Se un gatto nero un venerdì diciassette...

Niente cappelli sul letto, né ombrelli aperti in casa. Guai agli specchi rotti e al sale versato. Tanti i comportamenti indotti dalla superstizione. Ma cosa c’è alla radice di rituali e credenze tanto diffuse?
24 Settembre 2010 | di

 
Capelli quasi bianchi, pelle diafana. Una nascita prematura. Una leggera disabilità.
In alcuni Paesi dell’Africa subsahariana basta essere albini per entrare nella categoria dei bambini a rischio emarginazione sociale. «Segnati» perché, si dice, in contatto con le occulte potenze malefiche e quindi artefici di pratiche di stregoneria. La denuncia è arrivata nell’aprile scorso da un rapporto dell’Unicef (Les enfants accusés de sorcellerie. Etude anthropologique des pratiques contemporaines relatives aux enfants en Afrique), l’organismo delle Nazioni Unite che si occupa della protezione dell’infanzia. Senza dare cifre precise, gli autori della ricerca – antropologi, Ong e giornalisti – parlano di un aumento delle violenze nell’ultimo ventennio. «Nella Repubblica democratica del Congo il 70 per cento delle migliaia di ragazzi che vivono nelle strade sono stati abbandonati dalle loro famiglie perché accusati di stregoneria», dice la ricerca. È il caso di Roger, di Kinshasa, che racconta agli intervistatori: «Mia madre è andata via di casa quando ero piccolo. Papà è un uomo fragile, debole, la sua nuova donna mi picchiava, mi accusava di essere maledetto. Diceva che era colpa mia se papà era malato. Mi ha buttato fuori di casa». Roger, secondo la donna, attirava il malocchio su chi gli era vicino e quindi l’unico rimedio era cacciarlo.
Africa lontana? Secondo gli studiosi, i meccanismi che spingono a cercare una spiegazione alle avversità sono simili a ogni latitudine, con manifestazioni che poi, ovviamente, assumono le caratteristiche delle diverse culture. Non a caso, a metà settembre, il Festival della filosofia che si è tenuto tra Modena, Carpi e Sassuolo è stato proprio dedicato al tema della «fortuna» (e quindi della superstizione).

«Abbiamo bisogno di trovare una spiegazione a tutto ciò che ci accade e ci fa paura perché incomprensibile. E spesso la causa più immediata che ci viene in mente, quella più a portata di mano, è il maleficio o l’invidia del vicino»: Marino Niola ha lunga dimestichezza con malocchio e superstizioni. Ordinario a Napoli di antropologia dei simboli presso l’istituto universitario Suor Orsola Benincasa, ha pubblicato decine di volumi sull’argomento. Ne Il libro delle superstizioni con i rimedi popolari e le difese tradizionali dal malocchio, dalle fatture e da numerosi altri malefici, scritto a quattro mani con Elisabetta Moro ed edito da l’Ancora del Mediteraneo, si sofferma sulle radici del fenomeno nel nostro Paese.
 
Una ragione «dual band»
In passato, racconta Niola, le crisi erano annunciate da segni che oggi noi definiamo superstiziosi: la natura si metteva a funzionare all’incontrario, nascevano mostri, creature a due teste, e le mostruosità, le anomalie, davano corpo alle paure e diventavano profezie a posteriori, in senso retroattivo.
Noi, sostiene l’antropologo, non siamo diversi dagli antichi: «Sono cambiati oggetti e simboli che usiamo da catalizzatori dei nostri mali e carichiamo di paura superstiziosa il semplice volo degli uccelli. Anni fa c’era la sindrome dell’influenza aviaria e poi di quella cinese... volta per volta abbiamo una sorta di sindrome immunitaria che nasce da una fobia epidemica, che poi i dati scientifici rivelano trattarsi di paura superstiziosa». Quello che favorisce ieri come oggi la superstizione è il fatto che una parte della realtà sfugge a qualunque tentativo di spiegazione e ci rendiamo conto, anche noi che siamo figli della tecnologia, che la scienza non può tutto e non attenua il senso della nostra fragilità e vulnerabilità.
«Usiamo due modi di ragionare: la ragione scientifica, e quindi l’attribuzione di cause, e l’associazione di simboli, che è la base della superstizione. Cambiamo questi due modi come facciamo con le carte sim dei telefonini: un po’ usiamo l’una e un po’ l’altra. La nostra ragione, potremmo dire, è dual band». Se un luogo comune vorrebbe l’Italia divisa tra regioni più superstiziose e altre meno, secondo Niola nei fatti «è equamente distribuita: il Sud gioca di più sulla superstizione e non ha paura di confessarlo. Molto spesso in altre parti d’Italia si dice di non essere superstiziosi ma solo scaramantici. Ma nei fatti la scaramanzia non è diversa, è una versione light della superstizione. Napoli, che ha fama di essere città superstiziosa, è al contrario una città in cui la superstizione diventa un gioco sociale, spesso spiritoso, e dove non si ha paura di giocare con questi simboli. Napoli non è la capitale ma l’università della superstizione, cioè il posto dove si insegna qualcosa in cui non si crede realmente».
Con l’avvento della società globalizzata resistono comunque i grandi simboli – specchio, sale, gatto nero – ai quali la stessa società complessa trova un antidoto: «Oggi non tutti la pensano allo stesso modo, come accadeva nella società contadina, e per esempio il gatto nero, che si ritiene porti sfortuna, trova una difesa nell’animalismo».
Niola ritiene che nella società della comunicazione la superstizione venga amplificata: «Per esempio la fama di jettatore di un personaggio oggi si diffonde con una rapidità che prima non c’era. E se una volta era complicato avere l’immagine dell’altro per fare malefici voodoo, oggi attraverso internet chiunque può catturare una fotografia dell’altro».
Quanto alla «gravità» della superstizione, secondo lo studioso bisogna distinguere tra la malattia mentale – chi crede nelle superstizioni al punto da essere paralizzato da certe cose – e coloro che giocano con la superstizione. Insomma, persone che non credono veramente che se mettono il piede sulla soglia, o sulla riga della mattonella, o se escono di casa partendo con il piede sbagliato gli succederà qualcosa. Ma si attengono a quel rituale perché li fa stare meglio. È qualcosa di molto simile all’effetto placebo in medicina. «Questo è il superstizioso sano. In questo modo “non è vero ma ci credo” è una forma di precauzione, un’ammissione umile dei limiti della ragione. Esiste una quota di realtà che ci sfugge, e con questi rituali si ha l’impressione che la cosa sia un po’ meno incontrollabile o quanto meno di aver fatto “il possibile” e di non avere nulla da rimproverarsi».

Nell’Italia della superstizione c’è comunque anche spazio per quanti lucrano sulle fragilità altrui, sui bisogni di rassicurazione. Santoni alla buona e sètte religiose anche se non molto diffuse come in Africa, di recente sono state scoperte al Nord come al Sud. «Da noi questi sono ancora fenomeni marginali. Dico “ancora”, perché non è mai detto. La ruota della storia spesso fa dei giri strani. In Africa sono più frequenti perché le religioni tradizionali facevano largo uso di spiegazioni di questo tipo, mentre da noi si è creata nel tempo una frattura maggiore tra religione e superstizione». Se infatti l’Enciclopedie di Diderot e d’Alembert, i padri dell’Illuminismo, non distingue religione e superstizione e le considera la stessa cosa, oggi i tempi sono cambiati. «La superstizione non ha un contenuto preciso, ma è una soglia variabile che si sposta con tempi e culture. La scienza ufficiale nel ’600-’700 credeva e professava cose che oggi sono per noi superstizioni, ma tre secoli fa quella era la scienza ufficiale. Probabilmente fra tre secoli molte delle teorie di oggi sembreranno superstizioni».
Eppure dei retaggi di superstizione resistono nelle religioni tradizionali. «Basti pensare all’uso che le persone fanno, anche in perfetta buona fede, dei simboli religiosi. Per esempio, poco tempo fa il leader della Lega, Bossi, diceva che tutte le mattine, quando esce da casa, tocca un crocifisso che sta fuori la porta perché così è sicuro che non gli capitano “sfighe”. Il che equivale a servirsi del crocifisso come si usano le corna o il ferro di cavallo, cioè a fare un uso superstizioso del simbolo religioso».
 
 
L’intervista
Non è vero ma ci credo
 
«Ne ho lette e scritte troppe per crederci. Ma come disse Croce, prendo le mie precauzioni». Andrea Malossini, giornalista e scrittore, nato a Bologna 52 anni fa, da circa vent’anni si occupa di tradizioni popolari. Ha scritto numerosi libri sul tema e lo scorso anno, per l’editore Antonio Vallardi, ha pubblicato Il dizionario delle superstizioni italiane. Dichiara: «Non credo nella scaramanzia e nelle pratiche propiziatorie, non ho problemi ad appoggiare il cappello sul letto o a vestirmi di viola in tv, ma evito di passare sotto a una scala aperta».
Msa. Quali sono le superstizioni più diffuse in Italia?
Malossini. Quelle legate alla vita rurale, al cibo, alle malattie e alla religione. I bisogni primari del passato. Ad esempio, si dice che porti sfortuna appoggiare il cappello sul letto o tenere aperto l’ombrello in casa. Due credenze che hanno la stessa origine. Erano azioni che compivano i preti di campagna quando andavano a impartire l’estrema unzione ai moribondi. Per questo non portano bene.
Identikit del superstizioso: esistono varie tipologie? C’è una differenza di età o di sesso?
Peppino De Filippo intitolò una divertente commedia Non è vero ma ci credo: è un po’ il pensiero dell’uomo contemporaneo. Un po’ di superstizione, quando serve a non prendersi troppo sul serio, male non fa. La superstizione non è più un fenomeno legato all’ignoranza.
In passato era diverso. La superstizione era un fenomeno che riguardava soprattutto il mondo rurale, i ceti più poveri, gli adulti e gli anziani, chi lavorava nei campi o svolgeva lavori umili, chi aveva una scarsa cultura ed era molto religioso. Ora non più.
Tra gli uomini e le donne sono forse più superstiziosi gli uomini. La donna è più razionale e di solito è superstiziosa solo per quello che le «fa comodo». Prendiamo il parto. Le partorienti pensavano portasse sfortuna avere addosso oggetti di metallo, monili, collane, forcine e quant’altro potesse in effetti disturbare il travaglio. I mariti invece erano certi che fosse di buon auspicio appendere i pantaloni all’uscio di casa e andarsene a fare un giro sparando fucilate in aria. Diciamo che le superstizioni femminili sono molto più «razionali» di quelle maschili.
In che misura la superstizione condiziona il comportamento quotidiano e le grandi scelte di vita?
Salvo casi particolari, la superstizione non è così condizionante come si crede. Nel senso che molte persone hanno rituali scaramantici, specie in occasione di eventi particolari: come gli esami per gli studenti, le competizioni per gli sportivi o le «prime» per gli attori, ma questo non vuol dire che «condizionino» la vita e il comportamento quotidiano.
Il rapporto tra superstizione e mondo dello spettacolo?
Gli attori appartengono a una categoria molto superstiziosa. Alcuni esempi: mai indossare qualcosa di viola, porta sfortuna (il viola è il colore dei paramenti sacri durante la quaresima, periodo nel quale non si facevano spettacoli e gli attori «tiravano la cinghia»). Mai iniziare uno spettacolo di venerdì, mai 13 attori, se cade il copione a terra, porta male. Non aprire in platea l’ombrello, non fischiare nei camerini e mai dire «buona fortuna» prima di entrare in scena.
Ci parli di qualche superstizione che ha una spiegazione logica...
Il ferro di cavallo, ad esempio. È risaputo che porta fortuna trovarne uno. In origine portava bene perché per un povero contadino trovare un ferro di cavallo era una vera e propria fortuna, data la scarsità di metallo. Se poi si pensa che nell’antica Roma potevano essere d’oro o d’argento...
 
 
L’opinione della chiesa. Solo in Gesù c’è la salvezza
Numerosi episcopati hanno richiamato l’attenzione dei fedeli sul rischio di infatuazione verso pratiche e atteggiamenti magici o superstiziosi. Interessante la lettera pastorale scritta nel 2001 dall’allora arcivescovo di Pesaro, Angelo Bagnasco, oggi presidente della Conferenza episcopale italiana, insieme ai confratelli Francesco Marinelli, arcivescovo di Urbino-Urbania-Sant’Angelo in Vado e Vittorio Tomassetti, vescovo di Fano-Fossombrone-Cagli-Pergola.
Nella lettera si dice, tra l’altro: «L’esaltazione della dimensione emotiva e un diffuso senso d’angoscia inclinano verso una religiosità fortemente emozionale e magica e spingono alla ricerca dello “straordinario”, di esperienze gratificanti e di sensazioni di benessere fisico e psichico. In questo contesto culturale proliferano: le molteplici forme di “superstizione” che consistono nell’attribuire importanza indebita e quasi magica a certe pratiche o oggetti (amuleti, consultazione degli oroscopi, astrologia, lettura delle carte – i  “tarocchi” –, numeri della fortuna o della sfortuna...); le pratiche di magia, di stregoneria, di satanismo, con le quali si pretende di allearsi con “forze occulte” e di piegarle a servizio proprio o degli altri, sia nel bene che nel male (malocchio, fattura, maleficio, “messe nere”...); lo spiritismo nelle sue varie forme (sedute medianiche, scrittura automatica, riti o tecniche per presunti contatti con i defunti...); le varie esperienze e tecniche psico-fisiche di “meditazione”, di “guarigione”, che di per sé non presentano verità da credere (es. il Reiki), ma che in realtà insinuano una determinata visione dell’uomo e del mondo non conforme alla Rivelazione di Gesù Cristo; i cosiddetti “nuovi movimenti religiosi”, che a volte, nel linguaggio comune, vengono indicati anche con il nome di “sètte”. Alcuni di questi sono di derivazione cristiana e hanno la pretesa di avere ricevuto dei nuovi messaggi rivelati. Altri si ispirano alle religioni orientali. Altri ancora a tradizioni esoteriche e occultistiche. I Testimoni di Geova, l’Associazione internazionale per la meditazione trascendentale, la Chiesa di Scientologia (Scientology), la Nuova Acropoli, il Movimento della speranza, l’Anima universale, Gruppi di New Age, il Movimento di Moon, la Fede universale di Bahai... sono solo alcuni dei numerosi “Nuovi movimenti religiosi” presenti in Italia e nel mondo.
(…) Di fronte alla sfida pastorale (...) noi Vescovi riaffermiamo, secondo la fede della Chiesa, che solo il Signore Gesù ha vinto il maligno, libera da ogni paura e dalla ricerca di mezzi magici per affrontare le difficoltà della vita. Solo in Gesù Figlio di Dio, morto e risorto, è la salvezza e la pace».
 
 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017