Stati Uniti. Biomedico nel segno dei Lakers
18 Maggio 2015
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La prima volta che si recò negli States aveva 16 anni. Sbarcò negli Usa come exchange-student, nell’ambito del programma di scambio che permette di frequentare il quarto anno della scuola superiore italiana negli Stati Uniti. All’epoca era tifoso dei Los Angeles Lakers. Il suo sogno? Quello di giocare nella squadra di pallacanestro di una high-school americana. Ci riuscì. Fu, infatti, il primo straniero a essere selezionato nella squadra della Enid High School, in Oklahoma, conosciuta perché ci aveva giocato il famoso playmaker Marc Price.
Il suo successo, però, oltre che nello sport è stato, ed è tuttora, nella ricerca scientifica. Riccardo Lattanzi, cresciuto a Porto Sant’Elpidio (Marche) e laureatosi a Bologna in ingegneria elettronica con indirizzo biomedico, attualmente lavora al Center for Biomedical Imaging della New York University. Da novembre 2008 vive a Manhattan.
Msa. Di cosa si occupa?
Lattanzi. Sono professore di radiologia e ingegneria elettronica. Sviluppo nuove tecniche e tecnologie per la risonanza magnetica ad alta intensità di campo.
Come ha iniziato?
Dopo la laurea ho lavorato per tre anni nel laboratorio di tecnologia medica degli Istituti Ortopedici Rizzoli di Bologna. In quel periodo ho vinto una borsa di studio Fulbright: sei mesi come ricercatore alla Carnegie Mellon University, a Pittsburgh. Sono rimasto affascinato dal sistema universitario americano. Ho spedito qualche domanda e, alla fine, sono stato accettato nel programma di ingegneria medica della divisione di Health Sciences and Technology (HST). Un’esperienza che mi ha permesso di frequentare i corsi di ingegneria al Massachusetts Institute of Technology (MIT) e quelli di medicina alla Harvard Medical School.
Tecnologia e ricerca medica possono essere sviluppate solo in grandi università e all’estero?
Alcuni aspetti della ricerca biomedica hanno bisogno di grandi finanziamenti. Per questo sono appannaggio di grandi aziende e università. Se l’Italia vuole essere competitiva deve ristrutturare il sistema della ricerca universitaria: università minori che si occupano solo di insegnamento e università maggiori dedicate a insegnamento e ricerca. E ancora: puntare su due o tre centri di ricerca di grosse dimensioni in cui concentrare risorse economiche e umane. Per sfruttare le proprie capacità, un ricercatore deve poter operare in un sistema che gli consenta di confrontarsi con un numero sufficiente di colleghi, di interagire con studenti, di essere vicino a un grande ospedale. Così può capire quali sono i problemi che i medici devono risolvere, essere in contatto con aziende e finanziatori, fare in modo che i risultati del suo lavoro vadano velocemente a beneficio dei pazienti. Ciò aiuterebbe ad attrarre capitale umano qualificato dall’estero, per equilibrare l’odierno flusso di cervelli in uscita.
Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017