Storie dai lager
Chi sa raccontare aiuta la storia a essere maestra di vita. Come avviene per questo libro in cui si tessono le storie di persone che hanno vissuto l'inferno dei campi di concentramento, pronte a sacrificare la propria vita per salvare gli indifesi e i compagni di lager. A sorreggerle, in ogni momento, un forte ideale di solidarietà e di libertà.
Enzo Zatta e Giancarlo Feriotti hanno raccolto alcune di queste vicende. Zatta, figlio di un internato militare nel campo di concentramento di Ziegenhain-Stalag IX A, da vent'anni svolge ricerche sulla deportazione dall'Italia e sui lager nazisti. Feriotti, anch'egli figlio di un internato a Spandau, da tre decenni si dedica alla memoria della Seconda guerra mondiale.
Sono pagine che trasudano dolore, sangue e memoria. Un viaggio dietro i fili spinati dei campi di concentramento che si snoda attraverso quattro storie narrate perché «anche le vittime possono uccidere quelli che rimangono se non sono restituite alla verità dalla memoria dei posteri», scrive fra Luigi Francesco Ruffato nella prefazione.
Conosciamo così Delfina Borgato, deportata a Mauthausen. «Perchè a sedici anni sono costretta a tanta sofferenza? – si chiede Delfina, protagonista del secondo racconto –. Come posso pensare che Dio cammini con la nostra vita dopo quanto ho patito e visto soffrire?».
E poi, Ferruccio Bortolami, artigliere diciannovenne di stanza in Grecia, fatto prigioniero il 14 settembre 1943 e internato a Torgau. Per anni Ferruccio che, pur sentiva la necessità di raccontare la sua storia, non vi riuscì. Ricordi che ha tenuto stretti, confidandoli solo ai famigliari, fino a poco tempo fa.
E ancora, Giovanni Feriotti, alpino, mandato a combattere in Albania, Grecia e Russia e poi rimasto prigioniero per tre anni. «Le mie sofferenze iniziarono a vent'anni e si conclusero quando ne avevo ventisette: avrebbero dovuto essere, invece, i migliori anni della mia gioventù».
Sullo sfondo, il quarto viaggio dietro il filo spinato: quello di Fritz Wandel, oppositore tedesco del regime nazista, arrestato nel 1933, imprigionato a Dachau per cinque anni e mezzo, infine mandato a combattere sul fronte russo.
Perché raccontare queste storie? Perchè il dovere della memoria? Perchè gli studenti e le future generazioni, come si legge nella dedica iniziale, possano trarne il giusto insegnamento.