Scuola: semplificare esclude

È azzardato mettere la scuola nelle condizioni di non poter affrontare i grandi temi del riconoscimento delle differenze o dell’integrazione delle diversità.Si rischia di ridurre l’insegnamento a un’acritica trasmissione di nozioni.
29 Dicembre 2008 | di

Il dibattito sulla riforma scolastica è ormai da tempo avviato, e sono tante e autorevoli le voci che hanno espresso opinioni a riguardo. Mi è capitato sotto mano, con qualche giorno di ritardo, un bell’articolo di Michele Serra («la Repubblica», 24 settembre 2008), che affrontava il tema, allargandolo a ogni aspetto della vita culturale, dal punto di vista della «complessità-semplicità», intese come modi alternativi di avvicinarsi al mondo e tentarne interpretazioni e rielaborazioni.

Il discorso, riferito alla riforma scolastica, in particolare alla reintroduzione del maestro unico, al di là di questioni strettamente politico-partitiche, regge benissimo e fa emergere spunti piuttosto interessanti. Serra sostiene che la complessità viene ormai vista come un lusso che la società, e quindi la scuola – che di essa è parte e spesso specchio – non può più permettersi.
L’editoriale si articola in modo più compiuto, ma a me interessa integrare alcune riflessioni del giornalista riguardo all’auspicata, da molti, semplicità o «semplificabilità» del mondo.
Ci sarebbe tanto da dire, ma mi limiterò a quegli aspetti a mio parere particolarmente paradossali. Il primo: sarebbe appunto paradossale retrocedere a una visione semplicistica, proprio mentre abbiamo a disposizione tutti gli strumenti, anche tecnici, per allargare i nostri orizzonti. E proprio mentre questo allargamento avviene anche a prescindere dalla nostra volontà, visto che è un dato di fatto. Altrettanto paradossale risulterebbe, in secondo luogo, abbracciare un pensiero «semplice» proprio quando l’eterogeneità delle persone, delle loro origini e delle loro culture, diventa un elemento vivo e caratterizzante la nostra società. Terzo paradosso, fare passi indietro nel riconoscimento dell’inevitabile e irriducibile varietà delle cose dopo che per anni in tanti hanno lavorato perché questo riconoscimento diventasse un sentire diffuso… Avete presente i segnali di inversione a «U»? Sembra che ci venga chiesto di intraprendere un cammino in senso contrario rispetto a quello percorso da tanto tempo. Non abbiamo fatto in tempo a ricordare i trent’anni della legge sull’integrazione scolastica. Ricorrono poi i trent’anni della legge Basaglia. Si tratta di due momenti importanti, per quanto solo aurorali, di un cammino che si proponeva anche di mostrare la bellezza delle «cose complicate» e la necessità del complicare per «umanizzare».
Questo movimento teso al riconoscimento delle differenze, all’integrazione delle diversità, alla complicazione del concetto-contenitore di «umano» non si poteva, non si può rea­lizzare, se alla base c’è un pensiero che semplifica, restringe il campo delle possibilità. Semplificare esclude, tendenzialmente. La semplificazione precede e provoca una perdita.
Non solo, allora, come scrive Serra, gli «strumenti critici (…) rischiano di diventare insopportabili impicci», ma le persone e le situazioni che creano criticità (e crescita) rischiano di diventarlo.
È molto azzardato mettere la scuola nelle condizioni di non poter affrontare questi nodi nella sua proposta educativa. In questo modo, infatti, viene essa stessa costretta a ridurre l’insegnamento a una sorta di acritica trasmissione delle nozioni, impoverendo così lo stesso apprendimento. Un intervento alquanto rischioso proprio perché l’istituzione scolastica rappresenta, invece, il primo luogo in cui quei nodi dovrebbero essere affrontati e discussi.

Mi farebbe piacere che il mio articolo diventasse per voi uno stimolo: indicatemi tutti i segnali di inversione a «U» che avete già incontrato o che, a vostro avviso, si profilano all’orizzonte.

Scrivetemi a claudio@accaparlante.it

 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017