Svizzera. Mattmark 1965-2015, tragedia annunciata

24 Giugno 2015 | di
«Dal ghiacciaio dell’Allalin (Svizzera), nelle settimane precedenti la tragedia, continuavano a staccarsi blocchi. Non sono l’unico a ricordarlo. Alcuni di noi erano impegnati nella costruzione di una barriera di contenimento sul retro della mensa. Spazzata via, insieme a tante vite, da quella montagna di neve in un pomeriggio di agosto». Armando Lovatel, di Sospirolo (Belluno), aveva 18 anni all’epoca. Era il 30 agosto 1965. Tra le 17 e le 17.15, 600 mila metri cubi di ghiaccio franarono sul campo di lavoro, allestito per realizzare una diga sul lago Mattmark. Oggi quella centrale idroelettrica è una delle più importanti d’Europa. Sotto una lastra, spessa più di 50 metri, morirono 88 operai, 56 italiani – tra questi 17 bellunesi, 7 di San Giovanni in Fiore (CZ), e poi da tante altre regioni –, 24 svizzeri, e ancora spagnoli, austriaci e tedeschi. Tra loro due donne addette alla mensa.

Fosse capitata poco dopo, al momento del cambio turno delle 18, ci sarebbero stati almeno 600 morti. Un disastro, come altri a partire dal Vajont, che si poteva evitare. Prima degli esperti ne sono convinti, ancora oggi a 50 anni di distanza, i sopravvissuti. Come Armando. Era arrivato in Svizzera a 16 anni con un sogno: guidare l’escavatore. In quei due anni, delle macchine operatrici aveva imparato tutto. Ma servivano 18 anni per poterle manovrare. Gli toccò, la prima volta, poche ore dopo la tragedia: scavò tra neve, ghiaccio e pietre alla ricerca di sopravvissuti.
 
«Ancora oggi ho la pelle d’oca quando penso che quella tragedia poteva essere evitata. Com’è possibile piantare un cantiere proprio sotto un ghiacciaio? Non è un caso che la diga sia stata costruita a monte». Il disastro non finì quel giorno. L’ultima salma, quella di Costante Renon di Sagron Mis (TN), fu rinvenuta due anni dopo. Ancora oggi non è stato detto e scritto tutto. A cercare di far luce, in questi mesi, tanti documentari e pubblicazioni, ma anche gruppi di studio e di ricerca. Toni Ricciardi, docente di Storia delle migrazioni all’università di Ginevra, è il ricercatore principale del gruppo chiamato a fare un’analisi socio-storica della vicenda. A fine maggio è uscito il suo nuovo libro Morire a Mattmark. L’ultima tragedia dell’emigrazione italiana, edizioni Donzelli. «Fu una tragedia annunciata – conferma Ricciardi –. Lo dicono i sopravvissuti, e lo dicono i documenti rinvenuti in numerosi archivi. È una ferita aperta, basti pensare al processo. La sentenza di Briga fu sconcertante: tutti assolti e spese processuali a carico dello Stato. Nel 1972 il verdetto d’appello: tutti assolti e spese, però, per metà a carico dei parenti dei morti. Una vergogna».

Per il cinquantesimo sono già da tempo al lavoro famigliari delle vittime, Comuni e associazioni di italiani all’estero. La «Bellunesi nel mondo», come spiegano Marco Crepaz e Simone Tormen (quest’ultimo ha raccolto le testimonianze dei sopravvissuti), ha coinvolto i Comuni di provenienza delle vittime in una campagna della memoria che si propone di intitolare alla tragedia vie, piazze e parchi. Saranno in tanti gli italiani presenti a Mattmark, a fine agosto, per una tre giorni di commemorazione. Il clou domenica 30 con la santa Messa e l’intervento delle autorità. Per non dimenticare, ma prima ancora per riaffermare il diritto alla verità. Anche a mezzo secolo di distanza.


Info:
www.mattmark.ch
http://50mattmark.bellunesinelmondo.it/
 

 
Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017