Stati Uniti. Joe Petrosino, eroe antimafia
«Ricordo ancora i racconti di nonno Michele davanti al focolare. Ci parlava delle gesta di suo fratello Joe che, in America, stava lottando eroicamente contro la malavita». Così, Nino Melito Petrosino, pronipote e ultimo discendente diretto di Joe Petrosino, apre il libro della sua giovinezza per mantenere viva la memoria del poliziotto italo-americano che lavorò efficacemente per sconfiggere la mafia, e fu per questo assassinato. Joe Petrosino era originario di Padula, piccolo comune del salernitano, famoso anche per la presenza di una delle più grandi certose del mondo. La sua casa natale è ora un museo, diretto proprio dal pronipote, che recentemente ha ricevuto il Premio internazionale di etno-antropologia «I Castellani». «La casa Museo è aperta tutto l’anno – spiega Nino –. Anche a Natale e a Pasqua. All’interno ci sono i suoi oggetti personali, arredi, cimeli e documenti sulla sua attività investigativa». Giuseppe Petrosino (detto Joe) nacque il 30 agosto 1860. Da Padula emigrò, giovanissimo, a New York, nel 1873, col padre Prospero, sarto, e l’intera famiglia: la madre, due sorelle e tre fratelli.
Uno di questi, Michele, rimpatriò per primo a Padula, ed era appunto il nonno di Nino. Nella metropoli americana, il piccolo Joe fece svariati mestieri: lustrascarpe, giornalaio, netturbino, prima di arruolarsi nella polizia, dove si distinse subito per il suo fiuto investigativo. Tanto che, ben presto, fu promosso detective. Nel 1895 Theodore Roosevelt in persona, allora capo della Polizia di New York e futuro presidente degli Stati Uniti, lo nominò sergente. Nel 1905, a Petrosino, promosso nel frattempo tenente, venne affidato il comando dell’Italian Legion, cioè gruppi di agenti italiani, a suo giudizio indispensabili per combattere il racket della «Mano Nera». «Fu il primo – prosegue il suo pronipote – a tenersi lontano dai campanilismi, a battersi per sradicare la malapianta degli italiani mafiosi. Pretese che la sua squadra imparasse l’italiano, per meglio svolgere l’azione anticrimine».
Nel febbraio del 1909 Petrosino si imbarcò alla volta della Sicilia con il proposito di tagliare i tentacoli che la mafia aveva steso negli Stati Uniti. Fu ucciso a Palermo, il 12 marzo 1909, con quattro colpi di rivoltella, colpito alle spalle, al buio, a tradimento. «Certo – prosegue Nino – ci sono ancora molti dettagli insoluti e, anche se ci sono molti indiziati, per la giustizia è ancora un caso senza colpevole. A distanza di oltre un secolo, l’assassino non è ancora stato individuato». Di recente, presso una delle sedi dell’Università di Palermo, per iniziativa di Roberto Trapani della Petina, presidente dell’ISDT (Istituto superiore per la difesa delle tradizioni) di Palermo, è stato inaugurato «Lo scaffale della legalità»: una biblioteca monotematica dedicata al poliziotto italoamericano. Il museo e l’Associazione internazionale Joe Petrosino hanno proprio lo scopo di diffondere la cultura della legalità. Tra i soci onorari, il sindaco di New York, Michael Bloomberg, Rita Borsellino, Nando Dalla Chiesa, e Raymond W. Kelly, capo della Polizia di New York.