Suor Erminia e gli altri

Tra i feriti e uccisi a Timor Est dalle milizie indonesiane come rappresaglia nei confronti di chi aveva votato per l’indipendenza, anche preti e suore. Tratteggiamo il profilo di alcuni.
08 Marzo 2000 | di

Baucau, pittoresca città , ricca di verde (vi abitava quando era bambino, il vescovo Carlos Ximenes Belo, Premio Nobel per la pace 1996) è sfuggita per miracolo all`€™inferno scatenato a Timor Est dai militari indonesiani che hanno bruciato la gran parte delle case come rappresaglia contro la popolazione che il 30 agosto aveva detto sì all`€™indipendenza dell`€™isola dall`€™Indonesia.
Tuttora a Baucau sono state uccise almeno sei persone, ma, paragonato al numero di vittime fatte altrove, s`€™è trattato di una perdita relativamente esigua. Baucau ha vissuto il proprio incubo il 25 settembre: due suore canossiane, due seminaristi, altri religiosi e un giornalista del posto sono stati brutalmente assassinati nel villaggio di Laka dai miliziani (un`€™accozzaglia di delinquenti locali e indonesiani, di militari in borghese e di timorestini minacciati di morte se non collaboravano) istigati dall`€™esercito indonesiano in ritirata da Timor Est.

 Suor Erminia Cazzaniga. Tra le vittime: Erminia Cazzaniga, una suora italiana sessantenne che viveva a Timor Est da 30 anni, guida apprezzata e saggia consigliera di una generazione di religiosi e laici. «Ha sempre aiutato molto anche la mia famiglia» mi ha detto il parroco Martinho Gusmao, quando, nell`€™ottobre scorso, all`€™indomani dell`€™eccidio, ho visitato l`€™isola.
Suor Erminia era superiora delle canossiane di Manatuto, una città  tra Baucau e la capitale Dili, quando, nel marzo dello scorso anno, l`€™ho incontrata per la prima volta. Stavo visitando il paese accompagnato dal vescovo Belo, e ci siamo fermati da lei a prendere un caffè. Suor Erminia, amata da tutti per la franchezza e il senso dell`€™umorismo, si divertiva a stuzzicare il vescovo. Anche se era divenuto celebre per aver ricevuto il Nobel per la pace, per suor Erminia, che lo conosceva da quando era giovane seminarista, monsignor Belo era uno dei tanti uomini promettenti che aveva aiutato a crescere. Il ruolo di suor Erminia consisteva soprattutto in questo, ci ha detto padre Martinho, «nell`€™incoraggiare le persone di buona volontà ».
C`€™era tensione nell`€™aria quel giorno e suor Erminia ci fece capire che la violenza dei militari stava aumentando. Ma nessuno allora poteva immaginare che lei, la dolce suor Erminia, sarebbe stata di lì a qualche mese una delle vittime di quella violenza.
La Chiesa sotto assedio. Nei quasi 24 anni di occupazione indonesiana dell`€™isola, Chiesa e clero sono stati minacciati e colpiti più volte: catechisti torturati e alcuni uccisi, preti picchiati. Ma, nonostante il clima di terrore, nessuno del clero a Timor Est era stato ucciso prima del settembre 1999, quando le forze militari indonesiane si sono scatenate facendo terra bruciata: sono stati assassinati almeno quattro sacerdoti, due suore, seminaristi, catechisti e altre persone ancora che erano al servizio della Chiesa.
Senza le pressioni internazionali sull`€™esercito indonesiano, promosse dall`€™amministrazione Clinton sulla spinta degli ambienti cattolici americani, il numero dei religiosi uccisi sarebbe stato più elevato. Stando a fonti autorevoli, infatti, l`€™esercito aveva autorizzato le «milizie a uccidere altri membri del clero, per punire la Chiesa che proteggeva gli isolani e aveva invitato a votare secondo coscienza al ballottaggio del 30 agosto».

 Francisco e Hilario. Padre Hilario Madeira e padre Francisco Soares, entrambi di Timor Est, e padre Tarcisius Dewanto, gesuita indonesiano nell`€™isola per delle ricerche, sono stati uccisi il 6 settembre in un massacro che ha coinvolto decine, forse centinaia di persone che si erano rifugiate nella chiesa di Suai, cittadina lungo la costa meridionale dell`€™isola.
Nei mesi che precedettero il voto del 30 agosto, decine di migliaia di abitanti avevano cercato rifugio nei centri religiosi sparsi per il territorio: vi trascorrevano anche la notte per sfuggire ai probabili attacchi alle loro case. Suai, uno dei più attivi centri di accoglienza, in quel settembre di morte, fu praticamente distrutta. E il clero ha pagato un prezzo spaventoso per essersi schierato dalla parte della popolazione.
Avevo incontrato padre Hilario nel 1995, quando si spostava tra Europa e Nord America a raccogliere fondi per la sua parrocchia. Sensibile e impegnato, Hilario era un prete semplice e umile, dotato di fede saldissima, interamente dedito alla sua gente e sempre alla ricerca di iniziative efficaci ad alleviare le sofferenze per le ingiustizie subite dai parrocchiani.
Credeva nella pace e mai avrebbe ceduto alle pressioni dell`€™esercito indonesiano; rifiutò di abbandonare la sua gente anche quando, con la chiesa assediata, il rischio di morire era evidente. Poco prima della fine, mosso da un vivo presentimento, Hilario aveva telefonato a monsignor Belo a Dili per dirgli che quella sarebbe stata la sua ultima notte.
Padre Francisco, ucciso con padre Hilario, era stato da poco ordinato prete: il suo impegno principale consisteva nel provvedere alla sicurezza dei suoi parrocchiani e alla salvaguardia dei diritti umani. Anche padre Tarcisio ebbe del coraggio quando andò a Timor Est, nonostante i rischi connessi al clima di violenza. C`€™era chi credeva che l`€™origine indonesiana l`€™avrebbe protetto, ma si sbagliava. Gli assassini, infatti, non risparmiarono nemmeno il compagno di padre Tarcisius, il gesuita padre Karolus Albtrecht, settantenne, originario della Germania, da 40 anni in Indonesia tanto da averne acquisito la cittadinanza. Padre Albtrecht, già  direttore del seminario di Timor Est, viveva a Dili e era stato testimone dell`€™infame massacro al cimitero di Santa Cruz, nel 1991. Lo hanno ucciso appena fuori della sua residenza in settembre.
Un terribile fardello. Il clero di Timor Est ha, dunque, subito il martirio come la stessa popolazione, falcidiata dalla violenza indonesiana sin dall`€™inizio dell`€™invasione dell`€™isola, nel 1975. Anche se in settembre l`€™intervento delle forze internazionali di pace guidate dall`€™Australia e il conseguente ritiro delle truppe indonesiane hanno reso possibile un senso di libertà  mai provato negli ultimi 24 anni, le sofferenze degli abitanti di Timor Est non sono cessate subito.
«È un fardello terribile» ha confessato un missionario che aveva visto bruciare l`€™isola. «In ogni famiglia c`€™è qualcuno che non è ancora tornato: mariti, mogli, figli invano attesi. Il 40 per cento della popolazione manca all`€™appello». In ottobre, il vescovo Belo ha celebrato la messa nella città  di Suai, colpita con particolare ferocia dalle milizie. C`€™erano circa 3000 persone, pochissime le donne e i bambini, quasi tutti deportati a Timor Ovest dall`€™esercito indonesiano.
Tre mesi dopo, almeno 150 mila persone erano ancora trattenute con la forza a Timor Ovest, la parte dell`€™isola sotto il regime indonesiano, minacciati dai miliziani che agivano con la connivenza o la partecipazione dell`€™esercito indonesiano. Alcuni missionari sono rimasti allibiti nel sentire quante donne sono state violentate in quei campi. Centinaia di bambini sono morti perché non curati (lo hanno confermato gli osservatori delle Nazioni Unite) mentre le milizie vietavano alle associazioni internazionali di soccorso di intervenire. Un numero consistente di timorestini, poi, sono stati deportati in altre isole dell`€™arcipelago, mentre di almeno altri 80 o 90 mila non si sa nulla. Ci vorrà  ancora un anno per sapere quale è stato il destino di chi manca all`€™appello. È un obbligo morale, infine, la ricerca, da parte degli investigatori internazionali, dei responsabili dei massacri.

 

   
   
LA CRISI CONTINUA      

È  necessario mantenere alta la pressione esercitata negli ultimi tempi dalle organizzazioni internazionali. L`€™ambasciatore statunitense alle Nazioni Unite, Richard Holbrooke, ha sì potuto visitare, verso la fine di novembre, i campi allestiti a Timor Ovest e rivolgere parole durissime contro i responsabili della piaga dei rifugiati, ma agli       investigatori dell`€™Onu è stato poi negato l`€™accesso a quelle zone, e agli stessi rifugiati non è ancora stato dato il permesso di tornare a casa.
Per gli osservatori delle Nazioni Unite ci vorranno anni per ricostruire quanto le milizie hanno distrutto. Timor Est sta cercando di superare la più che ventennale tragedia che ha colpito il paese, ma è necessario il pieno appoggio internazionale perché si possa costruire un futuro di pace che garantisca protezione anche a chi è ancora in pericolo. Come sarà  di vitale importanza sorvegliare da vicino il paese in questi tre anni di delicata transizione che lo condurranno, sotto gli auspici degli Stati Uniti, all`€™indipendenza.
Le Nazioni Unite hanno detto chiaramente che un`€™adeguata assistenza allo sviluppo e il sostegno diplomatico sono tra le priorità  che la comunità  internazionale deve rispettare se vuole davvero essere solidale con Timor Est.
Alla fine di novembre, monsignor Belo ha potuto celebrare il funerale dei tre preti uccisi in settembre a Suai. Migliaia di persone hanno vegliato tutta la notte nella cattedrale di Dili, in segno del loro profondo affetto per i tre religiosi. Anche noi possiamo dimostrare il nostro rispetto aiutando gli abitanti di Timor Est che quei martiri, assieme ai loro compagni, sia da vivi sia da morti, hanno cercato strenuamente di proteggere. (Agli abitanti di Timor Est sarà  indirizzato uno dei progetti della Caritas antoniana per giugno.).

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017