Riportare a casa il cuore
«In Toscana si stavano celebrando con solennità i funerali di uno straricco. Al funerale era presente il nostro sant’Antonio, il quale, scosso da una ispirazione subitanea, si mise a gridare che quel morto non andava sepolto in luogo consacrato… e ciò perché la sua anima era dannata all’inferno, e quel cadavere era privo di cuore, secondo il detto del Signore riportatoci dal santo evangelista Luca: “Dove è il tuo tesoro, ivi è anche il tuo cuore”»
(Vita di sant’Antonio, sec. XV)
La lezione morale che il Santo volle dare quel giorno, con una modalità che può sorprendere la nostra sensibilità, è che noi amiamo veramente solo ciò che frequentiamo ogni giorno, ciò che è oggetto delle nostre preoccupazioni, ciò da cui sentiamo dipendere quella che affermiamo essere la nostra felicità. Antonio vive in una società in trasformazione, nella quale i valori dello spirito hanno lasciato il posto a quel farsi da sé, in cui l’individuo esprime la propria capacità imprenditoriale, la sagacia mercantile, l’abilità finanziaria e speculativa. E, al contempo, un’inusitata sete di denaro segna l’accumulo di grandi capitali in poche mani, il proliferare dell’usura e l’impoverimento dei già poveri. «L’avaro è chiamato così perché è avido d’oro (avidus auri), e non è mai sazio di beni o di ricchezze. Come il corpo si riempie d’aria, così l’avaro si riempie d’oro». È uno stupido. Ed è omicida: nelle case degli avari stanno le cose essenziali dei poveri sottratte con l’usura, e dovranno sorgere i Monti di pietà contro gli strozzinaggi di ogni tipo che nascono proprio dall’avarizia. Predica il Santo: «Come il diavolo tentò il Signore di avarizia sul monte, così fa anche con noi ogni giorno: ci tenta di tante forme di avarizia nel monte delle nostre cariche, della nostra temporanea dignità». Diremmo oggi: avarizia del denaro, ma anche di potere, del salire a tutti i costi; e qui Antonio rimprovera anche certi prelati del suo tempo, più che mai bisognosi di correzione. L’avarizia è per il Santo un imbroglio della mente, infatti: «L’avarizia corrode la mente dell’avaro perché moltiplichi i suoi beni; ma l’infelice più moltiplica e più ha fame».
Mi piace il coraggio della provocazione di Antonio, valida oggi come ieri: se capitasse a noi dove sarebbe rinvenuto il nostro cuore? Ancora in mezzo al denaro? È molto probabile. Ma anche in molte altre realtà fuorvianti: nelle distrazioni affettive, nel divertimento fine a se stesso, forse anche nel semplice vuoto mondo del disinteresse e dell’apatia spirituale. Che cosa ci suggerisce? Chi ha delle risorse sappia che le lascerà ad altri e quindi le utilizzi bene; chi ha tra le mani un po’ di potere pensi che dovrà lasciarlo e quindi lo viva come servizio. Un buon proposito per la nostra Quaresima: richiamare il cuore dalle alienazioni in cui è disperso. Ma come riportare il cuore in casa, anche se tra noi non ci sono grandi avari, usurai, ricchi epuloni? Forse ascoltando il nostro cuore, cercando di capire in modo critico quali sono quelle tre o quattro cose che amiamo di più e che non siamo disposti facilmente a perdere. E poi condividendo il cuore, cioè imparando a dipendere da relazioni quanto più possibile gratuite, senza fine di lucro, quelle che ci restituiscono sempre il cuore: volontariato, risparmio e consumo etico, sobrietà nello stile di vita, attenzione «politica» ai poveri vicini e lontani. Insomma, impegnando il cuore, rendendo umano ogni incontro, ogni scambio, ogni pensiero e ogni scelta, realizzando così la promessa di Dio: «Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne» (Ez 37).