Stati Uniti. Al di là del muro
Per decenni il confine tra Usa e Messico ha evocato scenari western, con una narrativa incentrata sulla legge da ripristinare. È il caso di Rio Bravo (Rio Grande), del 1950, di John Ford con John Wayne, Maureen O’Hara e Ben Johnson, capolavoro cinematografico visto da intere generazioni.
Gli stessi territori sono, di recente, tornati di attualità. C’è un grande flusso di bambini che attraversano il confine, guadando il famoso Rio Bravo, nome utilizzato in Messico per il fiume che gli americani chiamano Rio Grande. Una traversata biblica.
Secondo le autorità americane di frontiera sarebbero finora 60 mila i minori che hanno attraversato il confine tra Messico e Stati Uniti. Ma le stime ipotizzano di toccare quota 90 mila entro il 2015. Lo scopo: ricongiungersi ai familiari emigrati negli Usa.
Paolo Mastrolilli, corrispondente per «La Stampa» dagli Stati Uniti, è stato uno dei pochi italiani a visitare i luoghi di questo esodo. «Sono stato tre giorni tra i centri di La Joya e McAllen, presso la parrocchia of Sacred Heart. La Joya è uno dei luoghi simbolo di questo fenomeno. Ai margini di questa città fu rinvenuto il cadavere di un bambino morto di sete durante la traversata. Una croce ne ricorda la tragica fine».
Msa. Chi sono questi bambini e da quali Paesi provengono?
Mastrolilli. Sono piccoli di ogni età, dai 2 anni in su. Provengono da El Salvador, Guatemala, Honduras e altri Paesi centro e sudamericani, escluso il Messico. Per gli illegali di questo Paese, la legge americana prevede l’immediata espulsione. Tutti gli altri vengono accompagnati al confine messicano da un parente e poi affidati ai coyotes, personaggi che li portano in territorio americano, eludendo la polizia di frontiera. A questo punto i bambini rimangono soli, a vagare per diverse miglia, fino a quando vengono individuati dalle guardie di frontiera e scortati nei centri di detenzione.
Cosa accade loro una volta rilasciati dal centro di detenzione federale?
Sono affidati a centri di accoglienza gestiti da realtà religiose (la Caritas è molto attiva) che si autofinanziano, oppure hanno stipulato accordi con il governo federale per assistere i minori. Chi ha un familiare viene ricongiunto. Gli altri rimangono nei centri statali per l’accoglienza.
Che clima c’è nella zona americana in merito a questi immigrati?
I residenti dei Paesi investiti dall’ondata migratoria hanno sviluppato una coscienza del fenomeno. Sono consapevoli che la maggior parte degli immigrati negli Stati Uniti arriva per lavorare e per assicurare un futuro ai propri figli.
Dietro questa ondata migratoria di ragazzi esiste la criminalità organizzata, oppure è un movimento spontaneo?
L’ondata migratoria dei ragazzi nel territorio americano è spontanea. Anche se, a volte, i narcos approfittano del flusso di entrata, che tiene impegnata la polizia di frontiera, per far passare carichi di droga. In fondo, il fenomeno ha alla radice la volontà del ricongiungimento familiare. Solo che, per numero e ampiezza, è sfuggito al controllo federale. Il tema emigrazione continuerà a tenere banco nel dibattito politico americano, e sarà centrale nella campagna presidenziale del 2016.
Ha avuto modo di parlare con qualche genitore?
Una donna mi ha confidato la sua gioia, dopo aver attraversato il confine con il figlio: «Spero che − ha detto commossa − possa frequentare la scuola e avere una vita felice».