Svizzera. Intervista a don Antonio Spadacini. Valori in bilico

04 Febbraio 1999 | di

Realtà  e prospettive delle Missioni cattoliche italiane nella Confederazione elvetica. Un bilancio del delegato nazionale: tra gli italiani cresce il benessere, ma cala la spiritualità .

Zurigo
Dei 461.400 cittadini di origine italiana attualmente iscritti all' anagrafe consolare in Svizzera, non tutti probabilmente conoscono il suo nome. Nominato solo da pochi mesi delegato nazionale delle Missioni cattoliche italiane in Svizzera, don Antonio Spadacini ha però una lunga esperienza nel campo dell' assistenza pastorale all' emigrazione italiana in quest' angolo d' Europa. Di origini bresciane, don Antonio è in Svizzera fin dai «caldi» anni Settanta: dal 1972 al 1977 è stato delegato dei laici, poi missionario nella ridente cittadina di Stà¤fa, lungo il lago di Zurigo, dal 1977, e poi a Rà¼ti dal 1988.

Oggi coordina il lavoro di un centinaio di missionari italiani, provenienti dal clero diocesano della penisola o da ordini religiosi come i salesiani o gli scalabriniani, affiancati da circa 140 suore appartenenti a una trentina di congregazioni femminili. Vasto e molteplice è il compito che attende il successore di monsignor Antonio Bondone: venire incontro alle diverse necessità  di coordinamento fra missionari e clero locale, favorire e promuovere un' unità  d' intenti nelle attività  fra sacerdoti, religiose e laici, provvedere alle necessità  pastorali delle diverse sedi di missione, mirando a una presenza ecclesiale fra i cittadini d' origine italiana che sia adeguata ai tempi e alle nuove forme di apostolato. A don Antonio Spadacini abbiamo chiesto di tracciare una panoramica dell'attuale situazione delle Missioni cattoliche italiane in Svizzera.

Msa. Si parla spesso degli aspetti positivi dell' esperienza migratoria. Da un punto di vista pastorale, come può essere osservato il fenomeno della mobilità  umana?

Spadacini. Si deve partire dal presupposto che mobilità  ed emigrazione possono essere considerate, pur nel loro bagaglio di lavoro e di sacrificio, realtà  positive se aperte al messaggio cristiano e animate dalla convinzione che lo Spirito spinge sempre verso nuovi traguardi. Questo messaggio cristiano, però, non può ovviamente essere calato nella dimensione umana se prima non si acquista una solida conoscenza dell' ambiente e delle particolari condizioni nelle quali l' emigrato vive e lavora.

Come delegato dei laici cristiani in Svizzera, lei ha avuto fin dagli anni Settanta la possibilità  di conoscere questa realtà . Quali sono state le sue esperienze?

Era un tempo, quello, particolarmente segnato dalla contestazione. Le Acli avevano ritirato il loro assistente. Il mio proposito era orientato a un sincero dialogo con i laici, nel tentativo di dare vita a un movimento sganciato da ogni apparato precostituito, apartitico, al di fuori di determinate strutture. L' intento era di coinvolgere i laici nei valori evangelici secondo i dettami del Concilio Vaticano II. Da qui la creazione dei Consigli pastorali, di attività  formative, di convegni secondo fasce d' età  e tematiche diverse. Ancora oggi, come in quegli anni, l' impatto e la coesione fra diverse etnie, i rapporti con la popolazione di accoglienza, con la chiesa locale, con le confessioni non cattoliche e con le religioni non cristiane sono fattori altrettanto importanti e decisivi per dare una risposta a ciò che l' emigrato chiede ai suoi missionari.

In queste sue parole si colgono già  alcune delle linee programmatiche valide anche per il presente.

Sì. Innanzitutto è necessario fare in modo che le Missioni cattoliche italiane in Svizzera siano sempre più espressione di comunità  e di comunione, portatrici di valori religiosi e sociali, centro propulsore di vita cristiana con l' apporto operoso dei laici dei Consigli pastorali delle diverse zone, e della stampa. Non si può impostare un lavoro pastorale sull' improvvisazione. Un serio progetto pastorale esige obiettivi precisi, mezzi adeguati e continuità  nel lavoro.

La Svizzera è un Paese capace di ispirare grandi progetti organizzativi. Quante sono e come sono attualmente organizzate le Missioni cattoliche italiane in Svizzera?

Attualmente le Missioni sono 89, i missionari 101, di cui 48 religiosi. E poi vi sono 139 suore distribuite in 39 comunità . Le Missioni sono state suddivise in 7 zone pastorali orientate a rapporti di comunione tra le nostre Missioni linguistiche e le Parrocchie locali. Ogni zona ha un delegato per i missionari, e i 7 delegati con il delegato nazionale costituiscono il Consiglio di delegazione. In sei zone su sette si è costituito il Consiglio pastorale zonale formato da laici, precisamente due rappresentanti per ogni Consiglio pastorale di Missione.

Qual è il rapporto con la chiesa cattolica svizzera? E con le altre confessioni cristiane?

Con la chiesa cattolica svizzera il rapporto è di profonda collaborazione nell' ambito del territorio delle singole parrocchie, dove però il concetto di parrocchia va sempre meno inteso nel senso tradizionale; dove cioè il parroco tende ad assumere la caratteristica di coordinatore e ad essere strumento di comunione con le varie comunità  di lingua e cultura diverse. La comunione fra le varie comunità  di lingua, cultura e nazionalità  diverse dovrebbe dar vita a una nuova forma di parrocchia dove le strutture non siano fini a se stesse, ma vengano messe al servizio di tutti. Con le chiese non cattoliche, invece, l' attività  pastorale si esplica in incontri ecumenici con liturgie comuni in occasioni particolari, in spirito di reciproco rispetto e di fraternità .

C' è un organo ufficiale di stampa che rappresenta le Missioni cattoliche italiane e che funga da loro portavoce?

A livello locale vi sono i bollettini di singole Missioni o zone. A livello nazionale c' è il «Corriere degli Italiani».

La vita dell' italiano all' estero non è mai stata facile, anche se certamente non sussiste più quella connotazione di disagio che caratterizzò l' emigrazione della prima generazione. Da allora com' è cambiata la sensibilità  al fenomeno religioso in emigrazione?

La domanda centrale che oggi si può prospettare riguardo all' italiano in Svizzera è se risulti ancora possibile vivere cristianamente in un tempo in cui vengono proposti come valori determinanti il guadagno, il successo, il benessere, la sicurezza economica. Sicuramente oggi c' è denaro che circola, e anche ricchezza. Ma «gira» altrettanta ricchezza spirituale? Tra gli italiani in Svizzera, punte di religiosità  si hanno in circostanze nelle quali il connazionale si sente legato al Paese di origine, come durante Natale, Pasqua, i matrimoni e i battesimi. È comunque carente la fisionomia di comunità , mentre si va accentuando sempre più l' aspetto personalistico del proprio rapporto con Dio, all' insegna del motto: «Posso pregare dove mi trovo e quando voglio». Ma gruppi non aperti alla solidarietà , alla collaborazione, alla comunione si isolano e rifiutano la possibilità  di dare vita a una nuova forma di comunità  parrocchiale.

Oltre alla dimensione propriamente religiosa, alle Missioni cattoliche italiane sono affidate anche altre sfere d' azione...

Sì, quella della formazione in campo sociale, che viene attuata attraverso le scuole, gli asili d' infanzia, i corsi di formazione di base, i dibattiti su doveri sociali e servizi sociali. Quest' opera è condotta da molte Missioni cattoliche da sole o anche in collaborazione con diversi patronati operanti a livello svizzero per la difesa dei nostri connazionali.

In questo settore si evidenziano, forse, maggiormente le difficoltà  nel reclutamento dei missionari?

Purtroppo sì. In non poche diocesi italiane i sacerdoti, i più giovani soprattutto, preferiscono andare in Paesi in via di sviluppo, dove creare comunità  cristiane è più facile che nel mondo dell' emigrazione europea, per sua natura più frammentaria. E poi anche perché i vescovi italiani preferiscono indirizzare missionari in Paesi meno ricchi di quelli europei, dove la luce del Vangelo può essere percepita con maggiore genuinità .

Il numero ancora consistente di missionari operanti in un territorio così multiforme per tradizioni, interessi sociali, politici e religiosi rende comunque necessaria una linea comune d' azione. Qual è dunque, o quale dovrebbe essere, questa linea comune?

Indubbiamente si avverte la necessità  di una linea d' azione comune più accentuata. Sacerdoti, religiose e laici hanno ciascuno campi propri e specifici di lavoro, modi di vivere la propria spiritualità  e di testimoniare la propria fede. La fattibilità  di una linea comune è però ancora limitata proprio a causa della diversità  e delle esigenze di queste diverse tradizioni e mentalità . È una remora o lacuna che potrà  essere colmata nei futuri decenni.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017