Stop a tutte le guerre

Il papa ha sempre definito la guerra come «un’avventura senza ritorno»; una condizione inaccettabile per risolvere controversie e divisioni tra etnie e popoli.
01 Luglio 1999 | di

In questi mesi di devastanti bombardamenti sulla Jugoslavia e di duri combattimenti ai confini tra Kosovo e Albania, numerosi sono stati gli appelli di rappresentanti del mondo politico, culturale e associazionistico d'ogni Paese del mondo, affinché nei Balcani si cessasse la guerra e si intraprendessero le vie diplomatiche per la soluzione del conflitto, senza favorire l'assurda posizione di forza del presidente serbo Milosevic. Oltre al duro lavoro dei mediatori per rimuovere i continui ostacoli sulla strada della pace, non possiamo dimenticare l'impegno dei governi europei e del segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, ricevuto da Giovanni Paolo II proprio nel giorno in cui Belgrado aveva per la prima volta dimostrato la sua disponibilità  al piano di pace.

La situazione delle popolazioni della Jugoslavia e del Kosovo, vittime di una situazione che costituisce una sconfitta per l'umanità , e ancor più le condizioni dei profughi nei campi di raccolta in Albania e in Macedonia, hanno coinvolto non solo i governi ma anche tante associazioni di volontari, accorsi da ogni continente. In tale gara di solidarietà , l'Italia ha offerto un esempio rilevante di solidarietà  ai confini del Kosovo, in Albania e nei centri d'accoglienza aperti in alcune regioni come la Puglia e la Sicilia. L'impegno dei volontari e dei Centri Caritas diocesani, per offrire un servizio di prima accoglienza, è stato determinante anche nel triste fenomeno delle fughe dall'Albania verso le coste italiane di tanti kosovari.

In questa escalation di violenze etniche e di forzate migrazioni, nell'intensificarsi degli attacchi aerei e missilistici, di scontri tra truppe serbe e quelle dell'Uck, si sono distinti per il loro valore morale e spirituale, gli oltre trenta interventi di Giovanni Paolo II, le iniziative diplomatiche e le missioni di pace dei suoi più stretti collaboratori, a testimonianza di una Chiesa attenta all'emergenze dell'umanità . Karol Wojtyla si è nuovamente imposto al mondo, come testimone di pace. In continuità  con l'atteggiamento di Benedetto XV, nel 1917, e di Pio XII, alla vigilia della seconda guerra mondiale, egli fin dalla sua elezione si è posto contro la guerra e la violenza, convinto che la pace non si fonda sull'assenza dei conflitti, ma sul rispetto della giustizia, della libertà  e dei diritti dell'uomo e dei popoli. Ricordiamo i suoi interventi in occasione delle guerre del Libano e delle Falkland-Malvinas negli anni Ottanta; l'accorato appello rivolto ai potenti quando scoppiò la guerra del Golfo, nel 1991, affinché intraprendessero il difficile cammino dell'accordo diplomatico; la sua missione, indomita e coraggiosa, durante la lunga guerra in Bosnia (1991-1995) e i sanguinosi e reiterati conflitti etnici nel continente africano.

  Lo scorso 20 maggio, ricevendo in udienza Nina Kovalska, ambasciatrice dell'Ucraina presso la Santa Sede, soffermandosi ancora una volta sulla guerra, egli ha affermato che «il dialogo e il negoziato significherebbero il trionfo della ragione, mentre la continuazione dei conflitti etnici e le lotte di potere in ogni parte del mondo sono una sconfitta della ragione e un segno del fallimento della solidarietà  e della comunità  umana».

Il suo sogno è la totale proscrizione d'ogni guerra. Ai potenti e a quanti reggono le sorti del mondo, papa Wojtyla chiede che almeno in occasione del Giubileo del 2000 sia sospesa ogni ostilità : «La pace è primaria responsabilità  di tutti - ha esclamato nell'ultimo suo messaggio di Pasqua - . Possa l'alba del terzo millennio vedere il sorgere di una nuova era in cui il rispetto per ogni uomo e la fraterna solidarietà  tra i popoli sconfiggano, con l'aiuto di Dio, la cultura dell'odio, della violenza e della morte».

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017