Shoot4Change, quella verità che brucia

Le microstorie ignorate dai grandi media sono protagoniste di una rivoluzione del reportage. Fotografi famosi e aspiranti tali, attraverso internet, diffondono la conoscenza di vicende estreme. Per innescare il cambiamento.
26 Settembre 2011 | di


Thomas Cri­stofoletti sta lavorando a un progetto per la Ong spagnola «Paz y Desarollo» nella remota regione di Mondulkiri, in Cambogia, quando s’imbatte nella minoranza etnica dei pnong, nel piccolo villaggio di Pou Pring. Li fotografa mentre, alla ricerca di profitto, bruciano la foresta per piantare patate dolci e caucciù, distruggendo di fatto la loro cultura e la loro identità. A Mumbai, Manlio Masucci, con la sua reflex, documenta la battaglia che si combatte nello slum Golibar tra i poveri che non vogliono lasciare le loro misere baracche e la potente lobby dei costruttori che puntano invece a cementificare la zona, condannandoli ad aggiungersi ai milioni di senzatetto della metropoli. Dalla Bolivia, le foto di Valerio Muscella raccontano il «Proyecto Don Bosco», a Santa Cruz de la Sierra, rivolto ai ragazzi di strada e promosso dal Volontariato internazionale per lo sviluppo, una Ong italiana legata ai salesiani. Il pericolo che incombe sugli himba, nel nord della Na­mibia, è invece raccontato dalle foto di David Kame: il progetto di una diga sul fiume Kunene potrebbe segnare la fine di questo antico popolo che si oppone come può.

Ci sono migliaia di storie come queste che aspettano di essere svelate. Storie di uomini e donne che ogni giorno, in angoli diversi del pianeta, lottano per la sopravvivenza, per vedere rispettati i propri diritti. E sono anche le storie, drammatiche e coraggiose, di quanti, per lo più volontari, hanno deciso di condividerne preoccupazioni e lotte. Vicende che rimangono sconosciute perché nessuno le racconta. Ora, però, per alcune di queste storie si è aperto uno spiraglio grazie ai fotografi di «Shoot4Change» (S4C), cioè «Scatta per il cambiamento».
Si tratta di un’organizzazione internazionale no profit, di volontariato fotografico sociale, composta da semplici appassionati e professionisti, che vuole dare volto e voce a chi non ha la possibilità di essere visto né ascoltato, contribuendo così a un processo di cambiamento sociale.

In due anni di attività, alcune centinaia di associati hanno firmato più di seicento reportage in diverse parti del mondo, raccontando, senza condizionamenti, storie che valeva la pena far conoscere. Oltre che in Italia, ci sono gruppi affiliati in altri Paesi europei, in America del Nord e del Sud, in Africa e in Asia, con un trend in continua crescita. I loro lavori possono essere visti sul sito www.shoot4change.net e sulle pagine collegate di Facebook, Twitter, Flickr e YouTube, perché è internet il canale privilegiato di questa comunicazione alternativa. Il lavoro dei fotografi di S4C è gratuito per chi non può permetterselo. E gli eventuali ricavi sono destinati agli scopi dell’associazione promotrice dell’iniziativa, per coprire i costi sostenuti dai volontari e, allo stesso tempo, per supportare ulteriori progetti sociali.
 
Storie locali dal valore globale
 
«Noi crediamo fortemente in un nuovo concetto di fotografia sociale – spiega il fondatore, Antonio Amendola, un barese trapiantato a Roma – che non si limiti a raccontare ma che porti un contributo alla realtà che racconta. La finalità è denunciare le situazioni di disagio, parlando anche dei soggetti che portano sollievo in quelle situazioni, per ispirare altri ad assumere un ruolo attivo nel cambiamento sociale, partendo dal basso. Puntiamo sulle piccole storie: quelle sottovalutate o ignorate dall’opinione pubblica, dai grandi network televisivi e dalla stampa. Non a caso il nostro slogan è “Shoot local, think global”: raccontare una storia a livello locale, anche semplice, di piccoli gruppi di volontari o di associazioni del terzo settore, sapendo però che questa è interconnessa con altre, a livello globale, e può ispirare la gente a fare altrettanto altrove».

L’esperienza di S4C è nata nel 2009 da un’iniziativa pluriennale di blogging su fotografie di viaggio. «Dopo il terremoto de L’Aquila – ricorda Amendola – su un blog denominato “Shoot4change” cominciai a parlare di fotografia sociale. Visto l’inatteso successo, organizzai un workshop di fotografia amatoriale, devolvendo il ricavato all’Ospedale di Coppito per co-finanziare un campo estivo per i bambini che vi erano ricoverati. Poco dopo si svolse la marcia mondiale per la pace e la non violenza. Gli organizzatori mi chiesero di fotografare gli eventi a Roma e a Milano, come avveniva in altre città e capitali in concomitanza con la partenza da Auckland. Quelle fotografie piacquero, e circolarono parecchio su internet. Così mi venne chiesta anche la disponibilità a fotografare il passaggio della marcia nella tappa di Roma. Quel giorno, però, non potevo. Allora feci una provocatoria “chiamata alle armi fotografiche”, chiedendo a quanti credevo mi seguissero sul web (immaginavo che fossero pochi) di darmi una mano. Invece, due giorni dopo avevo la casella e-mail intasata. Coprimmo quasi tutta l’Italia e persino l’estero. Quella è stata la svolta. Ho cominciato a capire che la gente ha voglia e disponibilità a scendere in strada per raccontare le storie che accadono dietro l’angolo e che nessuno mostra».

Oggi sono numerose le Ong e le associazioni, piccole e grandi, che chiedono il supporto di S4C per la loro comunicazione: dalla Liberi Nantes (la squadra di calcio composta da rifugiati di cui abbiamo parlato nel numero di giugno di questa rivista) ad Amnesty International. E sono entusiaste dei risultati, vedendosi promosse e raccontate in un circuito sempre più ampio sulla rete, ma che sta trovando spazio crescente anche sui media tradizionali.
«Un aspetto interessante – osserva Amendola – è l’ottima accoglienza tra i fotografi professionisti anche affermati, come Ed Kashi, Alfons Rodríguez e Beb Reynol, che in S4C hanno trovato un ecosistema creativo favorevole alla nascita di nuovi progetti, in sinergia con altri reporter. Alla fine, il nostro è un network di creativi. Circolano tante idee».
 
I ragazzi del mondo uniti da un clic
 
Grazie alle attività didattiche, con workshop sia per i soci che per i non soci, si insegna a migliorare la qualità delle immagini perché, come sottolinea il fondatore, «anche se per noi il contenuto è più importante della forma, senza dubbio quando a un buon contenuto si abbina un’estetica eccellente, il risultato è straordinario. E poi, siamo a disposizione di quanti ci chiedono di migliorare la capacità di comunicare. Abbiamo già organizzato workshop in Italia, stiamo per lanciarne altri all’estero, in Africa e in Centro America. Svolgiamo anche attività didattica in collaborazione con università e centri di formazione. La comunicazione creativa per il sociale è un campo aperto dove si può ancora dire e fare tanto. Una comunicazione che abbandoni per sempre l’estetica del dolore, la fotogenicità del dramma. Ci sono maniere più creative e più positive di raccontare drammi sociali».

Creatività è, dunque, una delle parole chiave di S4C, e fulcro di molti progetti. Come «Shoot4Change Next Generation». «A Roma – spiega Amendola – abbiamo formato un gruppo di studenti della scuola Di Donato, nella zona forse più multietnica della capitale: piazza Vittorio. Abbiamo insegnato loro a fotografare, a narrare storie, sensibilizzandoli all’osservazione sociale. Poi li abbiamo messi alla prova. Il risultato è stato raccolto in una mostra. Ora stiamo iniziando a fare lo stesso in altri Paesi. Un’iniziativa analoga è già partita negli Stati Uniti, nel quartiere newyorkese di Brooklyn. Ne seguiranno altre in Costa Rica, Spagna, Bangladesh, Mali. L’idea è quella di mettere in collegamento tutti questi ragazzi che si racconteranno attraverso le fotografie».
Oltre al sito, per chi volesse conoscere S4C, c’è ora una mostra itinerante, partita da Roma a settembre, che toccherà altre città, anche all’estero, offrendo una panoramica dei primi due anni di questa esperienza. Con un invito a quanti amano la fotografia e sentono di condividere la proposta: «Per diventare membro di S4C non occorrono particolari requisiti né essere professionisti. L’importante – conclude Amendola – è avere voglia di raccontare la propria realtà sociale; piccole storie di cui nessuno si occupa». Insomma, è sufficiente credere che si può cambiare il mondo anche con un semplice clic.          
  

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017