Sulle orme degli antenati
«Il Veneto delle verdi pianure e delle dolci colline asolane è la mia terra natale. A Venezia, la Serenissima, risalgono le antiche radici dei miei avi. Il mio nome è Giovanni, Giovanni come Caboto. Ma oggi sono Antonio Zen, il navigatore veneziano che avvistò le coste atlantiche di questo nostro grande Canada un secolo prima che vi sbarcasse Giovanni Caboto».
Sono le prime battute dell’epilogo di un recital andato in scena al Centro italiano di Vancouver per iniziativa di un gruppo di italo-canadesi decisi a celebrare, anche tramite il linguaggio del teatro, i secolari legami tra i loro due Paesi: quello di nascita e quello di adozione. Consolato generale d’Italia e Istituto di cultura hanno espresso i loro auspici per l’evento, inteso a rievocare in modo leggendario la storia di Giovanni Caboto, sbarcato a Terranova il 24 giugno 1497, nel giorno dedicato a san Giovanni Battista (da qui il nome di Saint John’s alla capitale di Newfoundland e Labrador).
A impersonare Giovanni Caboto l’attore italiano Giuliano Esperati, sostenuto da un coro di studenti universitari connazionali. Alla regia Roberto Albertazzi che ha collaborato col gruppo dei «Commedianti». L’interprete dell’epilogo, invece, non è un attore di professione. Si tratta di un imprenditore veneto-canadese che, oltre a sponsorizzare l’evento, ha prestato verve e voce baritonale a un personaggio del XIV secolo, il navigatore veneziano Antonio Zen, fratello minore del più famoso Nicolò. Entrambi venivano dall’antica famiglia veneziana che nel Duecento aveva dato alla Serenissima anche il doge Renier. Dal ceppo originario degli Zen di Venezia erano germogliati differenti nuclei familiari, insediatisi in varie località del territorio veneto, come Chiarano, Mirano, Padova, Pordenone, Treviso, Verona. E più tardi anche nel resto del mondo.
Zaino in spalla
Nella sua dissertazione Gli Ulissidi dell’Atlantico del 1997, il filologo e critico letterario Giorgio Padoan sottolineava il ruolo importante avuto dai fratelli Zen nell’esplorazione dei mari del nord. A distanza di anni, il recital portato in scena al Centro italiano di Vancouver torna sul tema. Obiettivo: avvicinare il pubblico alle proprie origini, aiutandolo a non dimenticare. Con una sorprendente coincidenza: l’interprete della rivelazione trasmessa alla platea è egli stesso uno Zen, un trevigiano le cui radici sono intrecciate a quelle di Nicolò e Antonio.
Anche la vita di Giovanni Zen ha del leggendario, se non altro perché rispecchia le storie dei tanti che, con ferma volontà e spirito di sacrificio, dopo aver «levato le ancore» dalla terra natale, sono partiti per esplorare nuovi mondi, alla ricerca di migliori condizioni di vita e dell’affermazione personale.
«Avevo sedici anni quando sono riuscito a ottenere, con il permesso del mio sindaco e di mio padre, il passaporto per emigrare. Destinazione Svizzera». In un primo tempo il giovane Zen si ferma a Berna, a trasportare carbone, poi a Ginevra, dove lavora di giorno in un’azienda che imbottiglia vini e di sera fa il cameriere. In passato, subito dopo le scuole medie, quando ancora viveva nel suo paese d’origine, il ragazzo era stato assunto in un calzaturificio. E ora, a distanza di anni, si chiede se fare le scarpe non sarebbe forse una buona attività. Ma nell’Italia del dopoguerra, che pure di scarpe ha bisogno, Giovanni non vede futuro. La sua inquietudine lo spinge a rischiare nell’ignoto. Ha molta fede: finite le elementari, infatti, era vissuto in un convento francescano a Verona. Era grato ai frati per quanto gli avevano insegnato, ma sentiva che non era quella la sua vocazione. Meglio emigrare, rischiare, mantenersi e mettere da parte una piccola fortuna.
In Svizzera incontra un impresario edile che, oltre al lavoro, gli offre addestramento prezioso nel settore delle costruzioni. Dopo due anni si stacca da quella guida quasi paterna e parte alla volta del Canada.
Il nuovo continente
La prima tappa è il Quebec, dove in un mese Giovanni apprende l’arte di isolare i tetti delle case. Fa freddo e quando piove tutti si fermano. A lui non piace fermarsi. E così viene attirato dalla costa temperata del Pacifico, dalla Vancouver delle promesse di sviluppo. È il 1954, il trevigiano ha diciannove anni ed è nel pieno dell’energia fisica e mentale.
«La città aveva circa centomila abitanti, era bellissima ma tutta da “mettere in movimento”», ricorda Zen, che oggi è uno degli imprenditori più noti del Canada. A Vancouver, dopo un breve periodo di attività per una compagnia di costruzioni, si mette in proprio e dà vita a un’azienda di piccoli appalti nel settore dell’isolamento per i tetti. Lavora a ritmo serrato e, in tre anni, acquista un terreno su cui costruire una residenza di dieci locali, la prima di una numerosa serie di case, palazzi, uffici e centri commerciali realizzati negli anni successivi.
Obiettivo: diversificare
Giovanni Zen è parte attiva della comunità italiana di Vancouver (nel 1966 si fa socio della Confratellanza italo-canadese, fondata in quell’anno dal giudice Angelo Branca). Nel 1960 sposa la vicentina Giancarla Peretti che gli dà tre figli: Diego Moreno, Manuela e Roger. Oggi i coniugi Zen sono nonni felici di cinque nipoti. E Giovanni continua a fare la spola tra Vancouver e il Veneto, dove vive con la famiglia la sua Manuela «che somiglia sempre più a mia mamma», ripete con lo sguardo che corre lontano. Una conversazione senza pause, la sua, che trasmette energia e spinge a immaginare mondi nuovi.
Ma non è finita qui, Giovanni Zen non opera solo nel campo delle costruzioni. Sempre all’erta, egli ha diversificato gli investimenti convogliandoli nei settori minerario, chimico e petrolchimico. In cantiere c’è poi un progetto di sviluppo in una nota località turistica british-columbiana: la realizzazione di una sede universitaria internazionale sulla cima di una delle più belle montagne che circondano Vancouver. Un gruppo di architetti è al lavoro per catturare la visione dell’imprenditore. Egli intanto recita: «A me, Antonio Zen, non fu dato di porre piede nella terra in cui, giusto cent’anni dopo, sbarcò il mio concittadino Giovanni Caboto». Quest’uomo avrà pure i suoi difetti, ma è un personaggio che dove passa lascia il segno.