Sotto le querce di Mamre

A Torino, da quasi dieci anni, l’associazione «Mamre» si occupa di dare sostegno a donne, bambini e famiglie immigrate in un aspetto poco conosciuto e molto delicato come quello del disagio psicologico e del dolore interiore.
28 Marzo 2011 | di


Ascoltare il dolore. Dar voce, e spesso un nome, a sofferenze che arrivano da lontano, dal profondo di un’anima e della sua storia. Quando nacque erano davvero in pochi a scommettere che sarebbe rimasta in piedi. «Gli immigrati hanno bisogno di pane e casa. Il sostegno psicologico è un lusso» era l’obiezione più frequente che veniva rivolta. E invece «Mamre», associazione sorta nel 2001 a Torino per offrire sostegno agli immigrati in un aspetto così delicato come quello del disagio psicologico e del dolore interiore, è divenuta nel tempo una presenza importante e insostituibile per la città sabauda. Come ha avuto modo di riconoscere anche il primo dei suoi cittadini, Sergio Chiamparino, che le ha dedicato queste parole: «Essa aiuta chi, oggi, ha più bisogno e, così facendo, prepara un futuro migliore».

A fondare «Mamre», la psicoterapeuta ed etnopsicologa Francesca Vallarino Gancia – un’esperienza professionale maturata dentro la «scuola» dura del carcere – e suor Giuliana Galli, per anni a fianco degli ultimi al Cottolengo. Francesca è più conosciuta nell’ambito del lavoro sociale e psicologico con gli stranieri che per la sua appartenenza alla nota famiglia produttrice di spumanti. Suor Giuliana è nota anche perché dal 2008 è nel Consiglio di amministrazione della Compagnia di San Paolo del Gruppo Intesa San Paolo. Un incarico che non le ha cambiato la vita visto che continua la sua opera, con grande umiltà, a fianco di chi non ha un tetto sotto cui dormire né una voce che ascolti l’angoscia di drammi vissuti quasi sempre in silenzio. Nel Cda il compito della religiosa – con in tasca una laurea e un master in Scienze del comportamento conseguito a Miami, in Florida – è quello di investire nel sociale (a favore delle cosiddette «nuove povertà») gli utili messi a disposizione dal Gruppo.
Incontriamo Francesca e suor Giuliana nella sede di «Mamre», in Strada Maddalene 366, a Torino. È la stessa «casa» in cui, il 18 ottobre 2001, nacque l’associazione. Una struttura che, nel corso degli anni, è diventata un po’ stretta per un’attività che vede al lavoro ventinove persone tra psicologi e psicoterapeuti per adulti e dell’età evolutiva, antropologi e mediatori culturali i quali si occupano dei circa trecento immigrati che in media, nell’arco di un anno, si rivolgono a vario titolo all’associazione. Di questi, almeno centocinquanta sono seguiti stabilmente.

C entrale, sottolinea Francesca, è il ruolo svolto dai mediatori culturali, figure che l’associazione ha contribuito a formare nel corso degli anni per rispondere in maniera adeguata alla crescente domanda di sostegno. In origine erano in due, oggi sono una decina. Arrivano da Romania, Albania, Nigeria, Marocco, Brasile, Filippine e Cina. «Sono in Italia da quattordici anni – racconta Amina, mediatrice culturale marocchina –. Ho iniziato quasi per caso. Oggi sono ancora qui, a dare il mio contributo per cercare di capire il dolore e il disagio di chi rimane quasi sempre inascoltato». All’inizio l’attività di «Mamre» era pensata come sostegno psicologico individuale e mirato per adulti, famiglie e ragazze vittime della tratta. «Ben presto sono emersi i problemi legati alla lingua e alla comprensione di un dolore interiore che affonda le proprie ragioni nella diversa matrice culturale – spiega Francesca Vallarino Gancia –. In quel momento ho capito che era necessario utilizzare la figura del mediatore culturale del Paese di provenienza del paziente. È stato il primo indispensabile passo per riuscire a lavorare coi migranti».
Francesca, suor Giuliana, i professionisti di «Mamre», si prendono in carico i problemi psicologici e psicosociali degli stranieri. Una responsabilità che né i privati cittadini né la società né l’amministrazione pubblica hanno la possibilità di affrontare in maniera autonoma, con mezzi e competenze adeguate. «A questi uomini che vengono strappati alla loro terra, alla loro famiglia, alla loro cultura – ricorda lo scrittore Tahar Ben Jelloun – viene richiesta soltanto la forza lavoro. Il resto non lo si vuole sapere. Ma il resto è molto».

In Strada Maddalene arrivano famiglie, bambini e adolescenti immigrati che vivono situazioni di disagio, donne vittime di abusi e violenze. Sono stati costretti a fuggire dal loro Paese a causa di guerre, persecuzioni politiche ed etniche, povertà e vere e proprie torture. «Si presentano chiedendo solo di poter ricominciare una vita. Sono spaesati, soli, completamente sradicati da ciò che di più significativo esiste nella vita di ciascuno. Non possiamo ignorare le loro difficoltà. Se riusciremo a evitare che queste sofferenze sfocino in emarginazioni, violenze o devianze, anche criminali, o che si trasformino in patologie psichiatriche – aggiunge Francesca –, allora contribuiremo a ridurre i costi sociali, a medio e lungo termine, derivanti da ospedalizzazioni, carcere, interventi sanitari».

«Mamre», prima di tutto, è la storia di un grande sodalizio. Quello di due donne unite da un sogno: gettare ponti, ridisegnare i confini che distinguono, e allo stesso tempo accostano, geografie e culture differenti.
Francesca arriva da una lunga esperienza come psicologa all’interno del carcere «Le Vallette». Ha conosciuto suor Giuliana al Cottolengo. Era l’ottobre del 1981. «Non so bene che cosa mi abbia spinto a dedicarmi agli altri – racconta –. Di sicuro non sono state né motivazioni strettamente legate alla mia fede cattolica, né ragioni solo filantropiche. A farmi compiere questa scelta è stata una convinzione interiore che conservo ancora, forte come allora: ho sempre pensato di dover “restituire” in qualche modo quel “di più” che la vita mi aveva dato rispetto al mondo circostante. È quasi un bisogno di risarcire l’altro per il mio essere stata risparmiata dal peggio della vita».

Suor Giuliana è un tipo tosto. A Francesca, quel 18 ottobre («Mamre», non a caso, viene fondata lo stesso giorno, vent’anni dopo), non spalanca le porte e tanto meno le braccia. Anzi, la rispedisce dritta a casa. Far del bene agli altri non è un capriccio del momento o il moto di un animo che si scopre all’improvviso generoso. Francesca non molla. Il giorno dopo si ripresenta lì, puntuale. Iniziano a lavorare un po’ alla volta, fino a quando lei e suor Giuliana realizzeranno insieme quel progetto che la giovane psicologa teneva nel cassetto del cuore. Per l’associazione le fondatrici scelgono un nome che racchiude il senso e la sfida di un impegno. «“Sotto le querce di Mamre, nell’ora più calda del giorno Abramo accolse, confortò e ascoltò tre stranieri e li accompagnò per un tratto del loro cammino” si legge nella Genesi – spiega suor Giuliana –. Il nostro è uno sguardo rispettoso verso tutto ciò che è altro, una porta aperta verso chi è diverso. La diversità è il nuovo possibile. Non è un caso che da noi operino persone di tutte le fedi: cattolici, protestanti, ortodossi, evangelici pentecostali, musulmani ed ebrei; ci sono anche atei. Ciò che anima il nostro lavoro è il servizio alla persona, al di sopra e prima di tutto». Francesca è stata in Kosovo, India, Africa e Perù. Pur essendo forte la tentazione di rimanere in quei luoghi, alla fine lei torna sempre. «C’è molto da fare nelle periferie delle nostre città, in un momento storico in cui l’accoglienza non è tra le parole più amate». Ogni volta, però, un pezzo del suo cuore rimane in quegli angoli di mondo in cui ha toccato il dolore.
 
In viaggio con i bambini

Oggi, dopo quasi dieci anni di lavoro, l’associazione ha fatto crescere uno spazio clinico etnopsichiatrico e attività permanenti di formazione, riflessione e confronto. «Per poter parlare il linguaggio dei nostri pazienti abbiamo dovuto approfondire la conoscenza di pratiche e rituali appartenenti alle loro culture – aggiungono Francesca e suor Giuliana –. Col tempo, molti riferimenti psicologici e psichiatrici sono risultati inadeguati rispetto alle nuove problematiche. Lo stesso ambito di intervento, da individuale, si è allargato, dando vita a uno “spazio plurale di pensieri” in cui sono coinvolti persone e vissuti».

Negli ultimi anni sono stati avviati nelle scuole progetti di prevenzione del disagio a favore dell’integrazione e della convivenza multiculturale. Tra le attività svolte in numerosi istituti di Torino, i percorsi «Bambini altrove», «Inter-mezzo», «La scuola da sola non basta» con formazione per insegnanti, laboratori per bambini e genitori, incontri di mediazione. Il video Diario di viaggio racconta come, in uno di questi laboratori, si cerchi di far conoscere ai bambini da dove arriva la loro famiglia, il viaggio compiuto dai loro genitori, la cultura e le tradizioni del Paese di origine. «Il tentativo è quello di tessere il filo sottile che esiste tra passato e presente, tra la propria storia e la Storia – concludono –. Sconfinare non significa perdersi, ma attraversare quei confini proprio come fossero ponti tra noi e gli altri». Le immagini continuano a scorrere. Lo sguardo si ferma su un cartellone bianco. I bambini ci stampano sopra, col palmo della mano, la loro impronta. Ognuno con un colore diverso. Perché i bambini hanno il diritto di imprimere il loro segno nel mondo. Lasciando le impronte, poi, alla fine del viaggio, si ritrova la strada.

La giornata a «Mamre» si conclude. Sul muro di cinta si abbarbica un roseto che sembra non aver superato l’inverno. Suor Giuliana prende in mano le forbici e taglia quegli arbusti ormai rinsecchiti. È primavera, la natura ha voglia di schiudere i propri germogli. Quasi un miracolo, come quello che da dieci anni continua a rinnovarsi in questo luogo.
 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017