Sentieri di pace
È il dodici maggio dello scorso anno e il Papa sta celebrando la santa Messa a Gerusalemme, precisamente nella valle del Cedron. Si tratta di una delle tappe dello storico viaggio di Benedetto XVI nella terra di Gesù, per seminare e invocare pace. Una bambina (che sia palestinese o israeliana poco importa), quella in copertina, è salita sopra un ulivo per vedere meglio. Ha notato un fotografo avvicinarsi e si è sistemata, quasi mettendosi in posa.
Forse non l’ha ancora capito appieno, ma il suo futuro è diverso da quello di molti bambini del mondo: vive in una terra dove l’odio non è ancora sopito e nella quale la pace sembra non arrivare mai. Se da una parte abita proprio nel luogo fisico in cui «è scoppiata per ogni uomo la pace e la speranza», è anche vero che nel suo Paese è stata costruita una barriera di cemento e filo spinato lunga chilometri. Molti campi palestinesi restano tagliati fuori, praticamente irraggiungibili, e non possono essere utilizzati, mentre la mobilità da e verso Gerusalemme è paralizzata. Risultato: gran parte delle attività commerciali ha chiuso i battenti e dilaga la disoccupazione, per cui crescono povertà, desolazione e rabbia. Molti cristiani se ne sono andati in questi anni e molti sono tentati di farlo. Il Papa incoraggia e dice parole di speranza. La bambina col vestito fucsia e con occhi di pace capisce che è un amico. Per la pace c’è anche un Nobel, e come tutti sanno nel 2009 è andato a Barack Obama. Questo in data 9 ottobre, quindi a meno di un anno dalla sua elezione a presidente. Un tempo record.
I motivi del riconoscimento sono sostanzialmente tre. Innanzitutto l’impegno sul nucleare: di fatto, da qualche tempo, era vistosamente calata la soglia di attenzione nei confronti del proliferare degli armamenti atomici. In secondo luogo Obama ha rilanciato la diplomazia multilaterale togliendo l’America dal suo isolamento un po’ snob. «È giunto il momento per tutti noi – sono parole sue, rivolte ai grandi del mondo – di assumerci la nostra parte di responsabilità per una risposta globale alle sfide globali». Il terzo motivo è l’attenzione del neopresidente, fin da subito, alle questioni climatiche, terreno politico delicatissimo nei rapporti con le potenze economiche emergenti: Cina e India.
Mi è piaciuta la reazione di Obama quando gli hanno comunicato la notizia: «Non sono sicuro di meritarmi questo premio» ha detto. Anch’io penso che si tratti di un’apertura di credito nei suoi confronti. E questo dimostra come la pace abbia bisogno di nutrirsi di speranza, di visioni e sogni… D’ora in poi Obama dovrà essere per tutti presidente di pace. Questo Nobel è un investimento sul futuro.
Dai grandi orizzonti della storia planiamo ora nel giardino di casa per guardare alla nostra rivista che sempre più cresce insieme a voi, anche affrontando temi nuovi e incalzanti, e cerca, per quanto possibile, di seminare pace riscaldando i cuori e nutrendo le menti. Nell’ultima enciclica, Caritas in veritate, si dice con chiarezza che i grandi problemi socio-economici non possono mai essere sganciati dalla problematica dell’umano e delle sue deformazioni, per cui «la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica, nel senso che essa implica il modo stesso non solo di concepire, ma anche di manipolare la vita, sempre più posta dalle biotecnologie nelle mani dell’uomo» (n. 75). Ci è parso uno spunto interessante, e perciò abbiamo deciso di avviare, nel nuovo anno, una rubrica sulla bioetica. Certo il nostro mensile parla molto di sociale, di diritti, di lotta alla povertà, di pace e giustizia. La via della bioetica sarà un altro capitolo di questo fare pace con la vita che è la fatica di ogni persona e di ogni collettività. Su questi sentieri di pace restate insieme a noi anche quest’anno.