicizie molto forti che si costruiscono giorno per giorno. Se non ci fosse stata questa amicizia forte, il gruppo non avrebbe potuto, nel 2009, «perdere» il quarto componente (Stefano D’Orazio) e continuare, perché, come avviene nelle famiglie, le disgrazie, le difficoltà, o dividono o uniscono ancora di più. Quanto agli amici, poi, io non ho mai preteso di averne troppi, perché chi dice di avere troppi amici o racconta delle bugie o se le fa raccontare.

Quali sono per lei i valori fondamentali?
Tutte le cose vere, i sentimenti veri. I figli, la famiglia, il rispetto per gli altri. Quando hai questo nella vita, hai tutto. Io sto bene con poco, sto bene con le persone che amo. Mi basta questo.
 

LA SCHEDA

Red e i Pooh
 
Red (per l’anagrafe Bruno) Canzian è nato a Quinto di Treviso il 30 novembre 1951, da mamma Gianna e papà Giovanni. Chitarrista autodidatta, inizia a suonare prestissimo, all’età di 13 anni. La sua prima band, i Capsicum Red (che all’inizio si chiamano I Prototipi), è un gruppo di amici che ancora oggi si ritrova in occasioni speciali. Dopo un anno di attività con un altro gruppo, gli Osage Tribe, nel novembre del 1972 Red viene chiamato dai Pooh, che stanno cercando un bassista, e dal 1973 inizia con loro la grande avventura. Con i Pooh diventa un musicista e cantante noto in tutto il mondo.

Nel 1992 pubblica il libro Magia dell’albero, nel 1996 Storie di vita e di fiori e nel 2012 Ho visto sessanta volte fiorire il calicanto (Mondadori). Con Roby Facchinetti, Dodi Battaglia, Danilo Ballo alle tastiere e Phil Mer alla batteria, i Pooh stanno portando in tournée il loro nuovo disco Opera seconda, con le grandi canzoni della loro carriera e l’accompagnamento di un’orchestra sinfonica.
Il 30 gennaio  2013 saranno al Palais des Beaux Arts di Charleroi (Belgio) e il 31 gennaio a Le Forum di Liegi (Belgio).

 
 
Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017