Ricamo di simboli a Petrella

Abbiamo tutti un immenso bisogno di stupore, per non lasciarci sommergere da una razionalità che pretende di spiegare tutto. Ma il mistero non si spiega, si gusta.
24 Novembre 2008 | di

È nel cuore intenso dell’inverno, nel mese di dicembre, che il Molise rivela tutta la sua bellezza. Allora i tramonti ammantano di colori vivissimi anche i candidi pendii ricoperti di neve, tra i quali rilucono di rimembranza romanica le piccole pievi nate sul cammino dei nostri pastori. È proprio qui, nei poggi più sereni, dentro gli angoli più nascosti che l’arte ha espresso tutto il suo incanto. Come sugli intagli in pietra della chiesa parrocchiale di un delicato paese, Petrella Tifernina, non lontano da Campobasso. Figure enigmatiche e simboliche, tracciate dagli uomini del Medioevo che consegnavano in tal modo alla pietra un messaggio profondo. Così, per esempio, osservando uno dei sette capitelli della chiesa di Petrella, rimani incantato da quella donna che si trasforma in sibilla: i suoi occhi penetranti ti inchiodano, escono dal passato e ti raggiungono anche oggi. E quando poi ti fermi a osservare attentamente quell’uomo che vola libero su ali d’aquila, ti senti subito proiettato nei problemi quotidiani, proprio dentro la forza di quelle ali, ali di Dio, il quale mai ti farà mancare il suo aiuto.


Il Medioevo ha vissuto tempi bui, ma anche speranze forti. Nel Medioevo, la Bibbia era mediata attraverso il linguaggio artistico, che rappresentava una sorta di «teologia popolare». Un messaggio capace di affascinare anche oggi chi osserva quei sette capitelli della chiesa romanica, diversi l’uno dall’altro. Guardando nella scia di destra, passando di colonna in colonna, si può ammirare tutto il fascino della creazione: piante, animali, fino alla creazione della donna e dell’uomo, con l’insidia del male rappresentata da una volpe con la coda di serpente. A sinistra, invece, le sette colonne portano il messaggio della redenzione, con simboli di speranza e di pace. Come il cervo che ricerca la fonte o come il bue, simbolo di pazienza e tenacia.

Anche i numeri hanno la loro importanza. Compaiono sul fonte battesimale sul quale si rincorrono il sei e l’otto. Ne chiediamo il significato al parroco, don Domenico. Apprendiamo così che il sei, impresso nelle stelle che hanno sei raggi, ci ricorda il sesto giorno della creazione: è simbolo della nostra grandezza, ma anche dell’umiltà delle nostre origini. Alle stelle si alternano fiori che hanno otto petali. L’otto diviene così il simbolo della redenzione, perché ricorda l’ottavo giorno, quello della risurrezione. Guai a separare il sei dall’otto, la nostra fragilità dallo splendore della grazia; la polvere dalla luce; la rosa dal profumo; le cose che fai dallo stile con cui le fai.


Noi non siamo chiamati a restare dentro la logica del sei, bensì in quella dell’otto. Siamo chiamati a partire dalla creazione – con la sua fatica e le sue lacrime – per giungere alla redenzione. Perché quel Gesù che attendiamo a Natale «ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo, ha lavorato con mani d’uomo». È il Concilio a ricordarcelo, ma lo rammentavano già i Padri della Chiesa: «Dio si è fatto uomo, perché l’uomo divenisse Dio!». Questo è il testo teologico che a Petrella è divenuto ricamo di pietra.
Anche il mistero dell’Immacolata ha nella pietra la sua evidenza: è san Giorgio che uccide il drago. Al santo è dedicata la chiesa di Petrella, simbolo di speranza nel nostro mondo inquieto. Una chiesa che il parroco deve «spiegare» spesso, soprattutto ai bambini i quali meglio di ogni altro si fanno cogliere dallo stupore primitivo delle cose. È di questo stupore che abbiamo tutti bisogno, perché sommersi da una razionalità travolgente che pretende di spiegare tutto. Ma il mistero non si spiega, si gusta. Solo così possiamo consentire alla luce della risurrezione di pervadere il nostro presente, poiché è quel sei che richiede l’otto, in un susseguirsi di forme e bellezze, di anelito e fiducia. 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017