Sharon e Barak

il falco e il calcolatore
09 Febbraio 2001 | di
   
   

   

  In febbraio gli israeliani andranno alle urne. Le elezioni hanno acquisito il tenore di un
    referendum pro o contro la pace. Un ritratto dei due contendenti e i loro programmi.

L'

attuale premier israeliano Ehud Barak ha fama di politico calcolatore che studia bene le mosse, ma quando, a metà  del dicembre scorso, si dimise a sorpresa per provocare elezioni anticipate, la sua apparve una decisione avventata. Si era nel pieno della nuova Intifada palestinese, quando era necessaria una guida sicura per Israele, non un premier dimissionario. Nel giro di pochi giorni si capì, però, la fondatezza della mossa di Barak.
In Israele il panorama politico è alquanto frammentato (come in Italia, d' altronde). Accanto ai due maggiori partiti, il Marach (laburista) di centro-sinistra e il Likud (unità ) di centro-destra, c' è una miriade di partitini di ispirazione religiosa o a base etnica (come quello dei russi, recenti immigrati) che quasi sempre diventano l' ago della bilancia per il governo. Che è quindi sottoposto continuamente alle loro richieste di ordine corporativo, con contraccolpi negativi sulla stabilità . Per questo, si è deciso di bilanciare la Knesset (il parlamento) con un premier forte, eletto direttamente dal popolo (l' idea è circolata anche in Italia per favorire la governabilità ).
Barak si è dimesso, ma non altrettanto ha fatto la Knesset: si sa che i deputati preferiscono finire la legislatura, perché non è sicura la rielezione. E così Barak ha tagliato la strada al suo più pericoloso oppositore, quel Benyamin Netanyahu, che, travolto dagli scandali pubblici e personali, aveva largamente battuto alle elezioni del 1999, ma che ora appariva in decisa rimonta. Netanyahu non era automaticamente ricandidabile se la Knesset non si auto-scioglieva, e ha quindi preferito rinunciare a scendere in lizza.
Sul versante opposto, Barak aveva un possibile concorrente all' interno del suo stesso partito in Shimon Peres. È considerato la «colomba» dello schieramento, uno dei pochi politici che sa unire la concretezza ad accenti profetici, ispirati a Isaia e ad altri profeti biblici. Ma Peres non ha trovato nessun partito disposto a sponsorizzarlo - come richiede la legge elettorale - anche i pacifisti hanno dato ascolto all' ammonimento (e alle mosse dietro le quinte) di Barak, di «non dividere il campo della pace». E così, infine, Barak si è trovato a fronteggiare proprio l' oppositore che preferiva, quell'Ariel Sharon considerato, dentro e fuori Israele, come il «capo politico dei falchi».

Ariel Sharon, il falco

I pellegrini che percorrano la «Via dolorosa» a Gerusalemme, a un certo punto potrebbero scorgere una bandiera israeliana sventolare da un appartamento. È un' abitazione che Sharon ha voluto acquistarsi in pieno quartiere arabo per ostentare il «diritto» degli ebrei ad abitare ovunque nell' «Eretz Israel» (l' Israele dei tempi biblici). E lui stesso, con un altro gesto ostentato, la visita alla «spianata del Tempio» - dove oggi sorgono però le mosche musulmane di Omar ed El-Aqsa - è da molti indicato come la causa scatenante della nuova «intifada» araba, dal 28 settembre dello scorso anno.
Una delle «nuove colonie» piantate in mezzo al territorio della Cisgiordania, futuro stato palestinese, una colonia esemplare con alberghi per visitatori, si chiama «Ariel», non tanto in memoria dell' angelo quanto in onore di Sharon. La sua biografia è ricchissima di eventi militari: giovanissimo, già  militava nell' organizzazione ebraica di autodifesa ai tempi del dominio coloniale inglese, poi si è distinto in tutte le battaglie che Israele ha dovuto affrontare per la sopravvivenza. Il suo capolavoro risale però alla «guerra del Kippur» (ottobre 1973) quando l' esercito egiziano, approfittando della festa religiosa ebraica, aveva attaccato di sorpresa, sfondando le linee israeliane, che allora si trovavano lungo il Canale di Suez. Sharon, che era smobilitato, immediatamente riveste la divisa di generale, riprende il comando di un' unità , attacca a sua volta nella zona dei Laghi Amari, dove il canale si allarga in distese d' acqua naturali che sembrano formare una barriera naturale. Questa viene, invece, superata di slancio dagli anfibi in una «offensiva-lampo» che taglia in due le linee egiziane, capovolgendo la situazione.
A 72 anni Sharon è ingrassato e appesantito, ma in lui nostalgici, conservatori, nazionalisti continuano a vedere la figura del «capo invitto». Ha cercato di ammorbidire la fama di super-falco incontrando, negli anni passati, degli stretti collaboratori del leader palestinese Arafat. Ma in segreto, non pubblicamente. E gli incontri non hanno avuto alcun seguito, non hanno ammorbidito la sua linea intransigente pro-colonie palestinesi in Cisgiordania e sulla indivisibilità  di Gerusalemme, dove vuol continuare a ostentare casa in pieno quartiere arabo. Anche se è prevedibile che, in campagna elettorale, cerchi di apparire più possibilista, non per vera convinzione, ma per raccogliere i voti dei moderati che cercano sì la sicurezza, ma anche la pace.

Le vittorie militari di Barak

 

Ehud Barak non ha nulla da temere quanto a confronti sulle glorie militari (anche se le sue sono state meno spettacolari). Se Sharon ha comandato la «compagnia 101», celebre per le azioni di commandos, infiltrandosi in mezzo alle linee nemiche, Barak ha diretto un' unità  speciale altrettanto agguerrita, la «Sareyet Mahtal», ed è l' ex generale più decorato della storia d' Israele. Ma è anche il politico già  «sponsorizzato» da Leah Rabin, la vedova del primo ministro assassinato nel 1995 da un estremista israeliano perché stava guidando verso la pace con i palestinesi. A 58 anni, Barak appare certo più rappresentativo delle generazioni montanti di Israele che l' ultrasettantenne Sharon, fortemente ancorato al passato. Ha dimostrato di essere un politico freddo e razionale, ha azzeccato la prima parte dell' azzardo delle elezioni anticipate, ma oggi occorre qualcosa di più. Se è esatto il giudizio che di lui ha dato il navigatissimo Kissinger: «È il politico più intelligente che io abbia incontrato», deve attingere a un supplemento d' intelligenza e anche far appello a più passione e più coraggio per vincere la sfida della pace. Per fare accettare alla maggioranza del suo popolo, e non solo agli intellettuali e alla parte più avanzata, un compromesso certo difficile, forse lacerante per molte coscienze, ma indispensabile alla pace. E alla giustizia, che richiede la nascita di uno stato palestinese non antagonista ma convivente con Israele.
Qui ho tracciato il ritratto di due ex generali che concorrono alle elezioni in due campi diversi. Ma le elezioni, se la tensione con i palestinesi non diminuisce, se la nuova Intifada si inasprisce, se Arafat rigetta il «piano di pace Clinton», potrebbero condurre a un esito inatteso: non alla vittoria di un campo sull' altro, ma all' alleanza fra Barak e Sharon, chiunque sia il vincitore, nel nome di un' «unione sacra» nazionale di fronte al «pericolo comune». Così si può concludere che molto dipenderà  dalle mosse di Arafat, del leader palestinese: se si muoverà  con decisione verso il dialogo, allora darà  un sostegno decisivo al «campo della pace» israeliano. Altrimenti, l' intransigenza favorirà  altra intransigenza, e non resta che attendere il peggio.


   
   

 

   

L A «PROPOSTA  CLINTON» PER LA PACE      

A lla fine di dicembre, quasi al termine del suo mandato, l' ex presidente americano Clinton     ha presentato una «bozza» di accordo per la pace fra israeliani e palestinesi in dieci punti.

     

I       principali:     

- il 5 per cento dell' attuale Cisgiordania, dove sono più addensate le colonie ebraiche,       verrà  annesso a Israele (comprendendo 150 mila coloni su 175 mila).       Le altre colonie saranno abbandonate, eccetto dei       piccoli insediamenti a Hebron, attorno alla «tomba dei patriarchi»,       che verrebbero ffittati dallo stato palestinese per vent' anni. 

- Il futuro stato palestinese, in cambio,       otterrà  un territorio israeliano del deserto del Negev adiacente alla       striscia palestinese di Gaza.

- Gerusalemme        diventerà  la «capitale di due stati», spartita in due: Gerusalemme-est (con 180 mila abitanti) allo stato palestinese, mentre i nuovi quartieri ebraici che la circondano (con 200 mila abitanti) saranno ricongiunti a Gerusalemme-ovest, già  israeliana.
La parte più sofisticata dell'       accordo riguarda il nucleo storico, la «città  santa», che verrà  anch'       essa divisa: i quartieri musulmano e cristiano ai palestinesi,       quello ebraico e parte dell' armeno agli israeliani. La spianata dove       sorgeva il Tempio ebraico (distrutto da Tito nel 70 d.C.) o Monte       Moria («della luce») per gli ebrei, ma dove ora sorgono le moschee di       Omar e El Aqsa (Haram a-Sharif per i musulmani, il «nobile       santuario»), passeranno in superficie allo stato palestinese, che non       potrà  però effettuare scavi nel sottosuolo (dove rimangono le       fondamenta del tempio ebraico).     

- I profughi palestinesi        che vivono in diaspora dal 1948 (in Libano, Giordania, Siria) potranno tornare solo nel futuro stato palestinese e non in Israele. Inizialmente erano 800 mila, ora per incremento demografico raggiungono i 4 milioni. Oppure cercare di inserirsi dove vivono, fruendo di un cospicuo indennizzo (che è stato calcolato in 40 milioni a persona).
Il nuovo presidente, George Bush jr., ha detto di       aver fatto sua la proposta. Ma è probabile che, se essa dovesse       essere rigettata da una o da entrambe le parti, cercherebbe un       approccio più graduale e meno globale al problema, che non si vede       però dove potrebbe condurre, se non a un disimpegno da parte       della diplomazia   statunitense.

INTIFADA      

È               la forma di lotta di massa dei palestinesi, organizzata dall Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina) nei territori occupati da Israele nel 1967 (Cisgiordania e Gaza). Iniziata nel 1987, si caratterizza per forme di disobbedienza  civile, manifestazioni illegali (esposizione della bandiera palestinese) accompagnate dall' uso di armi improprie, lancio di sassi, soprattutto, nei quali sono particolarmente addestrati bambini e ragazzi. Ripresa in forma massiccia e violenta lo scorso anno, ha già  fatto alcune centinaia di vittime in poco tempo.

 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017