Sanniti a New York

Monsignor Orazio Francesco Piazza, vescovo di Sessa Aurunca, in provincia di Caserta, ha un sogno capace di far scorrere la «linfa vitale sannita».
03 Gennaio 2014 | di
Non è così lontana, nel ricordo, la straordinaria esperienza di umanità e di intimo legame alle comuni radici sperimentata nell’incontro con più di settecento sanniti a New York. Emozioni, sensazioni, condivisione di vita e di comune appartenenza: un amore trasparente e vero per una terra che rimane radicata nell’intimo del cuore e la cui fecondità era stata trapiantata in una nuova terra, ormai patria di tanti sanniti di seconda e terza generazione. Non ho notato antitesi o conflittualità: l’amore era lo stesso, il cuore lo stesso; un cuore che sa amare il «luogo» dove si è chiamati a vivere, ma con le qualità indelebili di una radice mai spezzata, solo trapiantata, capace di dare linfa vitale alle nuove condizioni. Mi accorgevo di quanta qualità la nuova terra poteva disporre attraverso questi suoi nuovi figli: riceveva il meglio del sacrificio, dell’impegno, della dedizione, della determinazione, della passione con cui un sannita sa qualificare la sua azione e il suo impegno di vita! Ero fiero di loro, ero felice, mi sentivo a casa mia proprio lì, così lontano da casa. È passato solo qualche anno, ma i legami sono rimasti veri e intensi e la fierezza che avvertivo in quei giorni ora è ancora più motivata e radicata.

La mia nuova condizione, quale vescovo di una Chiesa campana segnata dalla presenza di tanti immigrati, mi spinge a trasformare quella fierezza in modello di accoglienza e di disponibilità: permettere a chi approda nel nostro territorio di trovare la sua casa, di poter esprimere la ricchezza della sua umanità, talvolta segnata da sofferenze e privazioni.

Mi sono detto: bisogna essere sanniti qui, imitando quei miei cari compaesani che con il loro impegno hanno dato e daranno dignità, valore, a una terra che per loro una volta era straniera! Il senso dell’accoglienza e del dialogo, la determinazione nell’inseguire il proprio sogno per trasformarlo in realtà, sono doti di cui questa mia terra deve dotarsi, per creare nuove condizioni di vita per coloro che qui arrivano pieni di speranza. Molto si sta facendo con centri di accoglienza, con luoghi di integrazione e di formazione; molto dovrà essere fatto per rendere ancora più qualificate le diverse opere in atto e le tante in via di progettazione.

Quella luce che brillava negli occhi dei miei amici sanniti a New York, luce di fiera consapevolezza di aver dato il meglio di sé, voglio vederla negli occhi di quanti si impegnano, ora qui, in questa fondamentale e primaria opera sociale ed ecclesiale.
Ma io conservo nel cuore un sogno: costruire un canale di comunicazione diretta, di scambio di esperienze, di comunicazione di vita. Come sarebbe positivo e costruttivo che un gruppo di giovani, figli di terza generazione di sanniti, potesse venire qui, tra noi, tra altri giovani, e condividere la bellezza della lingua e della cultura, delle tradizioni dei loro padri, di cui dovranno essere sempre fieri.

Ma anche i nostri giovani dovrebbero vedere da vicino, proprio in quella nuova terra, il valore di un sacrificio che ha prodotto, lontano da casa, la straordinaria bellezza di una nuova condizione di vita che ha reso fecondi i valori di un’originaria e comune radice. Questo potrebbe significare che la linfa vitale sannita potrà scorrere, in luoghi diversi e in forme nuove, con la stessa intensità e qualità, rafforzando il senso della comune appartenenza.

È un sogno? Ma spesso i sogni divengono realtà, come quelli che ho già visto in quella commovente esperienza in un non lontano giorno a New York.
 
Orazio Francesco Piazza*
*(Vescovo di Sessa Aurunca)
Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017