Sudafrica. Trent’anni da trevisani
Trent’anni di «Trevisani nel mondo» in Sudafrica. È stato un compleanno ricco di festeggiamenti quello che l’associazione veneta ha celebrato a Johannesburg lo scorso novembre. Per l’occasione, una delegazione proveniente da Treviso ha raggiunto la metropoli sudafricana, visitando i territori circostanti e partecipando a momenti di convivialità interculturale. Sulla tabella di marcia, una puntatina a Città del Capo, poi via alla scoperta delle strade dei vini – con visita alla cantina Della Cia, il cui titolare è originario di Vazzola, nel trevigiano –. Tappa a Stellenbosch, nel distretto di Cape Winelands, quindi a Didima, nel cuore del comprensorio Drakensberg, dove la visita a una scuola media zulù è culminata in uno spontaneo coro di Fratelli d’Italia, canto applauditissimo perché «calcisticamente» molto conosciuto.
I festeggiamenti per i trent’anni della «Trevisani nel mondo» in Sudafrica sono proseguiti con una cena all’Italian club di Johannesburg – alla presenza di Gabriele Di Muzio, console generale d’Italia a Johannesburg nonché originario di Istrana, paese a pochi chilometri da Treviso –. Chiusura con la cerimonia di commemorazione nel cimitero di guerra di Zonderwater, a Pretoria, dove riposano centinaia di soldati italiani caduti in battaglia durante il secondo conflitto mondiale.
Il viaggio in Africa ha offerto alla delegazione della «Trevisani del mondo» spunti di riflessione su una terra tanto affascinante quanto problematica, dove le complicazioni del vivere sono variegate e talvolta estreme. E dove i paradossi e le contraddizioni sono all’ordine del giorno. Laggiù, a fianco delle baraccopoli suburbane, sono nate immense aree di edilizia economica che circondano le città. Segnali di quella spinta al progresso che, nonostante gli sforzi umani, fatica a prendere piede. Non è un caso che tanti giovani – definiti il «vero oro» del Sudafrica –, mal sopportando questa realtà travagliata, lascino la propria patria in cerca di un Paese in grado di offrire loro più opportunità.
Non tutte le nuove leve, però, se ne vanno. A coloro che decidono di restare servono buona volontà e determinazione, doti di cui i loro avi che diedero origine all’emigrazione italiana in Sudafrica erano ben provvisti.
Basta sfogliare qualche manuale di storia contemporanea per rendersene conto. Qui potremmo leggere del caso di due ex prigionieri italiani che, nel secondo dopoguerra, terminate le ostilità, decisero di stabilirsi definitivamente in Africa. Smessi i panni da «nemici forestieri», trovarono un impiego, sposarono due donne native e si integrarono nella comunità. Dopo di loro, il flusso migratorio in Sudafrica andò man mano intensificandosi. Erano gli anni ’70 dell’apartheid, fenomeno che solo le elezioni del 1994 riuscirono a mitigare. Fu un passaggio storico cruciale, durante il quale molti ebbero paura di incorrere in una guerra civile. Solo la provvida «mediazione» di Nelson Mandela riuscì a scongiurare la terribile minaccia.