Scommettiamo su di loro

Renato Chiera si prende cura dei meninos de rua dal 1978. Ecco come da una situazione di degrado, di violenza e di morte può rinascere la vita. Un’esperienza ricca e concreta in cui sono coinvolti anche i devoti del Santo,
10 Febbraio 1998 | di

La minaccia di morte e la scommessa per la vita: su questi due opposti si dipana l'esperienza pastorale e umana di don Renato Chiera. Missionario a Miguel Couto, Nova Iguaà§u in Brasile dal 1978, don Renato ha creato un'opera meravigliosa a favore dei bambini di strada in una delle regioni più problematiche e violente della terra: la Baixada Flumense, la grande periferia di Rio de Janeiro. Vi raccontiamo in poche righe perché abbiamo voluto legare la generosità  dei devoti del Santo a questo singolare progetto.

Per conoscere don Chiera basta leggere qualche pagina del suo libro Meninos de rua (Ed. Piemme, 1994). Sfilano le storie dei suoi 'figli di strada'. Pirata è stato ucciso dagli squadroni della morte all'età  di 18 anni; sul suo ultimo giaciglio, in obitorio, nessuno lo ha pianto. Don Renato ricorda quando, tempo prima, l'aveva trovato, spaventato come un cane randagio, nel garage della sua casa. Due occhi di paura e due pallottole sul collo, sparate dalla polizia. Stessa sorte è toccata a Pelè. Il missionario lo ha trovato per strada in una pozza di sangue: un colpo secco alla testa. Il sicario gli aveva sparato andandosene poi in tutta tranquillità . E poi la tenerezza di Sergio che dormiva abbracciato al suo cane, nero come lui, durante le fredde notti tropicali: in un gesto di amore aveva coperto il suo amico con l'unica camicetta che possedeva, mentre lui tremava di freddo a petto nudo. E poi Lucia, 10 anni, dolce, esile, bionda, occhi azzurri. Era andata al cimitero con le amiche a riesumare il corpo di una neonata morta: voleva una bambola, sua madre non aveva mai potuto comprargliela.

Che cosa abbia spinto don Chiera a passare dai suoi comodi studi di filosofia a Mondovì, nel cuneense, alle strade di Miguel Couto non è facile dire. Ma una volta sul posto la sofferenza dei bambini lo ha preso, e da allora due pungoli alimentano la sua opera: la protesta di un bambino di strada: 'È mai possibile che nessuno faccia niente?'; e le parole del Vangelo: 'Quello che farete a uno di questi piccoli, l'avrete fatto a me'. Dall'indignazione è passato alla denuncia e da questa all'accoglienza, al progetto, al desiderio di fare qualcosa che davvero possa cambiare tante piccole vite. Ma per farlo sta sperimentando la paura: come i suoi figli è 'marcado para morrer', cioè minacciato di morte dagli squadroni, è guardato con sospetto dalla gente perché cura tutti quei piccoli delinquenti.

'Ho provato la paura, come Gesù nel Getsemani - racconta - . Ho visto cosa significa dare la vita per la povera gente'. Non gli mancano le amarezze: nonostante le tante prove di amore, molti suoi figli continuano a rubare nella sua casa e nel centro per i minori; molti che sembrano recuperati dalla droga, dalla prostituzione, dalla criminalità  costantemente ricadono. 'Non basta amarli una volta soltanto - spiega - , per aiutarli bisogna amarli per sempre e a qualunque costo'.

La sua Casa do menor è nata in questo deserto di morte e violenza quasi per caso: un giorno si è avvicinata a lui una ragazza esile, capelli castani, occhi profondi e voce ferma. Si chiamava Rosangela: 'Voglio lavorare con lei per questi ragazzi in difficoltà ', e hanno iniziato a raccoglierli nel garage. È stato il primo passo di quell'avventura di vita.

Oggi la Casa do menor accoglie 700 tra ragazzi e ragazze, bambini e bambine dai 0 ai 18 anni, ed è una realtà  vitale e complessa che sta cercando di diventare una struttura che dà  futuro e non solo un ricovero di emergenza. Ci sono tre asili comunitari, quattro case famiglia per far vivere ai ragazzi un'esperienza familiare, una scuola comunitaria, un centro integrato (centro ricreativo e formativo polivalente), laboratori dove si insegnano le professioni e laboratori di avviamento al lavoro, dove già  si produce per aumentare il bilancio dell'intera struttura e per inserire i giovani nel mondo del lavoro. C'è, inoltre, un servizio di difesa e appoggio giuridico per tutelare i diritti dei minori.

Don Chiera vuole fare un passo in più e ha chiesto il nostro aiuto: vuole aumentare le possibilità  di formazione professionale per i ragazzi, costruendo un altro grande capannone; ne ha già  costruiti due con l'aiuto di altre associazioni. Vuole, inoltre, seguire per almeno altri due anni i ragazzi che hanno compiuto 18 anni e che dovrebbero lasciare l'istituzione. L'età  anagrafica non coincide sempre con la maturità  personale e affettiva. Don Renato vorrebbe costruire delle case dove far alloggiare i ragazzi maggiorenni per altri due anni, continuando il processo di formazione e aiutandoli a inserirsi nella società  nel modo meno traumatico possibile.

Altre associazioni stanno curando quest'ultimo passaggio, a noi viene chiesto di occuparci del primo punto, cioè la costruzione di un capannone di 162 metri quadrati, con una loggia coperta di altri 135, che ospiti altri corsi professionali e vere proprie attività  produttive. La somma richiesta è già  stata inviata, circa 60 milioni: già  sappiamo che il capannone è in costruzione.

Il nostro intervento non è che un tassello di un grande puzzle, ma siamo contenti di esserci.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017