Ricordiamo l’Astoria!

Scrittore e professore di Letteratura inglese e americana al Brooklyn College della City University di New York, Viscusi è direttore del Wolfe Institute for the Humanities.
27 Luglio 2005 | di

«11dicembre 1941....». Gli occhi del professor Robert Viscusi puntano dritti su una vecchia foto appesa al muro e riferita ad uno dei tanti bombardamenti subiti dall";Italia durante la Seconda Guerra mondiale. In quelle cifre è iscritta la sintesi di una storia: quella degli italoamericani residenti negli Stati Uniti, una data che corrisponde alla scellerata dichiarazione di guerra firmata da Benito Mussolini e consegnata agli Stati Uniti. Una data che inferse un colpo durissimo all";identità  degli italiani d";America.
«Gli italiani sbarcati in ondate oceaniche dal 1880 al 1930, hanno sempre faticato a riconoscersi nello Stato italiano. Troppa miseria, troppe vicissitudini e un atavico attaccamento al proprio microcosmo sociale li hanno privati del concetto di ";patria";. In poco tempo persero le reminiscenze culturali per assumere quelle del Paese d";accoglienza. Persero la loro identità  italiana ma rimasero stretti intorno alle loro identità  politiche. Credevano nella forza del proletariato, e con gli anni del fascismo alcuni abbracciarono con entusiasmo una linea politica che rispolverava gli antichi fasti storici dell";Italia. Altri aderirono con convinzione all";anarchismo, che aveva in Patterson la propria roccaforte, altri ancora abbracciarono il Partito Comunista. Tutto questo finì all";improvviso quell";11 dicembre del `€˜41. Da quel giorno gli italiani divennero enemy aliens: Nemici ospiti degli Stati Uniti! Da quel giorno persero l";identità  italiana e quella linguistica: i manifesti affissi nei quartieri invitavano infatti gli italoamericani a parlare inglese e non la lingua del ";nemico";!».
Quella di Robert Viscusi non è una difesa di parte della storia italiana in America. Semmai può essere l";analisi fredda e razionale di uno studioso che da decenni ha votato la propria vocazione al recupero dell";identità  italiana nel Nordamerica. Lui, figlio di italoamericani e nipote di emigranti campani e abruzzesi giunti nel Queens agli albori del Novecento, ha scelto la strada della letteratura per ripercorrere il purgatorio di milioni di connazionali arrivati inseguendo un sogno.
In occasione della presentazione del suo celebrato e apprezzato romanzo dal titolo Astoria, pubblicato in Italia da Avagliano Editore, il docente è stato ospite della Facoltà  di Letteratura dell";Università  D";Annunzio di Chieti. Affiancato da Franco Bagnolini (traduttore) e da Vito Moretti (cui va il merito di aver pubblicato I paesi dell";Utopia, volume dedicato all";emigrazione abruzzese), lo scrittore ha ripercorso la sofferta gestazione di un romanzo che è innanzitutto autobiografico, e poi manifesto storico della presenza italiana nel Queens.
«Il mio bisnonno partì negli anni Novanta dell";Ottocento. Veniva da Salle, un paesino arroccato tra i ";canyon"; della Maiella, e destinato ad essere raso al suolo da un tremendo terremoto. Viveva a Mulberry Street, e un giorno ebbe la sventura di passare nella 5° strada: quella dei Morgan e dei Rockefeller. Fatto oggetto di lancio di frutta e ortaggi, e invitato a tornarsene in Italia, lui entrò nella sua camera, riempì la valigia e ripartì per Salle, pronto a morire di stenti, pur di mantenere la propria dignità . I miei nonni, invece, affrontarono meglio l";esperienza migratoria. Quelli paterni giunsero da Ugento, in provincia di Benevento, e in poco tempo fecero fortuna. Quelli materni arrivarono sempre da Salle e vissero una modesta e tranquilla vita da stimati lavoratori. E io non imparai da nessuno di loro una parola d";italiano. Qualche frase smozzicata nei loro dialetti, qualche proverbio, ma niente più. Mi è rimasta, però, impressa la cucina italiana, soprattutto quella abruzzese, e nei loro gesti quotidiani io leggevo più di un libro di storia».
Oggi Robert Viscusi è un acclamato professore reduce dalla prestigiosa vittoria dell";American Book Award, uno dei maggiori premi letterari degli Stati Uniti. Astoria , giocando abilmente sulle parole, rappresenta la Storia di una comunità  italiana radicata nel Queens, e un percorso personale attraverso il recupero delle proprie radici.
«Quando mi avvicinai all";idea di un libro, non potei fare a meno di pensare all";emigrazione. Ognuno trasmette le emozioni che rappresentano il proprio universo familiare. Il mio retaggio mi parlava dello spostamento di mezza Italia dalle proprie terre a quelle americane, australiane, africane ed europee. Un tema molto radicato nella nostra civiltà  e ricco di materiale per realizzarne un";epopea».
In Astoria , Viscusi divide il romanzo in tre grandi capitoli. In uno di questi, usa il titolo di «Rivoluzione». «Nel periodo della grande migrazione, milioni di italiani volevano cambiare il proprio destino e la gran parte di loro ci è riuscita. Hanno lasciato le loro case di terra e pietra, le loro misere vite, e hanno deciso di scommettere sulle loro sole forze. Questa, per me, è stata l";unica rivoluzione che l";Italia abbia prodotto dal momento della sua Unità  ad oggi. La rivoluzione francese e quella americana hanno cambiato le basi della vita sociale, gli emigranti italiani hanno cambiato la stessa società  italiana. Ricordiamoci di quanti soldi hanno inviato fino a pochi anni fa, permettendo l";emancipazione di interi paesi del Meridione! Una rivoluzione implica sicuramente delle scelte politiche, e magari le continue lotte proletarie in favore di un lavoro meno disumano, le discutibili propensioni all";anarchismo, gli scioperi (chi ricorda la strage perpetrata da Rockefeller a Builder, in Colorado, contro decine di italiani o la tragedia di Monongah?), le reazioni ai linciaggi subiti in Louisiana, orientarono molte delle loro scelte, ma in effetti la vera grande rivoluzione sta proprio nella capacità  di riscattare la miseria con la ";dignità "; del lavoro».
Oggi, secondo Viscusi "; sposatosi con Nancy e padre di Robert Jr e di Victoria "; questa grande identità  si sta pian piano ricostruendo. Dopo anni di oblìo in cui molti italoamericani avevano perso la propria storia e la propria lingua, oggi si torna a guardare alle proprie radici.
«L";Italia oggi è di moda negli Stati Uniti. La lingua italiana è ambita da molti studenti statunitensi. Alta Moda, auto di lusso, prodotti gastronomici... molte cose identificano l";Italia come il Paese del buon gusto e del buon stile di vita. Di pari passo cresce anche la voglia di riappropriarsi delle proprie radici. Oggi molti italoamericani cercano nei registri di Ellis Island le tracce dei loro avi, e studiano la storia delle zone d";origine. Sono orgogliosi di appartenere ad un paese che è stato la culla, insieme alla Grecia, della civiltà  occidentale. Nella nostra IAWA, Italian American Writers Association, contiamo più di mille scrittori che in gran parte attingono al patrimonio familiare per costruire storie e romanzi di buon livello. E gran merito va sicuramente ai vari Pascal D";Angelo, John Fante, Pietro Di Donato per aver permesso, ad una generazione senza memoria, di recuperare le proprie pietre miliari. Io stesso ho scoperto la mia italianità  arrivando da una tetra Londra a Milano, nel 1977. In Inghilterra mi sentivo a disagio e senza spessore, ma il mio senso d";appartenenza l";ho scoperto meravigliandomi alla vista della Certosa di Pavia, del Duomo di Milano, dei monumenti di Roma, via via fino ad arrivare alle tombe dei miei avi nel piccolo paese di Salle, dove una vecchietta di 90 anni mi accompagnò a visitare il sepolcreto di mia nonna parlandole come si fa con una vicina di casa. In una parola: avevo capito il senso de I sepolcri faticosamente studiati durante la mia carriera universitaria».

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017