Riapre la basilica di san Francesco II miracolo di Assisi
Stavolta vi raccontiamo la storia di un miracolo: il miracolo di Assisi. Sono passati appena due anni da quando le scosse del terremoto hanno aperto ferite brutali nel complesso francescano di Assisi. Tutti ricordano, per averlo seguito in diretta tv (era il 26 settembre del 1997), il fragore sordo e la conturbante nube di polvere provocati dalle volte del transetto della basilica superiore che franavano al suolo: quattro le vittime tra i religiosi e i tecnici che stavano valutando gli effetti di precedenti scosse. Ma in quell'inferno di polvere e detriti, ridotti in decine di migliaia di frammenti (120 mila se ne conteranno alla fine), c'era un affresco di incomparabile bellezza e valore, il san Matteo del Cimabue.
Queste sono le immagini tra le più drammatiche di quel terremoto che sembrava non avere più fine e che, per stare al tema, aveva fatto crollare anche altri affreschi della basilica che raffiguravano otto santi dipinti sugli arconi della prima campata attigua alla facciata e quelli della vicina vela di san Girolamo. Mentre l'intero edificio, messo a dura prova da altri 25 terremoti susseguitisi nel corso della sua esistenza, subiva gravissime lesioni che ne compromettevano la stabilità . Il rischio che tutto crollasse, cancellando tutti gli affreschi che compongono un ciclo di capolavori assoluti, era reale. E il mondo intero rimase a lungo con il fiato sospeso.
Ebbene, dopo soli due anni, tutti i danni sono stati in grandissima parte riparati, e la basilica superiore alla fine di questo mese riaprirà le porte per accogliere nuovamente pellegrini e turisti che già hanno ripreso a sciamare per le stradine della città del «Poverello». Un vero miracolo, se si pensa ai tempi biblici delle ricostruzioni, frenate da un'insipiente burocrazia, da interessi, gelosie e quant'altro... che fanno sì, ad esempio, che in paesi terremotati vicino ad Assisi ci sia gente ancora nelle baracche o nei gelidi container. Ed è già inverno...
Ma qui si tratta di Assisi, un luogo unico al mondo: sulle pareti delle basiliche francescane, con Cimabue, Giotto, Lorenzetti e uno stuolo di altri artisti è nata la pittura moderna; nel cuore del santuario è custodita la tomba di Francesco, un santo dal fascino incredibile, origine di una spiritualità che incanta ancora milioni di persone.
Il mondo non ci avrebbe perdonato e, a motivo delle solite lentezze, dei soliti pasticci «all'italiana», il santuario avesse subito danni irreparabili. Invece «si è compiuto un miracolo, reso possibile - come ci ha detto il professor Mario Serio, direttore generale del ministero dei Beni e delle attività culturali - dal pieno accordo realizzatosi nella speciale commissione nominata subito dopo il terremoto, tra le componenti tecniche, scientifiche e gestionali; questo è un cantiere interdisciplinare dove il dialogo tra le varie competenze è indispensabile se si vuole che le cose procedano. Il dialogo c'è stato, ed è uno dei motivi per cui l'intera operazione di recupero e restauro è ormai in dirittura d'arrivo».
Per questo, il cantiere di Assisi, battezzato provocatoriamente il «cantiere dell'utopia» perché di alcune cose, come vedremo, si pensava che non si sarebbe mai venuti a capo, ha potuto tramutarsi col tempo in concreta realtà . Non solo, ma quello di Assisi è stato un cantiere di sperimentazione e di ricerca. Tallonati dall'emergenza, professionisti tra i migliori in circolazione hanno sperimentato e inventato, sfruttando quanto di meglio offre la tecnologia, soluzioni avanzatissime e materiali nuovissimi che, applicati a strutture antiche in un connubio segnato dal massimo rispetto, hanno dato risultati eccellenti per qualità e robustezza. Soluzioni all'avanguardia che serviranno da modello per analoghe situazioni.
Lo hanno sottolineato, con visibile soddisfazione, i professionisti stessi, intervenuti a un convegno, organizzato tra il 22 e il 25 settembre scorso, ad Assisi per fare il punto della situazione e, soprattutto, per annunciare che l'apertura della basilica superiore alla fine di novembre, prima data per possibile, ora è certa.
Qualcuno, ora che ogni paura è passata, tra le infinità di dati tecnici offerti, ha inserito piacevoli e istruttivi aneddoti. Come questo narrato da Giorgio Croci . Come si sa, il terremoto aveva reso pericolante il timpano sinistro del transetto, che rischiava di franare con i suoi ottanta quintali di pietre sul tetto provocando danni non quantificabili. Occorreva un intervento immediato, ma il transetto non era facilmente accessibile e bisognava correre contro il tempo. Fu al termine di una lunga riunione della commissione, quando ormai albeggiava, che si decise di attuare la proposta dell'ingegnere Giorgio Croci di posizionare una gru nella zona di intervento servendosi di un'altra gru. Dalla piazza antistante la basilica ai piedi del transetto superando un'ala del convento: un'operazione rischiosa e spettacolare, trasmessa poi anche dalle tv. «Ma quando si passò all'azione - ha raccontato Croci - il 'gruista' ci chiese di fornirgli un'autorizzazione, trattandosi di un'operazione altamente rischiosa'. Nessuno ci aveva pensato. Lo tranquillizzai dicendogli che quell'autorizzazione gliela davo io stesso, senza chiedermi se potevo farlo. Non potevo. Per fortuna tutto è andato bene e la burocrazia sorvolò».
Due tipi di interventi. Si dovette provvedere a due tipi di interventi: riparare i danni strutturali e consolidare l'intero edificio, già provato dagli altri terremoti, ognuno dei quali aveva lasciato segni non sempre visibili a un esame superficiale; e poi porre mano, nel tentativo di salvarli, agli affreschi: sia quelli rimasti in situ lesionati o pericolanti, sia quelli che giacevano in a miriade di frammenti sul pavimento della basilica.
Sul recupero degli affreschi abbiamo già detto a lungo in precedenti servizi. Ci ritorniamo brevemente. Quasi nessuno, all'indomani dei crolli, era disposto a scommettere sul recupero anche di un solo brandello significativo di quei capolavori. «Nessuno riuscirà a mettere insieme della polvere colorata» aveva sentenziato un noto restauratore che già aveva lavorato ad Assisi, il professor Bruno Zanardi.
Ma gli esperti dell'Istituto centrale del restauro non erano disposti a condividere tanto scetticismo. Come il professor Giuseppe Basile che ci racconta: «Ci battemmo anzitutto perché le ruspe che dovevano intervenire per rimuovere le macerie sotto le quali giacevano le quattro vittime, non completassero in modo irreparabile la distruzione dei capolavori e ottenemmo che l'operazione avvenisse in modo preordinato. E così i resti degli affreschi della prima campata finirono in mucchi predefiniti lungo il prato antistante la basilica, e le decine di volontari accorsi poterono iniziarne subito il recupero. Per gli altri, la cernita venne fatta sul posto. I frammenti sono stati collocati in apposite cassette per essere poi riassemblati e restaurati».
Visto lo scetticismo che aleggiava su quel recupero, Basile chiamò il cantiere «cantiere dell'utopia». «Una provocazione - dice - ma ora quell'utopia è diventata realtà : siamo riusciti a ricostruire in buona parte tutti gli otto santi, stiamo provvedendo al loro restauro e, con ogni probabilità , riusciremo anche a ricollocare al loro posto san Ruffino, patrono di Assisi, e san Vittorino addirittura prima della riapertura della basilica».
Per questi frammenti tutte le operazioni - dalla cernita all'assemblaggio al restauro - sono state compiute manualmente, affidandosi alla preparazione tecnica e culturale dei restauratori in collaborazione con storici dell'arte».
Per i 120 mila frammenti delle vele del Cimabue si è ricorsi, invece, all'aiuto del computer. Un sofisticato programma, messo a punto da professori di informatica dell'Università La Sapienza di Roma, faciliterà il lavoro dei restauratori e degli storici, ai quali spetterà sempre l'ultima parola. Il computer, immagazzinati tutti i frammenti, sta facendo una prima catalogazione del materiale e predisponendo una serie di informazioni che saranno certamente utili. A chi critica l'utilizzo di questi supporti strumentali, Giuseppe Basile risponde: «Non si tratta di sostituire l'uomo con la macchina, ma di utilizzare strumenti che consentono di ottimizzare tempi ed economie. Le 25 mila ore di lavoro servite per il riassemblaggio degli altri affreschi, vengono ridotte a metà , con un risparmio netto di 100 milioni».
Anche gli affreschi rimasti in situ sono ormai a posto. Assai complesso il restauro di quelli delle volte, tutte lesionate e in procinto di cadere e sottoposte, quindi, a un opportuno consolidamento. «Si doveva però stare attenti a non danneggiare gli affreschi - racconta Basile - . Cosa possibilissima data la delicatezza dell'intervento. Ma ci siamo riusciti perché si è lavorato con la massima cura, escogitando tecniche nuove, ricorrendo a materiali appositamente inventati, come alcune malte della Mapei...».
Anche la vita di san Francesco narrata da Giotto sulle pareti del santuario, ha ritrovato gran parte del suo antico splendore. In tutto sono stati ripuliti 5 mila metri quadrati di affreschi, un'ottantina i restauratori impegnati, scelti tra quanti avevano lavorato una ventina d'anni fa a un precedente restauro, avvantaggiati, quindi, dal fatto di conoscere bene il monumento. Le pareti, ricoperte di polvere indurita, non potevano essere trattate con solventi; si è ricorsi allora a un materiale sintetico nuovo, una specie di gomma-pane, rivelatasi molto funzionale».
Consolidamento dell'edificio. Mentre i restauratori lavoravano sugli affreschi, architetti, ingegneri e muratori provvedevano al consolidamento dell'edificio, dopo averne individuati i punti deboli, che alla fine sono risultati assai più di quanti si pensasse. «Il timpano, una volta imbragato per impedirne il crollo - ci informa l'architetto Paolo Rocchi - , è stato rigenerato nel suo interno con iniezioni di malte appropriate (quelle messe in origine non c'erano più), e abilmente restaurato. Al termine è stato connesso alla testata del tetto con barrette di acciaio munite di dissipatori di energia, in modo che timpano e tetto non si danneggino più tra loro».
Le volte del transetto crollate sono state rifatte utilizzando il più possibile i mattoni recuperati; quelli inutilizzabili sono stati sostituiti con pietre costruite con materiali e tecniche simili alle originarie. Per ora uno strato di malta neutra le fa spiccare tra le altre ricoperte di affreschi, e testimonieranno a lungo l'affronto che il santuario ha subito. Non si sa ancora se e quando le immagini frantumate potranno ritornare nella loro sede naturale. Soluzioni diverse per alleggerire il peso di quella ferita (riaffrescare le volte con immagini analoghe o proiettarvi le diapositive di quelle cadute) sono state accantonate.
Tutte le volte, come si diceva, sono risultate assai malconce, e non solo a causa del terremoto, per cui si è dovuto rinforzarle con delle nervature (listelli di legno) poste in corrispondenza delle costolature e delle vele. «Le nervature - ci informa Paolo Rocchi - sono costituite da un materiale nuovo, composto da compensato marino e fibre aramidiche tipo kevlar; sono strutture molto leggere e collocate in modo tale e in dimensioni tali (non più larghe di 20 centimetri) da non danneggiare, con fenomeni di condensa o altro, gli affreschi sottostanti. Le nervature sono state poi ancorate al soffitto con tiranti di acciaio, muniti all'estremità di una molla per ammortizzare eventuali future scosse».
Infine, per rinforzare la basilica anche in senso orizzontale, è stata posta, su un ripiano preesistente che corre lungo le pareti perimetrali a circa sette metri dal pavimento e quindi non visibile, una trave d'acciaio. Composta da più parti e assemblata sul posto, la trave ha, nei punti in cui gli elementi si collegano, dei giunti oleodinamici che assorbono spostamenti dovuti al calore e offrono un collegamento rigido in caso di nuove scosse.
TRA TERREMOTO E GIUBILEO
Anche il ministro generale, padre Agostino Gardin, ha manifestato la soddisfazione della famiglia francescana per la celerità con cui sono stati eseguiti i lavori. «Ci accingiamo a celebrare la riapertura della basilica superiore con... francescana letizia - ci ha detto - . Il giorno del funerale delle vittime del crollo, di fronte al cumulo di detriti, ci prese tutti un senso di sgomento e incertezza sul futuro del santuario così vistosamente danneggiato. Ma ci ha fatto ben sperare il vivo interesse di tanti, accesosi subito intorno alla basilica». |