Ricorrenze: don Primo Mazzola. Un prete anticlericale
Un uomo solo, questo il titolo di un oratorio parlato (Atto unico in sei parti con conclusione) firmato dal giornalista Arturo Chiodi e da Luigi Francesco Ruffato, francescano minore conventuale, per ricordare i quarant'anni dalla morte del più famoso «curato di campagna» italiano, don Primo Mazzolari. La «Civiltà cattolica» (rivista dei gesuiti), qualche tempo fa, scrisse che abbiamo tutti un debito nei riguardi di Mazzolari, per il diritto che porta di essere inserito «tra quelli che hanno fatto della loro vita una testimonianza eroica, talvolta anche clamorosa, di Cristo e del Vangelo».
Don Primo Mazzolari moriva il 12 aprile 1959 a Bozzolo, un piccolo borgo della bassa padana, sul confine tra le province di Cremona e Mantova: un prete che fece ammattire prima i fascisti, poi i comunisti e, infine, anche i democristiani. Sembrò anticlericale ai vescovi e al Sant'Uffizio, per la schiettezza del linguaggio e le intuizioni sul modo di essere cristiani, di essere Chiesa in quell'epoca: «Mi dicono 'prete anticlericale'. Ma il mio anticlericalismo è fatto con il Vangelo in mano: è un tormento, una mia angoscia, una mia colpa battuta sul mio petto, non su quello degli altri».
Gli daranno ragione il fervore e la voce dei Padri del concilio Vaticano II con le loro intuizioni e proposte: Chiesa dei poveri, scelta degli ultimi, integrità del Vangelo, «impegno con Cristo», fino a rischiare l'annientamento da parte dei fratelli di casa. «Adesso» e non domani, come suona la testata del quindicinale di orientamento socio-politico fondato, negli anni Cinquanta, per svegliare la coscienza soprattutto dei cristiani impegnati in politica. Però Mazzolari, prima che scrittore e profeta, è stato un prete autentico.
Era nato a S. Maria del Boschetto (Cremona) il 13 gennaio 1890 da una famiglia di contadini, successivamente emigrata nel bresciano. In seminario ancora adolescente, dimostrò di aver un cervello vulcanico. Dirà più tardi di sé: «Sono un prete dal cuore irrequieto». Non tollerava compromessi con la coscienza, era come un santuario incorruttibile, dentro il quale, il primo frutto sarà La più bella avventura: un commento al figliol prodigo della parabola evangelica per il quale si sentiranno disturbati non solo le gerarchie fasciste, ma anche ecclesiastiche.
Il «prodigo» è Mazzolari che ribatte ai suoi custodi: «Tenetelo pure lontano... dite pure a questo sognatore che non c'è posto; chiudetegli anche la porta in faccia. La Pasqua egli la fa lo stesso, perché uno, almeno, gli aprirà . Tutto ciò che non è peccato è strada di Dio, anche l'ingenuità , anche la stoltezza, la mia e quella di qualche mio confratello. Sono tutti e due egoisti i fratelli della parabola. Ma l'egoismo del prodigo è un punto di partenza, quello del maggiore un punto di approdo».
La parrocchia casa dell'anima. Don Primo fece della parrocchia (scrivendo e vivendo intensamente il suo ministero) «la casa dell'anima». È la parrocchia la cellula della Chiesa. Là vanno superati i pericoli della clericalizzazione del laicato cattolico: «Dalla parrocchia devono transitare le grandi correnti del vivere moderno, non dico senza controllo, ma senza pagare pedaggi umilianti e immeritati».
A Bozzolo, in una parrocchia di periferia (Mantova), nacque il «cristianesimo sociale» mazzolariano. È la parabola del «buon samaritano» che mette termine al monologo del bene e a tutte le dottrine razziste. Il «buon samaritano» è il prologo della santità . Occorrono santi. Dal loro coraggio e dal loro sforzo dipende la salvezza. «Se nessuno ci bagna con un bacio le labbra deserte di tenerezza, chi potrà riconoscere Dio come amore e come pietà ?».
Occorre un grande amore per comprendere i poveri, per rinunciare a giudicarli: «Dove non c'è amore 'il di più' non c'è; dove c'è tanto amore, tutto è 'di più', anche la propria vita. Chi ha poca carità vede pochi poveri; chi ha molta carità vede molti poveri; chi non ha nessuna carità , non vede nessuno. Per impedire ai poveri di disperare basterà la parola pazienza? Senza una carità folle non si salva il mondo. Il mondo attende una nuova Pentecoste».
Mazzolari vive in parrocchia, ma respira con tutta la Chiesa, percorre le strade di un paese, ma quel paese è uno spicchio di universo.
I limiti del dovere. Un giovane ufficiale d'aviazione chiese a don Primo, verso la fine del 1941 (l'Italia è in guerra), come può un cattolico assolvere un impegno militare destinato a provocare la morte di tanti innocenti, che cosa pensare di una Chiesa disposta a tollerare la strage. La risposta di Mazzolari: «Per un cristiano il far morire è il colmo dell'atrocità . Ove comincia l'errore, l'iniquità , cessa la santità del dovere... incomincia un altro dovere: disobbedire all'uomo per rimanere fedeli a Dio. La 'pecora' che non intende farsi lupo non dà ragione al lupo; lasciarsi mangiare è l'unica maniera di resistere al lupo come pecora e di vincerlo». Indubbiamente egli è il profeta che non bada al costo della verità . Si ribella alla moderazione che tollera il male. Arrestato più volte e liberato, infine un mandato di cattura del regime fascista lo costrinse, per oltre un anno, fino alla «liberazione», dentro una cella a ridosso del campanile di Bozzolo.
Il dopoguerra fu tempo di lotta contro ogni guerra. Interessante il suo saggio Impegni cristiani e istanze comuniste, fatto ritirare dal Sant'Uffizio che lo obbligò a cinque giorni di esercizi spirituali in clausura. Si sottomise, pur consapevole di avere un passo più lungo del comune: «Lasciate che vi parli da pazzo: se io credessi che Cristo, il suo Vangelo, la sua Chiesa fossero un ostacolo alla marcia del proletariato verso i suoi destini di giustizia e di felicità , leverei il crocifisso dal mio altare e lo spezzerei davanti a tutti, gridando 'abbasso Cristo'. Voi non l'osate, voi avete paura». Ebbe molte noie, incomprensioni, emarginazione e diffidenze (undici richiami dalla Chiesa gerarchica) soprattutto, per il quindicinale «Adesso».
«Se ho detto e scritto parole audaci dice al suo vescovo di Cremona, Giovanni Cazzani - il Signore sa come le ho sofferte prima di dirle. Egli conosce la purezza delle mie intenzioni e la saldezza della mia passione cattolica. Eccellenza sono un irrequieto e un visionario. Ve ne chiedo perdono, ma come può un prete, un cristiano rimanere tranquillo, adesso, che la Chiesa è nella tormenta?». L'arcivescovo di Milano, il cardinale Idelfons Schuster sconfessò la rivista «Adesso», ed egli si inchinò così: «Tutto è speranza, perché tutto è fatica; tutto è grazia, anche il morire; tutto è testimonianza, anche il silenzio, soprattutto il silenzio. Chi vive con i poveri da quando è nato e si dà attorno per vedere se può fermare la loro diserzione dalla Chiesa, può sbagliare nel por mano ai rimedi. La Madonna avrà misericordia di un vecchio prete che viene riprovato senza misericordia».
Mazzolari inseguiva il sogno di una società autenticamente cristiana, pacifica, libera e solidale: una radicale rivoluzione sociale, cristiana. Non un partito. Ha avuto ragione troppo presto.
Ho dimenticato tutto. Fu riabilitato da tre straordinari pontefici: Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II. Il primo lo abbracciò il 5 febbraio 1959, poche settimane prima di morire, proclamandolo «la tromba dello Spirito in terra mantovana»; il secondo, a dieci anni dalla morte, tenendo sotto braccio il parroco di Bozzolo, si giustificò: «Hanno detto che non abbiamo voluto bene a don Primo. Non è vero. Anche noi gli abbiamo voluto bene. Ma voi sapete come andavano le cose. Lui aveva un passo troppo lungo e noi si stentava a tenergli dietro. Così ha sofferto lui e abbiamo sofferto noi. Questo è il destino dei profeti».
Giovanni Paolo II testimonia che «Adesso», il giornale tanto incriminato dai vescovi lombardi e dal Sant'Uffizio, «è stato una bandiera dei poveri, una bandiera pulita, tutto cuore, mente e passione evangelica».
Il 5 aprile di quest'anno, il cardinale Carlo Maria Martini scrive al Presidente della Fondazione Mazzolari di Bozzolo: «Non ho avuto occasione di conoscere personalmente il parroco di Bozzolo (don Primo Mazzolari n.d.r.). Ho però potuto cogliere qualcosa della sua statura di cristiano e di prete, leggendo alcuni suoi libri e numerosi articoli su 'Adesso'. Don Primo fu profeta coraggioso e obbediente, che fece del Vangelo il cuore del suo ministero. Capace di scrutare i segni dei tempi, condivise le sofferenze e le speranze della gente, amò i poveri, rispettò gli increduli, ricercò e amò i lontani, visse la tolleranza come imitazione dell'agire di Dio. Quello di Mazzolari è un messaggio prezioso anche per l'oggi».
Conclusione. Facciamone un santo? No! Mi rendo conto che non lo si può racchiudere in un'immaginetta devozionale.
Sul Diario, don Primo Mazzolari, all'indomani dell'udienza dal papa Giovanni XXIII, concluse felice: «Ho dimenticato tutto!». «Chiudo la mia giornata - ha lasciato scritto nel testamento spirituale - come credo di averla vissuta, in piena comunione di fede e di obbedienza alla Chiesa e in sincera affettuosa devozione verso il papa e il vescovo. So di averla amata e servita con fedeltà e disinteresse completo».
Peccato che abbia sofferto così tanto e la sua lezione di vita sia stata così presto archiviata.
Un profeta senza tempo, dice il sottotitolo dell'opera Un uomo solo, condotta con rigoroso scrupolo di veridicità biografica e di autenticità testuale, senza presumere di esaurire la ricognizione della presenza di Mazzolari. Se avrete modo di leggerla, o di sentirla (a cura del Gruppo Teatro Ricerca del Centro Culturale P. M. Kolbe di Ve-Mestre) (1), vi incontrerete con don Primo Mazzolari ancora vivo: una provvidenza per ogni tempo.