Sudafrica. Salvato il soldato Henry

17 Dicembre 2014 | di

La storia che segue si svolse nel 1943, dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre. Henry Robertze, un soldato sudafricano dell’esercito inglese, fuggì dal campo di prigionia di Pontevigodarzere (in provincia di Padova) e fu salvato dalle generosità e dal coraggio della famiglia di Nevio Noventa, che lo nascose fino alla Liberazione nel 1945. Dopo una delle diverse perquisizioni delle milizie fasciste, Robi, come era familiarmente chiamato il soldato nascosto in casa, trovò un’immaginetta di sant’Antonio sotto il materasso. Alla protezione del Santo venne attribuito il fatto di non essere stato trovato e quindi di aver salva la vita. Ma il lieto fine della storia fu anche che Robi si innamorò di Rina, una giovane della famiglia che lo nascondeva. I due si sposarono ed ebbero una figlia, Graziella. I tre poi andarono a vivere stabilmente in Sudafrica.

Trascorso molto tempo, il 13 giugno 2010, festa di sant’Antonio, Graziella andò in visita a Saletto di Vigodarzere per conoscere i parenti italiani, per ritrovare le sue radici, sessantacinque anni dopo la sua nascita avvenuta proprio in questo paese. Si festeggiò allora e tutta la comunità di Vigodarzere condivise questo ritorno che ideal­mente si riallacciava a un atto di generosità di tanti anni prima: «Penso che sia stato molto pericoloso per la famiglia, ma fu un evento meraviglioso. Mio padre conservò per tutta la vita – raccontava Graziella – l’amicizia con questi parenti che corsero sicuramente un grande rischio nel nasconderlo».

«Quella decisione – spiega il dottor Roberto Pasqualotto, nipote per parte italiana di Graziella – fu il frutto di un modo di vivere che c’era nel paese, fu il risultato di una cultura più che di un ragionamento, una cultura contadina e una famiglia patriarcale in cui la solidarietà era scontata. In questo anche il ruolo sociale della Chiesa aveva una sua importanza».

Giulio Cesaro, appassionato di storia locale, conferma la frequenza di questi fatti: «Dobbiamo dire grazie a tante persone dal cuore grande che hanno sfidato le ordinanze tedesche per salvare la vita del prossimo». Altre ventitré famiglie di Vigodarzere fecero lo stesso, nascondendo trentasei prigionieri anglo-americani per evitare che fossero rinchiusi nei campi di concentramento. «Molte persone – aggiunge Giulio Cesaro – presero in casa dei prigionieri perché avevano dei cari al fronte e temevano che fossero a loro volta in difficoltà». Testimonianze di solidarietà dunque fiorite anche nei momenti più bui della storia. Storie di famiglie povere e semplici che pensavano di aver fatto solo il loro dovere, che non ebbero per questo alcun riconoscimento né balzarono mai agli onori della cronaca. Eppure capaci di gesti di eroica quotidianità.

Anche padre Placido Cortese, frate del Santo ed ex direttore del «Messaggero di sant’Antonio», morto nel 1944 a Trieste per le torture subite, contribuì con una «catena di salvezza» a salvare molte persone che rischiavano la deportazione.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017