Ricerca senza frontiere

«Il fatto di collocarmi sia negli Stati Uniti che in Italia o in altri Paesi del mondo, è per me funzionale a risolvere con la massima efficienza i problemi di cui mi occupo».
17 Novembre 2003 | di

ROMA
L";incontro a Roma con lo scienziato Mauro Ferrari, in occasione del conferimento del Premio per gli Italiani nel mondo, promosso dalla Fondazione Marzio Tremaglia, è stata un";esperienza oltremodo positiva per la carica d";umanità  e di fiducia nella vita che mi ha trasmesso. Egli ha già  svolto in Italia e negli Stati Uniti diversi incarichi, ma oggi, facendo parte del gruppo dei tre scienziati convocati dal governo degli Stati Uniti per sconfiggere il cancro, il suo impegno prioritario è rivolto alla missione di togliere all";umanità  uno dei mali che maggiormente la colpisce. Ha accolto la richiesta di un";intervista, come un";occasione privilegiata per poter comunicare con i lettori del Messaggero di sant";Antonio.
Msa. Professore, innanzitutto un breve curriculum sulla sua carriera universitaria e scientifica.
Ferrari.
Sono nato a Padova, ma sono cresciuto a Udine, città  dei miei genitori. Nella città  del Santo mi sono laureato in Matematica nel 1985 per poi trasferirmi all";Università  di Berkeley, in California, dove ho conseguito il Master e un dottorato di ricerca (Ph.D.) in Ingegneria meccanica. Ritornato in Italia, ho ricoperto il ruolo di ricercatore all";Università  di Udine ma nel 1990 sono stato richiamato come professore d";Ingegneria civile all";Università  di Berkeley diventando anche professore di Bioingegneria. Da cinque anni mi trovo all";Università  Statale dell";Ohio, dove sono ordinario di Medicina interna, di Ingegneria meccanica e biomedica e pro-rettore per quanto riguarda il trasferimento tecnologico di tecnologie mediche.
Com";è avvenuto il suo inserimento nelle università  statunitensi?
Oggi sono professore ordinario di Medicina per meriti di ricerca e non come titolo di studio. Questo mi ha spinto ad iscrivermi, come bisogno d";arricchimento professionale, ad una facoltà  di Medicina per approfondire la conoscenza delle aree di confine interdisciplinari, che nascondono le cose nuove. Una scelta possibile per il privilegio di risiedere negli Stati Uniti, dove è più facile frequentare aree interdisciplinari senza porre a rischio la propria carriera. Come matematico e ingegnere che si occupa di questioni mediche, ho avuto degli approcci interessanti nelle nanotecnologie per applicazioni particolari sul cancro e sul diabete, e in virtù di queste mie ricerche d";importanza internazionale, mi è stato offerto il riconoscimento di professore ordinario di Medicina. Negli Stati Uniti, nelle ricerche in medicina come in altre discipline, è importante avere il coraggio di guardare alle direzioni veramente innovative. Come scienziato e ricercatore, io sono grato agli Stati Uniti, Paese in cui mi sono inserito molto bene, per le possibilità  che ha offerto a me e ai miei familiari. Non ho mai perso la mia identità  italiana anche se, per noi residenti all";estero, c";è un";analogia con quello che avviene in famiglia quando giunge il secondo figlio: non porta via nulla al primo, ma aggiunge alla famiglia ricchezza umana, dimensioni e rapporti nuovi. Siamo americani e italiani; i due figli sono le due Patrie.
Mi parli dell";ultimo impegno che ha cambiato la sua vita.
Parto dalla consapevolezza che noi scienziati siamo a servizio dei cittadini. La scienza per svolgere il suo ruolo non deve essere una fantasia riservata a dei privilegiati, chiusi nella loro torre d";avorio, ma un servizio alla comunità . Io prendo con straordinaria serietà  e dedizione il concetto d";essere utile alla comunità  locale e globale; al governo americano come al governo italiano, quando me lo chiede. Negli anni scorsi ho svolto ruoli di consulente per la Casa Bianca, per i dipartimenti dell";Energia, della Sanità  e della Difesa. Ma l";attività  più importante, che ha cambiato la mia vita, è iniziata circa 8 mesi fa, quando mi è stato chiesto, da parte dell";Istituto Nazionale dei Tumori di Bethesda, a Washington, di dirigere un nuovo programma rivoluzionario, chiamato Nanotecnologia oncologica, che ha un budget di 2 mila miliardi di vecchie lire italiane per i prossimi cinque anni. Il programma rientra in un quadro straordinariamente emozionante formulato dal nuovo direttore, professor Andrew von Eschenbach, che prevede per il 2015 la cessazione di sofferenze e morti dovute al cancro. Von Eschenbach è la più grande autorità  mondiale su questa malattia e crede che nelle ricerche siamo ormai alle svolte conclusive: avere cioè la possibilità  di contribuire, con risultati positivi, a questo parco nanotecnologico, di cui siamo stati attori fin dagli inizi, e portare i nostri umili servizi a beneficio di una vasta fetta della comunità . Con la chiamata del professor von Eschenbach, la mia vita è cambiata. Se prima pensavo di avere un bel lavoro, che mi rendeva entusiasta e molto grato per le opportunità  offertemi, adesso chiaramente il termine che uso per definire il mio impegno è quello di missione. Come ricercatori, abbiamo infatti la missione e la responsabilità  etica e morale di fare tutto quello che è possibile per realizzare il sogno di salvare gli uomini dal cancro.
In quest";ultimo progetto, è coinvolta anche qualche università  italiana?
Per il fenomeno della globalizzazione della scienza, mi è possibile lavorare anche con diverse università  italiane, con grandissimo piacere per il recupero delle mie radici e per gratificazione personale. In questo momento curo dei forti rapporti con il Centro oncologico diretto dal professor Salvatore Venuta dell";Università  Magna Grecia di Catanzaro; sono in rapporto con il Politecnico di Torino, di grande tradizione ingegneristica, e sto iniziando una collaborazione con l";area di ricerca dell";Università  di Trieste, in modo particolare con il Centro di Riferimento Oncologico di Aviano, sviluppato dalla Regione Friuli-Venezia Giulia. Considero un grande privilegio culturale e personale il fatto di essere nato in Italia e di essere cresciuto con il suo ricchissimo patrimonio culturale. Essere cittadino americano non toglie nulla al rapporto con l";Italia, che rimane profondissimo nel mio cuore. I rapporti tra i due Paesi non sono infatti esclusivi. In realtà  mi vedo in un";ottica di necessità  etiche, e il mio principio guida è di pormi nelle situazioni migliori per poter risolvere nella maniera più efficiente il ritrovamento di soluzioni a problemi di salute, come i tipi di cancro su cui lavoro.
Posso chiederle qualche notizia sulla sua famiglia?
La famiglia, per me, è il punto di partenza. Quando mi chiedono cosa faccio nella vita, rispondo: «sono papà  e marito». Ho infatti la grande fortuna di avere cinque figli. Il primo è Giacomo, quindicenne e molto impegnato nello studio, tanto che lo considero un «giovane scienziato»; poi le gemelle Kim e Chiara di 13 anni, e una seconda coppia di gemelle: Ilaria e Federica, di 7. Mi sento fortunato e benedetto dal Signore, e cerco fin d";ora di coinvolgere i figli nei miei viaggi professionali. Per esempio Giacomo era a Roma quando ho ricevuto il Premio per gli italiani nel mondo, come nel mese scorso ho portato con me Kim e Chiara a Washington, in occasione di un incontro conviviale con alcuni Premi Nobel. Sono convinto che anche da questi incontri cresca in loro un senso di soddisfazione e di fiducia nella vita. Paola, mia moglie, donna di grandissima caratura, è anche lei di Udine e ci conosciamo da quando aveva dodici anni e io quindici.
È arrivata per conto suo negli Stati Uniti, dove è divenuta funzionario dell";Onu, e si è distinta per competenze scientifiche, professionali e ora come madre. Io le sono grato per la vita che sta donando a me e ai figli. C";è, però, una cosa che vorrei confidarle. Il mio interesse per il cancro, che è divenuto la missione della mia vita, è nato anche per una tragedia personale. La mia prima moglie, Maria Luisa, anche lei udinese, dopo dieci anni di matrimonio e il dono dei primi 3 figli, morì di cancro. Uno dei miracoli avvenuti in quel momento doloroso per la mia famiglia, è stato l";arrivo di Paola, sancito in maniera ancora più miracolosa dalla nascita della seconda coppia di gemelle. Sono eventi che danno un senso alla continuità  della vita, al mistero profondo e ricco dell";esistenza, al quadro misterioso e pieno di splendore del disegno divino: eventi che ci fanno sperimentare nella vita i miracoli a cui io credo profondamente. Ma penso che tutti siamo dei miracolati se riusciamo ad avere occhi abbastanza aperti da riconoscere i miracoli dove stanno.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017