Sconfinare per incontrarsi
È un rompicapo: fino a che punto una linea divide inesorabilmente un «di qua» e un «di là»? Quanto potente è un confine, segnato fisicamente da filo spinato, tracciato sulle mappe o che attraversa invisibilmente affetti, relazioni, culture, religioni? Fino a che punto questa linea marca una distinzione tra «noi» e «loro», una differenziazione tra mondi che solo contrapponendosi sembrano poi ritrovare la propria identità?
Ma una linea – la stessa linea – oltre che dividere può ambire anche a unire, diventare quasi un «punto di contatto» o, talvolta almeno, un incrocio. Detto in altro modo, è come dichiarare che c’è bisogno dell’altro per crescere ed essere pienamente noi stessi.
In realtà la geometria lo afferma in maniera inconfutabile: due linee parallele non si incontreranno mai. Ma è proprio così? Davvero sono destinate a correre all’infinito l’una a debita distanza dall’altra, quasi guardandosi in cagnesco e nel timore che prima o poi questa legge trovi la sua eccezione e l’altra esca dai suoi confini e invada i miei? E una linea deve essere a tutti i costi «retta», o è più interessante se si scombina, si allunga e si restringe, come la famosa Linea animata di Osvaldo Cavandoli? Del resto, un confine a cosa serve se non a essere superato, varcato, violato?
Sono tanti gli uomini e le donne, ieri come oggi, da noi e in giro per il mondo, che si sono scontrati in guerra col nemico, difendendo un confine, una bandiera, la propria libertà. Oppure hanno arginato le invasioni dei «barbari» di turno, sia che arrivassero cavalcando dalle steppe dell’Est o stivati dentro fatiscenti barconi nel Mar di Sicilia. È così che hanno visto l’«altro» da vicino. E molte volte questo sguardo umano, troppo umano (era infatti considerata una sorta di tradimento «socializzare con il nemico»), ha innescato comportamenti virtuosi non previsti. L’alterità è diventata sempre di più un pregiudizio tutto da verificare, un nodo da sciogliere. Come in certe tragedie greche di Eschilo, quando nello sviluppo del dramma si scopre che l’altro non ci è mai del tutto estraneo.
Di chi siamo prossimi?
In che senso, ancora, una «terra di confine» – e l’Italia lo è quasi completamente per conformazione geografica – lo può essere non per l’esclusione reciproca, ma per l’inclusione, l’incontro, la contaminazione? Con ciò senza negare che poi ciascuno di noi ha bisogno di una propria «casa», dove ritrovarsi e riconoscersi come tale.
In tempi come i nostri dove, dopo l’euforia di Berlino ’89, si è piuttosto ripresa la consuetudine di costruire muri, di distinguere, dividere, chiudere, espellere, di menar vanto dei propri simboli, dialetti, consuetudini, riti, di proclamare guerre di religione, forse è più che mai appropriata una riflessione in merito. Per identificare e sconfiggere ciò che, in tutto questo, è solo paura o ignoranza.
Senza addentrarmi in spigolosi discorsi sociologici, vorrei raccontare uno dei fioretti francescani più famosi, una declinazione di questa «alterità» che sembra fatta apposta per dare consistenza al nostro discorso: il lupo di Gubbio, cioè un colpevole, da condannare e lapidare senza misericordia. Gubbio è una città fortificata, circondata però da oscure selve, dove il pericolo, sempre in agguato, ultimamente ha il volto di un «ferocissimo» lupo, già noto per le sue sanguinose scorribande. Succede a un certo punto che il nostro amico lupo, sentendo i morsi della fame, comincia a terrorizzare da vicino i cittadini di Gubbio. Che non se ne stanno certo a guardare, ma organizzano ronde armate per difendersi e, infine, si trincerano al sicuro dentro le mura della città. Quando il poverello d’Assisi, Francesco, si trova a passare per quelle terre, possiamo ben immaginare le truculenti storie che gli abitanti della città gli raccontano, tanto che, all’intenzione del Santo di uscire incontro al lupo, «al tutto non gliel consigliavano».
Il dilemma era chiaro: il «lupo» – niente di più diverso da noi – rientra o non rientra tra le persone a cui voler bene, o per lo meno da aiutare in caso di necessità? Il fratello è un dono di Dio, ma sempre da accogliere a scatola chiusa? Francesco non cade nel tranello canonistico, nella semplificazione «dentro-fuori». Lasciando allibiti gli eugubini, già di per sé abbastanza impauriti, li invita a un «servizio» originale e spiazzante.
Francesco, il lupo e i cittadini
Ma allora il trucco dov’è? Francesco «chiamollo a sé e disse così: “Vieni qui, frate lupo”». Francesco ci dice che fa bene alle relazioni, se non proprio alla fraternità, non essere ingenui e vedere piuttosto la realtà per come è, individuando inaspettate prospettive e impreviste possibilità. Allora l’altro rimane «lupo», ma l’attenzione si sposta su «fratello». Ed è questo che mi permette di accostarmi alla persona cogliendola nella sua unicità e dignità, indipendentemente da qualsiasi percorso abbia vissuto, a noi nella maggior parte dei casi sconosciuto e inaccessibile.
Paradossalmente, le parole più dure Francesco non le ha per il lupo, ma per gli abitanti di Gubbio: «Tornate dunque, carissimi, a Dio, e fate degna penitenza de’ vostri peccati». Alla fine nessuno è umiliato, nemmeno il lupo che diventa persino a pieno titolo uno dei due contraenti del nuovo patto di pace con i cittadini di Gubbio.
La mia vittoria non ha bisogno di lasciare sul terreno cadaveri. E con ciò la fraternità universale è finalmente restaurata, ri-creata!
A questo punto la fraternità, come diceva Jean Vanier, dopo essere stata «luogo del perdono», diventa anche inevitabilmente «luogo della festa»: «Tutti incominciarono a gridare al cielo, laudando e benedicendo Iddio».
Tutto questo cosa significa per noi se non che dobbiamo convertirci? Ciò che è straordinario nei fatti di Gubbio non è che si sia convertito il lupo, ma che si siano ammansiti i cittadini, e che davanti al lupo che si avvicina infreddolito e affamato gli siano corsi incontro non con le roncole e le accette ma con pezzi di cibo. Per un istante questa gente ha creduto possibile la lotta col lupo armata solo di cibo da donare invece che di armi da insanguinare. Il miracolo è la fraternità ristabilita: quella fraternità che si nutre prima di tutto di accoglienza calda e squisita, condita di gesti concreti ma reali. Non è Francesco che trasforma il terribile lupo in agnello. Il miracolo, lo ribadiamo, è reso possibile solo dalla carità, che è fatta di perdono e conversione personale. E di accettazione che l’altro continui, per certi versi, a restare tale (e infatti il nostro lupo entrerà e uscirà liberamente da Gubbio – chissà? – forse tornandosene talvolta a caccia di qualche pecorella…).
Non ci si gonfia il cuore nel sapere che il buon Dio così agisce con ognuno di noi, che pure siamo molto «altro» rispetto a lui? E allora è rincuorante pensare che l’uomo non è condannato a essere sempre «contro» qualcuno, ma che siamo «identità multiple», ricchi delle nostre diversità e confermati nelle nostre identità uniche e irripetibili, più inclusive che esclusive. Così le linee parallele possono, invece di correre tali all’infinito (che è pure un po’ noioso, oltre che poco stimolante), sovrapporsi, intersecarsi, per poi riprendere a inseguirsi per un altro tratto distinte e separate. Fino al prossimo, proficuo, allettante e atteso… sconfinamento!
Notes. Il convegno
L’occasione per il terzo convegno della serie «SanzenoMondo. Incontri di spiritualità e cultura» è offerta dal santuario dei santi martiri cappadoci e dal vicino eremo del «tedesco» san Romedio, entrambi serviti dai frati minori conventuali. A un certo punto, a Sanzeno, è stato possibile l’incontro tra mondi diversi e lontani. Un incontro magari non del tutto pacifico (quale incontro lo è mai?), ma che ha cambiato la storia di queste terre, affidando loro una pesante eredità, che è vocazione all’accoglienza e all’apertura all’altro. È evidente che discorsi del genere sono del tutto attuali: serve parlarne in maniera possibilimente intelligente e non scontata.
Da qui l’approccio interdisciplinare ed ecumenico – in definitiva francescano – al convegno, rivolto non a esperti del settore, ma a chiunque abbia a cuore questi temi.
Il programma
S-confinamenti. Per gli altri, gli altri siamo noi
Venerdì 4 settembre
ore 9.30 – 10.30. Bella perché varia. La biodiversità in natura. Guido Trivellini, responsabile Biodiversità WWF Programma Alpi Europeo
ore 10.30 – 11.30. L’invenzione della razza, Silvia Ghirotto, genetista, Università di Ferrara
ore 11.30 Coffee break
ore 12.00 – 13.00. So-stare nel conflitto(?), Daniele Novara, pedagogista, Centro Psicopedagogico per la pace (Piacenza)
ore 13.00 Pausa pranzo
ore 14.30 – 15.30. Il principio di reciprocità. È secondo giustizia? Luciano Eusebi, ordinario di diritto penale, Università Cattolica (Piacenza)
ore 15.30 – 16.30. L’altro o straniero nella Bibbia, Carmine Di Sante, teologo (Latina)
ore 16.30 Coffee break
ore 17.00 – 18.00 Dibattito
Sabato 5 settembre
ore 9.00 – 10.00, «Non c’è più né Giudeo né Greco», sr. Elena Bosetti, esegeta, Università Gregoriana (Roma)
ore 10.00 – 11.00. Razzismi quotidiani. La voce degli stranieri e dei media su razzismo e discriminazione, Camilla Bencini, Cospe (Firenze)
ore 11.00 Coffee break
ore 11.30 – 12.30. Francesco d’Assisi sufi del cristianesimo, Rumi francescano dell’islam, Gabriel Mandel, vicario generale per l’Italia della Confraternita sufi Jerrahi-Halveti (Milano)
ore 12.30 Pausa pranzo
ore 14.30 – 15.30. Per un’etica dell’ospitalità reciproca, Placido Sgroi, insegnante (Verona)
ore 15.30 – 16.30. Trentino: la difficile identità delle terre di confine, Michele Nardelli, esperto di cooperazione internazionale (Trento)
ore 16.30 Coffee break
ore 17.00 – 18.00 Dibattito e conclusioni
Info: frate Fabio Scarsato
Basilica SS. Martiri, 38010 Sanzeno (TN)
Tel. 0463 434134; fax 0463 435207
e-mail convegno@santimartiri.org
sito www.santimartiri.org/convegno