Sant’Ambrogio: un vescovo e la sua città

Sedici secoli fa moriva il vescovo Ambrogio: l’uomo che aveva lasciato la toga per la tonaca, divenendo il simbolo della città lombarda nella cultura, nell’arte e nella fede.
04 Settembre 1997 | di

Milano

Ambrogio e la sua città , Milano: un inscindibile legame che dura da oltre 1600 anni e non ha eguali nella storia della chiesa e della cultura occidentale. Un personaggio, il vescovo Ambrogio, tanto ricco di valori e di insegnamenti - anche per i contemporanei e non solo milanesi - , da occupare un intero anno di studi e celebrazioni per la ricorrenza del sedicesimo centenario della sua morte, a livello milanese e persino europeo.

Ambrogio è nato a Treviri (l'attuale Trier, in Germania) nel 334 (o 339); ha una sorella, Marcellina, e un fratello, Satiro; la famiglia è di nobile rango e di tradizione cristiana. Il giovane Ambrogio studia a Roma e si avvia alla carriera giuridica, prima avvocato e poi consigliere del prefetto dell'Illiria; nel 370 arriva a Milano con l'incarico di governatore del territorio corrispondente all'odierna Italia nordoccidentale. Si distingue per onestà , correttezza ed equilibrio, è conosciuto e ben voluto dal popolo tanto che nel 374, durante la difficile elezione del vescovo, per uscire dalle contese e dalle controversie che erano sorte, qualcuno propone proprio Ambrogio alla cattedra episcopale. Secondo la tradizione, fu un bambino a gridarne il nome e a mettere così tutti d'accordo. Ambrogio tenta di fuggire per sottrarsi a quel compito (a quel tempo non era ancora battezzato, pur essendo cristiano), ma i suoi espedienti falliscono e torna in città  per fare la volontà  di Dio: è battezzato il 30 novembre 374, ordinato sacerdote e consacrato vescovo il 7 dicembre successivo e tale giorno rimane nel calendario a sua memoria, non per la nascita ma per la sua ordinazione eccezionale.

'La gente impara prima ciò che deve insegnare e riceve ciò che deve trasmettere. A me invece - scrive sant'Ambrogio nel libro I doveri - non succede così. Strappato dai tribunali e dall'abito di magistrato e portato al sacerdozio, ho cominciato a insegnare ciò che io stesso non avevo ancora appreso. Così avvenne che cominciassi a insegnare prima di imparare. Dunque mi tocca imparare e insegnare nello stesso tempo, perché prima mi è mancato il tempo di imparare'. Però si impegna molto per imparare al massimo. Due sono i suoi maestri: il saggio sacerdote Simpliciano (che gli succederà  sulla cattedra di vescovo) e la Bibbia che per Ambrogio è motivo e contenuto del suo insegnamento. Le sue prediche erano tanto avvincenti che la gente stava ore ad ascoltarlo, e persone come il grande Agostino si convertirono al Vangelo e a Cristo grazie al suo insegnamento. Appena nominato vescovo, Ambrogio donò i suoi cospicui beni alla chiesa per sostenere le opere di carità ; i poveri per lui furono sempre una presenza reale e un continuo sprone alla coerenza evangelica.

Ambrogio fu veramente vescovo del popolo; il popolo di Milano ha capito il valore di quel personaggio e a tutti i costi lo ha voluto, gli ha chiesto di troncare la carriera, di lasciare la sua vita e gli è stato molto fedele. E Ambrogio fu molto attento al suo popolo: lo guidò, lo fece crescere, ne fece un popolo unito nella fede in tante imprese comuni. 'Nel corso degli anni - spiega lo studioso monsignor Cesare Pasini - Ambrogio ha avuto bisogno del popolo in questioni difficili che lo vedevano opposto all'imperatrice Giustina che voleva imporre l'arianesimo, e il popolo gli si stringe attorno. Anche fisicamente, infatti, i milanesi vanno a occupare la chiesa che l'imperatrice vorrebbe sequestrare. Il popolo sostiene il vescovo nelle sue scelte e le condivide; condivide quello che Ambrogio dice e quello che canta, perché lui inventa molti inni e li fa cantare alla gente'.

Ambrogio, grande comunicatore, sapeva farsi ascoltare da tutti: dai semplici e dai dotti. I suoi discorsi sono costruiti come un grande mosaico dove un'immagine ne richiama un'altra, e il popolo era affascinato dalla forza di queste immagini che traducevano concetti difficilissimi in cose visibili e sensibili, mentre i colti ne apprezzavano la forza di simbolo, cioè di immagine che trattiene la verità  più profonda. Poi c'erano gli inni, di grande semplicità  e raffinata cultura, sui temi tipici di ogni uomo, di tutte le antropologie: la lotta tra la luce e le tenebre, tra il peccato e la grazia, tra la colpa e la riconciliazione attraverso cui Ambrogio riusciva a far passare e rendere familiari idee teologiche profonde. Una comunità  attorno al suo vescovo, e un vescovo che imprime il suo sigillo alla città , non solo dando alla chiesa un linguaggio liturgico proprio, ma anche caratterizzandone la struttura urbanistica.

I tempi di Ambrogio furono carichi di tensione e di conflitti con il potere imperiale; la città  era composta da genti di differenti razze e religioni, ma il vescovo Ambrogio esercitò il suo ministero con decisione, intelligenza e gran cuore: in tanti si riferivano a lui, non solo i cristiani. Gli imperatori erano abituati ad essere legge a se stessi e nessuno poteva dire loro nulla. Ambrogio invece difende la libertà  e l'autonomia dei cittadini e ha il coraggio di ammonire Teodosio, che era entrato in città  e aveva compiuto uccisioni, e lo invita alla penitenza come ogni altro cristiano, e Teodosio si fa penitente. È la prima volta che un imperatore è costretto a misurarsi con la sua coscienza ed è un vescovo a fargli compiere tale cammino: agli occhi della gente entrambi si guadagnarono stima.

Ambrogio morì il 4 aprile del 397 e ai suoi funerali parteciparono anche ebrei e pagani, mentre i cristiani gli riservarono gli onori che si tributano ai martiri della fede.

'Alle soglie del nuovo millennio - insegna il cardinale Carlo Maria Martini, che siede da 17 anni sulla cattedra di Milano - Ambrogio ci dice di sognare in grande, di sognare una chiesa come quella per cui lui ha vissuto e si è speso fino alla sua morte, di sognare alla luce del progetto meraviglioso che Dio ha sulla storia del mondo e sull'umanità '.

 

L'ARTE CELEBRA SANT'AMBROGIO

Uno splendido esempio di basilica romana, con quadriportico e tre navate, arricchita da grandi mosaici e dallo splendido altare aureo di Volvinio raffigurante un ciclo di vita di Ambrogio. Nella cripta antica - probabilmente del IX secolo - si trova il sacello con il corpo di sant'Ambrogio, rivestito dei paramenti pontificali e affiancato dai due martiri Gervaso e Protaso. Nella cappella di San Vittore in Ciel d'oro, nel transetto destro, si trova il più antico ritratto di Ambrogio: un mosaico del V secolo che lo presenta in veste di pastore della chiesa, con un'espressione intensa e mite. Secondo il primo biografo Paolino, Ambrogio non va infatti ricordato per senso di forza o di potere, ma di uomo prudente, comprensivo, di animo dolce, capace di piangere con chi era nella sofferenza, e prodigo con tutti i bisognosi.

Vari artisti, in tempi successivi, hanno lasciato nella basilica il loro importante contributo di memoria del santo patrono, e nei secoli è cambiata l'immagine che di lui si dava. A partire dall'XI secolo, Ambrogio è ritratto come vescovo con la mitra e il pastorale, e ha in mano il flagello; poi verrà  posto a cavallo come un condottiero che sconfigge i nemici. Al tempo di san Carlo la figura di Ambrogio è stabilita come emblema religioso e civile della città  e nel 1565 ne viene confezionato il gonfalone; in esso Ambrogio appare in figura intera, sotto un arco trionfale, con in una mano il pastorale e nell'altra il flagello, e ai suoi piedi sono prostrati due soldati. San Carlo rafforzò l'importanza di Ambrogio come padre spirituale e patrono della città  e promosse varie opere d'arte nel duomo ispirate ad Ambrogio.

 

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017