Svezia. «Non chiamatemi “cervello in fuga”»
Franco Pauletto non ama essere definito un «cervello in fuga»: «Prima di tutto perché non credo di avere un cervello di grande valore, e poi perché non sono fuggito precipitosamente», puntualizza. Fretta o no, comunque, questo docente di italiano, originario di Nervesa della Battaglia (Treviso), ha lasciato il suo paese natio dodici anni fa e da allora non è più tornato in Italia in pianta stabile.
Per inseguire sogni e carriera ha raggiunto la Spagna, poi gli Stati Uniti, infine la Svezia: nel 2008 si è stabilito a Stoccolma, dove oggi insegna nel Dipartimento di Francese, Italiano e Lingue classiche dell’Università locale. Per Franco Pauletto la vita nella capitale svedese rappresenta una sfida o, meglio ancora, un’avventura proiettata nel futuro. Chilometri a parte, infatti, sono molti i fattori che dividono Italia e Svezia. «Al silenzio e alla contemplazione noi italiani, in genere, preferiamo il tumulto delle spiagge – spiega il trevigiano –. Qui in Svezia, invece, i bambini vengono abituati fin da subito al contatto con l’ambiente, imparano persino a riconoscere gli escrementi degli animali selvatici. Tanti sono i chilometri che separano questi due mondi».
È una descrizione piena di ammirazione quella che Franco Pauletto fa del contesto estero in cui oggi vive: «In Svezia le città non risultano mai caotiche. A bordo degli autobus i passeggini sono i benvenuti e non pagano il biglietto. Inoltre, il numero medio di figli per famiglia qui è superiore a quello italiano. Ai bambini e agli anziani è riservata massima attenzione da parte dei servizi sociali. Chi fa lo studente è considerato un lavoratore a tutti gli effetti, mentre l’università è gratuita e gode di interventi di aiuto non indifferenti». Per quanto vantaggioso e allettante possa sembrare, lo stile di vita svedese richiede comunque spirito di adattamento e flessibilità a chi proviene da realtà straniere. Integrarsi in una nuova società non è mai una passeggiata. E chi centra l’obiettivo ne esce arricchito, ma anche un po’ disilluso. «Man mano che conosco Stoccolma, l’Italia e Nervesa della Battaglia si fanno sempre più lontane, specie quando vi ritorno e constato che per aprire un conto postale si perde un’ora – accusa il professore –. O ancora, quando apprendo che un pensionato che percepisce 480 euro al mese deve pagarne 1.500 per la retta della casa di riposo».
A chi gli chiede cosa disapprova del sistema italiano, dunque, Franco Pauletto risponde senza esitazioni: «Le vessazioni e le ingiustizie quotidiane. E ancora, la tendenza a favorire gli interessi di una parte e a non rispettare le regole in un sistema dove nessuno è responsabile di nulla». Se, come dice lui, la sorte di un Paese «è tutta questione di cultura», c’è solo da augurarsi che quella italiana venga presto rivista e corretta. Magari proprio da quelle stesse giovani promesse – i cosiddetti «cervelli in fuga» – che oggi se ne vanno, ma che, con la stessa flessibilità, sarebbero disposti a rimpatriare, qualora le opportunità e le condizioni lavorative lo rendessero possibile e vantaggioso.