Siamo tutti un po' maiali
Probabilmente molti di noi, senza neppure essere troppo anziani, si ricorderanno che questi appena trascorsi erano i mesi del maiale. Le aie delle vecchie case di campagna, magari pure sciarpate dall’umida nebbia, assurgevano per un giorno ad antri misteriosi, dove venivano celebrati oscuri riti. Urla, comprese quelle del recalcitrante maiale destinato a diventare suo malgrado salsicce e salami, fuoco, coltellacci affilati che venivano roteati a destra e a sinistra da abili masadur, come li chiamavamo dalle mie parti, sangue che se ne scorreva liberamente in terra, adulti, parenti, amici e vicini di casa, in mille modi indaffarati: a scuoiare, squartare, tagliare, macinare, impastare, insaccare in quegli stessi budelli che ben altra funzione avevano poc’anzi e sempre nello stesso povero maiale, e più precisamente nel suo stomaco.
In quella bolgia infernale, dove tutti andavano e venivano incuranti di te, noi ragazzini avevamo tutto il tempo necessario per prendere confidenza con la morte. Del povero maiale, certo. Ma anche con la vita, e sempre dello stesso suino di cui sopra. Perché prima di sera, di quel maiale che ben conoscevamo per tutti gli avanzi di cucina che avevamo dato in pasto alla sua fame vorace, non c’era più niente. Anzi, in un certo senso era diventato tante altre cose, e senza che niente di esso andasse effettivamente sprecato o buttato via. Tutte cose, non bisognava essere dei geni per rendersene conto, molto buone se non addirittura utili. Il che, per certi versi, rappresentava una sorta di rivincita postuma del maiale in questione.
Da qui il detto che «del maiale non si butta via niente»: non solo la carne, ma pure la cotenna e la coda, buone anch’esse da mangiare, le setole, utilizzate per la realizzazione di pennelli, e il grasso, altrimenti detto «sugna», buono per la preparazione di lardo oltre che, in passato, per fabbricare le cosiddette «candele di sego», che sostituivano quelle, più costose, di cera. E del sangue, cosa farne? Buttarlo via, neanche per sogno… Ed ecco che nasce il sanguinaccio, sorta di salume diffuso in molte zone della penisola.
E io, all’alba di questa mattina di Pasqua per certi versi del tutto simile a tutte le altre mie faticose albe, mentre metto a dura prova la mia debole fede di fronte a questa tomba vuota che nasconde più che mostrare, allude più che spiegare, dove non c’è nemmeno il tempo di attardarsi a fare qualche domanda perché già si è mandati altrove, ripenso meditabondo ai maiali della mia infanzia.
E mi commuove, persino, anche solo per un attimo immaginarmi che per Gesù anche noi siamo come i maiali: egli non butta via niente di noi! Poi verrà certamente anche il tempo delle lotte spirituali, degli sforzi per essere migliori, dei sinceri pentimenti per tutti i peccati di gioventù e, riveduti e corretti ma altrettanto brutti, di oggi. Poi…
Ma oggi, ora, lasciatemi un momento a cullarmi nella speranza che tutto ciò che io sono, tutta la mia vita: il poco di bene che ho seminato, gli amori sbagliati, ciò che ho iniziato e non ho avuto abbastanza fegato per continuarlo, i sogni che ho potuto realizzare e quelli, di più, che sono rimasti a impolverarsi in qualche cassetto, i miei acuti spirituali e le mie bassezze morali; tutto ciò nelle mani di Dio, per la potenza della risurrezione di Gesù, si compirà pienamente e fiorirà in quella perfezione per cui anch’io sono stato creato!
Mi fa bene sapere che niente di me, né di nobile né di meno nobile, appunto come avviene per il maiale, verrà disdegnato dal Risorto. Che l’ombra ci insegue tutta la vita, ma nella luce…
Buona Pasqua!