Ridisegnare la vita, senza l’altro

La morte del partner stravolge la vita di chi resta, a maggior ragione se arriva in giovane età. La sfida è riprendere le misure alla vita e, in molti casi, farlo anche per i propri figli, rendendo fecondo l’amore ferito dalla sofferenza.
21 Aprile 2008 | di



Superare la paura del dolore

Da qui inizia un percorso di ricerca del proprio senso dentro una nuova dimensione senza l’altro. Ridisegnarsi addosso il vestito dell’esistere. Riprendere le misure alla vita e, in molti casi, farlo anche per i propri figli. Sono circa quattro milioni e mezzo le persone vedove in Italia: di queste, un milione sono genitori sotto i cinquant’anni di età. Un numero impressionante e sempre costante di mamme e papà che da un giorno all’altro si trovano soli a dover portare avanti il progetto di una famiglia che si era pensata in due. Ma il dolore per la perdita di un coniuge non arriva mai da solo. È spesso accom­pagnato dall’indifferenza degli altri, il più delle volte scoraggiati dal pensiero che avvicinarsi alla sofferenza, toccarla, significhi rimanerne intrappolati. Nella nostra società l’idea stessa della morte è temuta e quindi ignorata, o paradossalmente amplificata per divenire oggetto di battaglie politiche o di audience televisiva. È così che si assiste alla distruzione della dimensione sacrale della morte, che ne connota lo stretto e indissolubile legame con la vita.
Non c’è persona che non abbia vissuto l’esperienza della morte, fosse solo il lutto di un parente o di un conoscente, che non abbia partecipato per qualche giorno al dolore delle famiglie e in seguito le abbia dimenticate perché preferisce pensare, un po’ ingenuamente, che anche per loro la vita continua. E in effetti la vita continua davvero, verrebbe da dire. Ma come? Superata la paura del contatto col dolore si potrebbe rimanere sbalorditi scoprendo che, al contrario di quanto comunemente si crede, queste famiglie sono anche una piccola miniera di gioia maturata nel dolore e nella nuova consapevolezza che la vita è ancora un dono meraviglioso, un luogo dove la Grazia arriva e ti sorprende. Ci sono famiglie che nel proprio cammino di fede hanno intrapreso e maturato percorsi all’interno di realtà come i movimenti ecclesiali: per loro la strada può essere meno difficoltosa. Si possono vivere però anche esperienze di abbandono, da parte della Chiesa, a seguito di un lutto. Succede a molte famiglie che vivono inserite in alcune comunità parrocchiali: dopo la disgrazia possono sentirsi dimenticate, oltre che dai laici, anche dai sacerdoti, troppo spesso impreparati a stringere la mano per lungo tempo al dolore. Mancano le parole, per paura, per mancanza di tempo, perché «ma sì, vedrai che il tempo guarisce le ferite». Mancano parole per dirsi e dire: «Non avere paura!».


Meno efficienza, più relazione



E lo Stato? Assente

Nella giostra delle relazioni il grande fantasma sulla scena del dolore è lo Stato che, più di tutti, dovrebbe tutelare i diritti della famiglia. Per ognuna di quel milione di giovani famiglie c’è una storia che andrebbe raccontata per dare voce a chi per fare la spesa deve contare i centesimi, a chi non si può permettere una vacanza, un vestito nuovo, un giocattolo o addirittura un dentista. Storie di madri che devono vendere casa per andare avanti o che si vedono rifiutare un impiego «perché hai i figli troppo piccoli». Alcuni muoiono così giovani che non hanno maturato nemmeno il diritto alla pensione di reversibilità e l’azienda saluta la vedova con un «ci dispiace tanto!». Per non parlare delle vedove di guerra, tanto celebrate e subito dimenticate. Famiglie vedove, illustri o sconosciute, sono tutte parimenti senza diritti civili riconosciuti. Famiglie invisibili, che con vitalità si battono, riunite in alcune associazioni. Tra queste c’è anche «Il Melograno», attiva con convegni, interpellanze parlamentari e per ultima un’indagine affidata al Cisf (il Centro internazionale studi famiglia) che è diventata un libro, il primo in Italia ad analizzare a fondo la complessità della realtà vedovile come esperienza umana e fenomeno sociale.
Lanciando una domanda: ma a queste famiglie è riconosciuto il diritto di cittadinanza sancito anche dalla Costituzione?       



Zoom. Francesco Belletti e Lorenza Rebuzzini

La vita, ancora. Storie di famiglie vedove in Italia, ed. Paoline, Milano 2008.
«Affrontare il tema della condizione di vita delle persone vedove ha costretto tutta la nostra equipe, inaspettatamente, a un confronto diretto e personale con uno dei tabù più rigorosamente rispettati nella contemporaneità, il tema della perdita, della morte e del lutto – sottolinea Francesco Belletti direttore del Centro internazionale studi famiglia nella postfazione del libro –. Solo dopo aver individuato un filo rosso che poteva accomunare tante storie personali e uniche in alcuni elementi comuni è diventata tangibile e pressante la netta sensazione che queste storie sfidano la vita di ciascuno di noi, pongono una domanda radicale di senso e di profondità di relazione a chi, come noi ricercatori del Cisf, pensava di osservare dall’esterno le storie di altre persone». «Delle persone che abbiamo intervistato nella ricerca – conferma Lorenza Rebuzzini ricercatrice Cisf – mi ha colpito la capacità di sapersi raccontare con una straordinaria e lucida sincerità che è frutto di una grande riflessione sulla propria esperienza, soprattutto da parte degli uomini dai quali ci si aspettava una certa reticenza. Dalle parole e dalla vita di queste persone si coglie la sfida, tutta in positivo, che lanciano alla vita e che scaturisce dalla consapevolezza che quando alla base c’è un progetto di famiglia questo rimane, nonostante tutto».

Info: Associazione Il Melograno, www.il-melograno.org, tel. 328 9282766 (presidente Amelia Cucci Tafuro).

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017