Sara: non sapeva giocare

Vezzeggiata, sommersa di giocattoli, lasciata sempre sola perché i genitori avevano altro da fare, alle prime difficoltà della vita, è crollata. Luigi invece... Il significato e l’importanza del gioco.
13 Luglio 1998 | di
   
   
     

Vogliamo vedere se un bambino sta bene? Guardiamolo giocare. Vogliamo vedere se un ragazzo è felice? Osserviamo quando si diverte. Vogliamo vedere come un adulto conduce la sua esistenza? Consideriamo come gusta le cose che gli capitano, il suo tempo libero.

  Il gioco è un fenomeno universale, proprio dello stato di salute e di benessere. Nel passaggio dall'infanzia alla vita adulta si trasforma, ma non scompare del tutto dalla vita dell'adulto, se questi sa condurre la sua esistenza in modo equilibrato: basti pensare alle battute umoristiche, ai giochi di parole che perfino nella persona anziana riescono a rendere giocose molte situazioni.     

 

Che cos'è allora il gioco?
È la capacità  di mettersi in rapporto con il mondo, con le persone, con le cose,
in un atteggiamento di esplorazione, di comunicazione, di conquista in modo tale che questo scambio produce allegria, serenità , benessere. Un bambino che non sa giocare, che si annoia, che non ha il gusto delle cose che fa, deve preoccuparci: significa che per lui la vita è difficile, la conquista del mondo faticosa, il rapporto con gli altri critico.     

Privare un persona della sua naturale capacità  di giocare è un abuso, vuol dire ostacolare lo sviluppo delle sue potenzialità . Difatti la Dichiarazione internazionale sui diritti dell'infanzia, la carta dei diritti dei bambini e dei ragazzi, mette il diritto al gioco tra quelli fondamentali per una crescita equilibrata. Negare il gioco, impedire la sua piena espressione, fa parte di una serie di abusi che magari non appaiono di grandissima evidenza, ma che poi portano a durature e negative conseguenze.

           

Sara è una giovane ragazza di diciassette anni: è carina, intelligente e simpatica. Ma è sempre triste.
Dice che non ha amici, non si fida dei ragazzi e delle ragazze che costituiscono la 'compagnia' del suo paese: fanno sempre gli stessi discorsi, non sanno fare altro che ritrovarsi al bar alla sera o nei giorni di festa, a bere la birra e fumare.

Il loro modo di passare il tempo libero è lasciarselo scivolare di mano senza costruirci nulla che possa far piacere e rallegrare. A Sara non va, così preferisce trascorrere lunghe ore in solitudine, con le cuffiette sempre sugli orecchi per immergersi nelle       musiche preferite. Sembra che Sara e i suoi amici non intendano e non sappiano organizzare un modo diverso di vivere la loro realtà .     

Sara nemmeno cerca alternative, non sa proporle. È stata una bambina molto vezzeggiata, ma è cresciuta con adulti sempre di corsa, impegnati nel lavoro, ha avuto tantissimi giocattoli, ma pochissima compagnia. Così si è rifugiata nello studio diventando la più brava della classe, finché, al primo anno delle superiori, questo mondo è crollato. Non ha saputo sostenere la competizione con i compagni, non ha saputo       sostenere l'impatto con la nuova realtà , non più protetta come quella della sua infanzia; una realtà  in cui avrebbe dovuto dimostrare la sua personale capacità  di cavarsela, di inserirsi, ricavando dalle nuove esperienze il gusto della novità . Non era attrezzata psicologicamente per questo, e invece ha cominciato a ritirarsi, a sentirsi sconfitta, delusa depressa.

           

Il gioco è una dimensione che appartiene alla persona, perché nasce dall'esigenza di uscire dal proprio mondo interno
e di cogliere il mondo esterno, per ritornare poi arricchiti nella propria interiorità .

Osserviamo Luigi mentre gioca con la sua collezione di animali di gomma: prende il leone, insegue gli altri animali, li impaurisce con la sua forza. Finito il gioco è disteso: si è sfogato. Prima era un po' arrabbiato con il papà , ora ha risolto la sua emozione, la fantasia lo ha aiutato a riconciliarsi con il genitore che lo ha rimproverato, e si sente più padrone di se stesso. Riaggiustato il suo mondo interno, si dedica a un altro gioco: apre il contenitore delle costruzioni e costruisce un castello dalle mura robuste. Poi, soddisfatto della sua creazione, chiede alla mamma l'approvazione. La mamma, che ha giocato con lui, sottolinea positivamente il suo impegno. Luigi sorride: ora si sente anche un pochino più capace.     

Il bambino è da subito curioso, indagatore, costruttore, inventore. Perché in alcuni questa dimensione scompare nel percorso di crescita? Ci capita di incontrare spesso bambini che non hanno più la capacità  di giocare: è segno che qualcosa, nella fiducia di sé e       del mondo, è incrinato.

          

Altre volte è rimasto qualcosa, un residuo di capacità  di giocare, con giochi di movimento, ma inquieti,
disorganizzati, addirittura violenti, come se, ponendosi in maniera aggressiva nell'incontro con l'adulto e con il mondo, il bambino volesse farsi notare, perché qualcuno lo aiuti nella sua inquietudine. Ma spesso l'intervento dell'adulto non è di ascolto del       disagio, è piuttosto di rimprovero e di repressione. L'adulto è infastidito dal bambino e intende farlo smettere, non si chiede che cosa significhi questo comportamento, non capisce che è un messaggio in codice per comunicare che, dentro, il bambino non è sereno.

  Il gioco rappresenta la capacità  di vivere, di porsi in relazione, di affrontare e superare gli ostacoli dell'esistenza con la fiducia che 'la vita è bella'. Gli adulti sono a questo punto indispensabili ai bambini. Adulti che sappiano vedere il mondo con gli occhi dei bambini e, piano piano, aiutino i loro figli a impadronirsene. Adulti che si tengano lontani dall'adultocentrismo.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017